Il mondo digitale è sempre stato visto come innovativo per definizione. Ma solo negli ultimi decenni sono emersi i rischi legati ad un’innovazione tecnologica senza limiti, non responsabile. Un’innovazione diventa tale quando viene immessa sul mercato dopo aver superato gli stadi della creatività, della fattibilità, della prototipazione e dell’ingegnerizzazione.
Per il digitale, le innovazioni hardware e software hanno sempre “compresso” questi stadi: ciò ha portato ad accelerazioni esasperate, in molti casi a rilasciare consapevolmente agli utilizzatori dei prototipi, e a demandare tutti i rischi (ad esempio legati alla cybersecurity, agli inevitabili bachi software) agli utenti stessi.
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Sulla pressione del mercato, spesso gli sviluppatori vengono presi dal mantra diventato famoso in Silicon Valley: “Disrupt first, ask questions later“. Ovvero, rilasciare il prima possibile l’ultima app, arrivare prima della concorrenza, il tutto condito dal sogno di diventare “billionnaire” vendendo tutto alla multinazionale Big Tech di turno. Tutto questo ha portato le piattaforme dei titani del Web, ormai le più grandi imprese del pianeta, ad avere un impatto sociale e ambientale riconosciuto ormai persino dai policy maker: non vi sono più dubbi che sia necessario applicare i principi dell’innovazione responsabile anche al mondo digitale.
Innovazione responsabile: la fine della deregolamentazione e il ruolo dell’Europa
Dopo oltre venti anni di crescita di tipo “estrattivo”, finalmente si parla di regolamentare il mondo online. Dopo aver beneficiato di legislazioni che permettevano di evitare di pagare le tasse, sfruttato a piene mani pratiche monopolistiche, abusato di dati personali estratti inchiodando gli utenti ai touchscreen con pratiche di “nudging” basate su disinformazione, fake news, polarizzazione delle opinioni, fino ad arrivare a condizionare i risultati delle elezioni, le piattaforme dei titani del Web sono finalmente sotto l’occhio dei policy makers.
La storia iniziata nel 1996, quando il Congresso USA, con il Telecommunications Act, ha sostanzialmente de-regolamentato il Web (FCC, 1996), viene finalmente rivista alla luce dei disastri causati dalla crescita senza limiti delle grandi imprese del digitale.
Infatti, con la scusa che bisognava incentivare il business nascente del web, quell’atto introdusse: detassazione, cancellazione delle norme contro i monopoli e, soprattutto, de-responsabilizzazione sui contenuti. Dopo quasi trenta anni e molti problemi aperti, finalmente quella storia volge al termine e si apre un nuovo capitolo.
Mentre il dibattito si apre finalmente anche negli USA, in Europa i principi della Responsible Research and Innovation vengono inseriti anche nel nuovo framework della ricerca Horizon Europe (2021-2027). Infatti esso si richiama esplicitamente ai Sustainable Development Goals dell’ONU e ovviamente all’European Green Deal, introducendo, con grande visione, la necessità di assumere un pensiero sistemico come principio guida (RRI-HE). Se scienza e tecnologia non sono neutre e la loro relazione con la società è quella di co-shaping, si plasmano a vicenda, allora diventa necessario allineare gli sforzi innovativi ai valori, alle esigenze e alle aspettative della società (RRI-2020), quindi puntare sull’innovazione responsabile. Questo non “rallenta” la ricerca, anzi, produce una ricerca di qualità migliore. Infatti, i ricercatori sono portati a dialogare con gli altri attori sociali, ad anticipare le implicazioni dei loro progetti, fini ad arrivare alla co-progettazione, includendo ove possibile tutti gli stakeholder nei processi dell’innovazione, compreso il pianeta e le future generazioni. Tutto questo produce un inserimento più chiaro e “legittimato” dei risultati della ricerca nella società.
Ad esempio, per realizzare gli obiettivi del Green Deal i policy maker dovranno definire strategie chiare per decarbonizzare, decentrare e digitalizzare molte attività.
Nello stesso tempo, dovranno stabilire delle chiare politiche anche per il digitale, spingendo verso un contenimento dei consumi energetici, una riduzione dei rifiuti elettronici e una chiara e decisa svolta verso le energie rinnovabili. I giganteschi data center, accesi 24 ore su 24, rappresentano il peso maggiore tra i consumi elettrici del digitale e stanno aumentando al ritmo del 10% ogni anno. Senza misure drastiche, entro il 2025 arriveranno a consumare il 20% dell’energia elettrica prodotta sul pianeta, producendo così circa il 5,5% della CO2 globale (Andrae, 2017; Jirotka, 2020). “Usare i bit per consumare meno – consumare meno per usare i bit” dovrebbe diventare la nuova linea guida per tutti i progettisti di sistemi digitali.
Già nel 1999 Lawrence Lessig, nel suo visionario “Code and other laws of cyberspace”, metteva in guardia la necessità di temperare lo strapotere del mercato e delle tecnologie del mondo digitale, attraverso un modello per il governo dei sistemi complessi basato su quattro poli: mercato, diritto, formazione e tecnologie.
Questo ha fatto emergere l’urgenza di introdurre norme nel far west digitale come pure l’importanza di un’educazione e formazione delle nuove generazioni ad un uso responsabile delle tecnologie. In molti corsi per la scuola primaria infatti si parla finalmente non solo di coding ma anche di saggezza digitale (Loccioni, 2021). Come pure emerge l’urgenza di introdurre un’etica digitale nella formazione universitaria: si deve ancora a Lessig una chiara definizione del nuovo ruolo (e delle responsabilità) dei professionisti informatici nella società dell’informazione. Con il suo illuminante “code is law”, ha fatto riconoscere il ruolo fondamentale dei computer professional nella progettazione dei sistemi socio-tecnici del futuro (Lessig, 1999).
Più recentemente, un libro di Frank Pasquale, della Brooklyn Law School, uno dei massimi esperti di norme e tecnologia, “New Laws of Robotics“, aiuta a capire la necessità di riequilibrare con norme più chiare e stringenti le tecnologie digitali emergenti come robotica e intelligenza artificiale. Un futuro digitale centrato sull’umano è desiderabile, ma è possibile solo applicando un’intelligenza umana che riconosca un ruolo alla società nei processi dell’innovazione (Pasquale, 2020). Un’innovazione responsabile.
L’Europa è arrivata alla conclusione che mercato e tecnologie vanno bene ma senza norme e educazione i rischi per la democrazia sono troppo alti, “later” potrebbe essere “troppo tardi”. Ad esempio nel mondo digitale, finalmente si introducono, con l’EU Digital Services Act, delle norme in uno spazio dove finora c’era solo la legge del più forte (EU, 2021). Le questioni etiche sono molteplici ma finalmente il dibattito, almeno in EU, è aperto. Chissà se stavolta non sia proprio l’Europa a diventare l’avanguardia di una visione delle tecnologie più centrata sull’umano. Di fronte alla Cina (“Big State”) e agli USA (“Big Money”), magari l’Europa troverà la sua identità come “Big Democracy”?
Bibliografia
– Andrae, A. (2017). “Total Consumer Power Consumption Forecast”, Nordic Digital Business Summit, Helsinki, Finland, October 5, 2017.
– EU (2021). “Europe fit for the Digital Age: new online rules for platforms”,
– FCC (1996). “Federal Communications Commission”. https://www.fcc.gov/general/telecommunications-act-1996
– Jirotka, M. (2020). “Is it time for a ‘responsible’ revolution?” Keynote ICT4S-2020.
– Lessig, L. (1999). “Code and other laws of cyberspace”. Basic Books.
– Loccioni (2021). “Dal coding alla saggezza digitale”. https://www.loccioni.com/it/onde/dal-coding-alla-saggezza-digitale/
– Pasquale, F. (2020). “New Laws of Robotics. Defending Human Expertise in the Age of AI”. Harvard University Press.
– RRI-HE (2021). “Including Responsible Research and Innovation (RRI) in the development and implementation of Horizon Europe”. https://rri-in-horizon-europe.net/position-paper-from-the-core-group/
– RRI (2020). “Responsible Research and Innovation”. https://ec.europa.eu/programmes/horizon2020/en/h2020-section/responsible-research-innovation