Negli ultimi giorni, il Consiglio Europeo e la Commissione Europea hanno portato avanti il processo di adeguamento del quadro normativo della UE, atto a imporre nuove regole per il mercato digitale, in materia di moderazione dei contenuti e di prevenzione dei fenomeni di alterazione della concorrenza, destinate prevalentemente alle Big Tech.
La volontà di regolare il mercato digitale è perseguita, seppur con tempi e modalità differenti, anche da Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Canada.
È stata annunciata, in particolare, una nuova proposta di legge, il cui scopo è quello di vietare alle società (tra cui, le grandi società che gestiscono le principali piattaforme social) l’utilizzo di strumenti di targeting per gli annunci a sfondo politico.
Microtargeting e profilazione politica: tutti i rischi di un uso senza regole
I nuovi obblighi per il targeting politico
La proposta, presentata martedì dalla Commissione Europea, porrà nuovi limiti per le piattaforme digitali in merito al targeting degli ads a sfondo politico, basati su una lista di categorie ritenute particolarmente sensibili, come l’etnia, le convinzioni politiche, l’orientamento sessuale e lo stato di salute.
L’obiettivo delle nuove norme è quello di contrastare l’effetto negativo del political targeting sulle libere elezioni e sul sano dibattito politico. Gli annunci a sfondo politico, infatti, come dimostrato dalla cronaca, possono portare ad estreme polarizzazioni del dibattito politico, oltre alla pericolosa diffusione di fake news. Secondo le ricerche svolte dagli esperti sul tema, i political ads sono stati utilizzati persino per scoraggiare specifici gruppi di elettori dall’esprimere il proprio voto politico, influenzandone l’opinione.
“I dati sensibili che le persone decidono di condividere con gli amici sui social media non possono essere utilizzati per indirizzarli a fini politici”, ha dichiarato Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea. “Il nostro obiettivo è quello di mettere ordine nel mondo della pubblicità politica, soprattutto online.”
Nel testo del disegno di legge sarebbero previsti, in particolare, nuovi requisiti generali per tutte le società che gestiscono piattaforme di social media, allo scopo di aumentare la trasparenza su ogni annuncio a sfondo politico che viene pubblicato, come:
- Quanto ampia è la visualizzazione dell’annuncio;
- Quali criteri sono stati utilizzati per determinare i destinatari dell’annuncio, incluso l’eventuale utilizzo di dati di terze parti.
Per le aziende che non si conformeranno ai nuovi requisiti del disegno di legge, si prevedono multe superiori rispetto a quelle previste dal GDPR, per un ammontare che può arrivare al 5% del fatturato globale annuo.
Una strada ancora lunga
La proposta di legge, però, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, sembrerebbe riguardare esclusivamente le operazioni di cosiddetto microtargeting, tipicamente utilizzate dalle piattaforme social e oggetto del noto scandalo Cambridge Analytica. A tal riguardo, alcuni attivisti, pur esprimendo il proprio sostegno al disegno di legge presentato dalla Commissione, sperano che gli obblighi previsti dallo stesso godano di un ambito di applicazione più ampio, al fine di vietare l’utilizzo di forme differenti di targeting degli annunci a sfondo politico. “Dovremo essere diligenti su come il Parlamento europeo e il Consiglio affronteranno la problematica questione del microtargeting nel prossimo processo legislativo”, ha dichiarato Raphaël Kergueno, funzionario politico di Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa di corruzione su più livelli.
Il disegno di legge, per poter diventare operativo, dovrà essere approvato sia dal Consiglio Europeo che dal Parlamento Europeo, in un processo che richiederà ancora mesi, o addirittura anni, di trattative ed emendamenti, sebbene l’obiettivo perseguito dai legislatori sia quello di strutturare, già nel 2022, un quadro normativo nuovo e coerente con le peculiarità del mercato digitale.
Microtargeting: l’approccio delle big tech sembra cambiare
Come anticipato, l’annuncio della Commissione costituisce solo un tassello della più generale strategia di ammodernamento della regolamentazione del mercato digitale, che coinvolge non solo l’Unione Europea ma anche gli altri stati. In particolare, negli Stati Uniti, è al vaglio del Congresso una nuova normativa destinata a ridurre il potere delle Big Tech.
Anche le aziende digitali, peraltro, a seguito dei profondi dibattiti che si sono susseguiti in merito ai rischi della pubblicità politica online, hanno mutato il loro atteggiamento nei confronti di tale strumento, troppo spesso utilizzato al fine di influenzare i sondaggi e frammentare il dibattito politico.
Nel periodo che ha preceduto le elezioni USA del 2020, in particolare, le Big Tech hanno adottato differenti approcci alla questione:
- Google, di Alphabet Inc., ha impedito agli inserzionisti di targettizzare i contenuti a sfondo politico sulla base degli interessi deducibili dai dati di navigazione degli utenti e dalle ricerche svolte dagli stessi;
- Twitter ha sospeso l’accettazione della maggior parte degli annunci politici;
- Facebook, di Meta Platforms Inc., a sua volta ha sospeso gli annunci politici negli Stati Uniti, fino alle elezioni, e ha recentemente dichiarato, nel corso di questo mese, che non consentirà più la targettizzazione degli annunci politici sulla base di dati appartenenti a categorie particolari, come le opinioni politiche e l’etnia.
La proposta dell’Unione Europea è stata accolta positivamente anche perché consente di avere un quadro definito di come applicare i meccanismi di targeting agli annunci: “Avere più orientamenti a livello dell’UE e una politica coerente per gli annunci politici sarebbe meglio, in particolare per le aziende più piccole, piuttosto che affrontare un mosaico di diverse norme statali per gli annunci politici”, ha dichiarato Christian Borggreen, vicepresidente e capo dell’ufficio di Bruxelles della Computer & Communications Industry Association, che rappresenta aziende cine Facebook e Google.
Digital Markets Act: gli ultimi sviluppi
Con riferimento al Digital Markets Act, inoltre, sono state introdotte dal Consiglio Europeo, sotto la presidenza della Slovenia, alcune novità atte ad aumentare il potere delle Autorità sui monopoli digitali e sui fenomeni lesivi per la concorrenza.
Sul tema, il relatore Andreas Schwab ha dichiarato che “l’Ue sostiene la concorrenza nel merito, ma non vogliamo che le aziende più grandi diventino sempre più grandi senza migliorare e a spese dei consumatori e dell’economia europea. Oggi è chiaro che le regole della concorrenza da sole non possono affrontare tutti i problemi che stiamo affrontando con i giganti della tecnologia e la loro capacità di stabilire le regole impegnandosi in pratiche commerciali sleali. Il Digital markets act eliminerà queste pratiche, inviando un segnale forte a tutti i consumatori e le imprese nel mercato unico: le regole sono stabilite dai colegislatori, non dalle aziende private”.
In particolare, si prevede che, al fine di poter essere identificato come “gatekeeper”, ossia come soggetto che regola l’accesso ai servizi online da parte dei cittadini europei, il fornitore dei servizi digitali dovrà essere presente in almeno tre Stati membri, avere almeno 45 milioni di utenti finali attivi al mese, e oltre 10.000 utenti aziendali, oltre ad un fatturato annuo, nello Spazio Economico Europeo, di 8 miliardi di euro di fatturato annuo ed una capitalizzazione di mercato di 80 miliardi di euro. Ne consegue che la Commissione Europea avrà la piena facoltà di designare, oltre alle Big Tech, ulteriori società come gatekeeper, verificata la sussistenza di dette condizioni.
I concetti di “utente finale attivo” (active end user) e di “utente aziendale attivo” (active business users) sono specificati all’interno di un allegato dedicato.
Anche nel testo del DMA si prevedono specifici requisiti di trasparenza per il microtargeting: si afferma, infatti, che non sarà consentito, per la pubblicità di terze parti all’interno dei servizi forniti, “combinare i dati personali allo scopo di fornire pubblicità mirata o micro-mirata”. Inoltre, i dati personali dei minori non potranno essere trattati, più in generale, per finalità commerciali, come il marketing diretto, la profilazione e la pubblicità comportamentale mirata.
A detta regola si prevede una specifica eccezione, relativa al targeting nei confronti degli utenti adulti: si prevede, infatti, che l’utente possa essere oggetto di profilazione mirata se ha espresso un “consenso chiaro, esplicito, rinnovato e informato”, ai sensi di quanto previsto dal GDPR. Detta eccezione consente di armonizzare il testo del DMA alla normativa già esistente, e rappresenta una conferma di come il DMA costituisca solo uno dei numerosi tasselli normativi che andranno a comporre la strategia digitale europea, sia sotto il profilo anticoncorrenziale che sotto il profilo della tutela dei dati personali.
Il Consiglio Europeo ha, poi, autorizzato la Commissione Europea, unica autorità destinata all’applicazione delle norme di cui al DMA, al fine di evitare la frammentazione del mercato interno, ad applicare “rimedi strutturali o comportamentali” nel caso in cui sia riscontrata una non conformità sistematica, e ha proposto la creazione di un “Gruppo europeo di alto livello dei regolatori digitali” per semplificare la cooperazione e il coordinamento con i diversi Stati Membri, nel processo di applicazione del DMA.
Si concede alla commissione anche la facoltà di limitare o impedire le “acquisizioni killer” dai gatekeeper, al fine di rimediare alle conseguenze delle stesse o di prevenire ulteriori danni al mercato interno. Resta fermo l’obbligo dei gatekeeper medesimi di informare la Commissione di qualsiasi possibile concentrazione prevista.
Nel caso in cui sia accertata la violazione del DMA, la Commissione può imporre ammende “non inferiori al 4% e non superiori al 20%” del suo fatturato mondiale totale nell’esercizio finanziario precedente”.
Il testo del DMA, contenente le descritte modifiche, è stato approvato dai deputati europei, sebbene, secondo quanto riportato da Ansa, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Danimarca hanno aderito con alcune richieste di compromesso, chiedendo che “l’obbligo di accesso a condizioni eque e non discriminatorie per gli utenti commerciali sia esteso anche ai motori di ricerca e ai servizi di social network”, gravando, attualmente, tale obbligo solo sugli App Store.
“Oggi abbiamo raggiunto un importante traguardo nella creazione di un mercato digitale più aperto e più competitivo”, ha dichiarato Zdravko Počivalšek, Ministro Sloveno dello Sviluppo Economico e della Tecnologia, “La presidenza slovena ha lavorato duramente con gli Stati membri e la Commissione europea per trovare un buon compromesso e migliorare ulteriormente gli obiettivi del DMA: garantire un mercato digitale equo e competitivo. Siamo orgogliosi che gli Stati membri sostengano all’unanimità l’approccio generale. Ciò dimostra che l’UE è fortemente impegnata a garantire una concorrenza leale online. Il DMA proposto mostra la nostra volontà e ambizione di regolamentare le grandi tecnologie e, si spera, stabilirà una tendenza in tutto il mondo”.