dov'è il potere

Mercati e Big Tech sono i nuovi poteri assoluti del mondo: ecco i rischi

A differenza del passato, oggi la politica è subordinata, come mezzo, all’economia e alla tecnologia, diventate il fine di sé stesse. Abbiamo un enorme problema di democrazia. Ma non lo vediamo. Serve lo Stato contro un capitalismo che mai è stato bello, e oggi lo è ancor meno

Pubblicato il 25 Gen 2022

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria

big tech gafa

Cos’è il potere? Dov’è il potere – anzi, il Potere, usando Pier Paolo Pasolini? Non tanto il potere politico – quello sembra facile da identificare, ha dei nomi di persona (Biden, Draghi, Lagarde, Putin) oppure rimanda a Istituzioni specifiche (la Ue, il Parlamento, il Governo, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale della sanità – Oms) – quanto ciò che, a monte, determina le reali forme del Potere e i modi con cui si esprime e si esercita su di noi: cioè, qual è il Potere che governa la vita delle persone, ovvero, usando Michel Foucault, “conduce le condotte umane” in una direzione piuttosto che in un’altra.

La questione è antica, volendo potremmo risalire a Platone e ad Aristotele e alle loro distinzioni tra democrazia, oligarchia, governo degli uomini o governo delle leggi, democrazia formale e sostanziale, eccetera eccetera. Ma rapportando la questione all’oggi, non possiamo non riconoscere che il potere dell’economia e della tecnologia (antidemocratici per essenza propria) è più forte del potere politico e della democrazia, è potere assoluto in quanto non bilanciato da altri poteri equi-valenti ed equi-potenti.

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I livelli di governo e i luoghi del Potere

Qui vogliamo quindi ricordare alcuni elementi che ci permettono di definire i diversi livelli di governo (di Potere) oggi esistenti, la loro struttura gerarchica e il loro rapporto con la democrazia, la sovranità, la libertà e l’autonomia delle persone – e il demos (i cittadini) titolare del potere in demo-crazia. Non senza aggiungere che da sempre il potere corrompe chi lo pratica, che viene usato per corrompere (qualcun ricorda Mani pulite?), che spesso il popolo ama chi corrompe ed ama essere ingannato (cioè corrotto mentalmente e politicamente) dal potere (pensiamo a Trump e a quel 50% di americani che lo hanno votato e lo rivoterebbero). Sul tema della corruzione è recentemente uscito un nuovo libro dal titolo inequivocabile, “Corruptible: Who Gets Power and How It Changes Us” (Scribner Book Company), di Brian Klass, columnist del Washington Post e basato su 500 interviste a uomini di potere.

Qui però useremo il concetto di corruzione e il processo del corrompere nel senso di “disfacimento, deterioramento materiale ma soprattutto morale” (Dizionario etimologico della lingua italiana – Zanichelli) e faremo una rilettura/interpretazione del potere concentrandoci sul macro-contesto entro il quale, oggi, si muovono o possono muoversi i diversi livelli di governo a scala nazionale, sovra-nazionale e locale, pre-determinandone (corrompendone) l’azione e gli effetti.

Questo macro-contesto è dato dal neoliberalismo, egemone nel mondo da quarant’anni a questa parte (è l’ideologia trionfante dopo la morte delle ideologie novecentesche) a dispetto di tutti i suoi fallimenti e del suo intrinseco nichilismo (possiede una potentissima e patologica coazione a ripetersi), sommato con le tecnologie di rete e con chi le possiede (e con la religione tecno-capitalista che esprimono, con il feticismo e il catechismo tecnofilo che producono). Macro-contesto ideologico e tecnologico che ha profondamente modificato i livelli di governo esistenti prima degli anni ‘80. Corrompendo in altro modo la società e la polis, corrompendo la democrazia, il concetto di libertà e imponendosi come modo di vivere/way of life tecno-capitalista sul mondo intero – la globalizzazione e la rete come espressione di questo meta-contesto a-democratico e impostosi come un dato di fatto.

Prima però, una distinzione: il governo è la struttura istituzionale/politica – articolata su diversi livelli – “che ha ottenuto il potere di scegliere, decidere e attuare politiche pubbliche. Nei sistemi democratici questo è ottenuto attraverso elezioni libere e la presentazione di programmi politici” (Bobbio-Matteucci-Pasquino, Il Dizionario di politica – Utet). All’opposto accade nei sistemi autoritari o tecnocratici.

Diverso è invece il concetto di governo inteso come governare – ossia come attuare un determinato programma politico, scelto dal demos oppure imposto al demos. E ancora diverso è capire dov’è oggi il potere capace di governare, posto che non è più nel governo-istituzione democratica, ma non si sa bene dove sia. Ci aveva provato, con ottimi risultati di analisi, il francese Michel Foucault (1926-1984) che definiva con governamentalità/biopolitica il modo con cui il potere (non necessariamente lo stato) guida e dirige appunto le condotte umane in un senso voluto dal potere, rendendo ciascuno utile e docile verso il potere – e il neoliberalismo era per Foucault una di queste forme di governamentalità/biopolitica (infra, Lippmann), che qui definiamo come macro-contesto e che altrove abbiamo definito come una delle forme di human engineering succedutesi nel corso della storia e soprattutto nel Novecento.

Cosa si intende per democrazia?

“Nella democrazia, l’agire politico non solo è pubblico, ma deve essere reso pubblico, messo sotto gli occhi del pubblico; e lo è in due sensi: perché volto ad occuparsi di problemi che direttamente o indirettamente riguardano e condizionano tutti; e perché deve essere reso chiaro, giustificato e aperto al pubblico, esposto sempre al giudizio dei cittadini, i quali, in quanto corpo sovrano, hanno due poteri: quello di autorizzare con il voto e quello di giudicare e controllare perpetuamente, prima o dopo aver votato, coloro che hanno autorizzato” a governarli (Urbinati, Liberi e uguali, Laterza). Ovvero, nella democrazia, aggiungeva il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, ci si deve poter attivare, mentre nelle altre forme politiche si è invece attivati da qualcuno/qualcosa di esterno. L’essenza della democrazia è infatti in questa possibilità e capacità di ciascuno di attivarsi, cioè di pensare, fare, partecipare, decidere liberamente: senza questa possibilità e capacità, non c’è democrazia. Perché, ancora Zagrebelsky, la democrazia moderna è in primo luogo la scelta dei fini e poi la predisposizione dei mezzi per raggiungere tali fini, ovvero il governo della polis è conseguenza della volontà dai cittadini espressa in un pensiero pro-gettante.

E allora, la domanda: i diversi livelli di governo esistenti oggi rispondono tutti a queste esigenze di democrazia, di partecipazione e di controllo da parte del demos? Certamente no il potere della finanza e del denaro/mercati; certamente no il potere della tecnica e dell’innovazione tecnologica; certamente no il potere delle multinazionali; certamente no il potere dei social. E il deficit di democrazia non solo va crescendo (populismi, autoritarismi, tecnocrazie, algoritmi), ma viene sempre più accettato come nuova e necessaria normalità del Potere.

E ad essere corrotto oggi da questi poteri non democratici – è quindi anche il principio della separazione dei poteri, essenziale in una democrazia perché sia possibile attivarsi e perché il potere sia trasparente, pubblico e controllabile dal demos. Già Montesquieu (1689-1755) aveva tracciato la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il “potere assoluto corrompe assolutamente”, aveva analizzato i tre poteri che vi sono in ogni stato: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. Condizione oggettiva e necessaria per l’esercizio della libertà del cittadino che esercita il suo potere sovrano (supra Urbinati e Zagrebelsky), è che questi tre poteri restino nettamente separati e bilanciati e controllati, per evitare che diventino appunto poteri assoluti. Oggi, i mercati e il Big Tech sono i nuovi poteri assoluti del mondo (e non basta certo la decisione dell’Antitrust di multare Amazon per poter dire che esiste un controllo, perché questo controllo si esercita solo ex-post, mentre dovrebbe essere esercitabile anche ex-ante, la politica tornando a governare anche il mercato e i processi di innovazione tecnologica (o di regressione tecnologica, posto che Amazon è le vecchie vendite per corrispondenza, oggi algoritmiche; e che la Fabbrica 4.0 è solo il vecchio taylorismo, ma digitalizzato).

Oggi, quindi, il potere dell’economia e della tecnologia è potere assoluto. Ieri il sistema economico e industriale veniva subordinato, come mezzo, alla politica, per realizzare dei fini sociali, decisi dal demos; oggi è la politica che è subordinata, come mezzo, all’economia e alla tecnologia, diventate il fine di sé stesse. Quindi abbiamo – di nuovo – un enorme problema di democrazia. Ma non lo vediamo. Il Potere sa nascondersi.

Chi governa il mondo (parte prima)?

Lo Stato, sempre meno. Il demos, sempre meno (le scelte economiche e di politica economica vengono imposte dai mercati, vedi il caso Europa/mercati/banche contro la Grecia nel 2015, con l’Europa democratica (sic!) che rifiuta di accettare l’esito di un voto popolare in un democratico referendum). I mercati, sempre di più. Il Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft – cioè un oligopolio di monopoli), sempre di più (si pensi a come una singola impresa come Amazon ha stravolto in pochi anni, a sua totale discrezione e decisione, il sistema della piccola, ma anche della grande distribuzione e a come i social/imprese private finalizzate al profitto privato governano la vita di miliardi di persone). La tecnica, sempre di più – si pensi alla delega di valutazione e di decisione che sempre più diamo ad algoritmi e digitale, a prescindere da ogni controllo e da ogni consapevolezza umana. Le lobby: sempre di più – si pensi a come per decenni è stato negato il riscaldamento climatico e a quanto hanno pesato sul fallimento della recente Cop26. I sistemi di regolazione extra-statali, sempre di più.

Su questi ultimi sistemi di regolazione, tanto invisibili da essere sconosciuti ai più ma dal potere enorme sul governo della vita di ciascuno e dell’intero sistema globale, il giurista Sabino Cassese aveva scritto anni fa: “Chi governa il mondo? La risposta più comune è che il mondo è governato dagli stati che, tramite i propri organi esecutivi, stipulano accordi nelle diverse parti del globo. Gli stati non hanno tutti lo stesso peso e la stessa influenza e di conseguenza il potere non è ripartito equamente. Essi infine stipulano convenzioni e trattati […]. Questa risposta tralascia però due fatti importanti. La prima è che gli stati hanno vissuto nel tempo processi di aggregazione e di disaggregazione. La seconda è che sono stati affiancati da un numero sempre crescente di organismi non statali” (che non sono le Ong), ma con il potere di imporre norme estremamente vincolanti, al di fuori di qualunque sovranità e controllo da parte del demos (S. Cassese, Chi governa il mondo?il Mulino). Cassese definiva questo regime di regolazione come global polity.

Chi governa il mondo (parte seconda)?

Ma a governare il mondo è oggi soprattutto – come anticipato – il pensiero/ideologia neoliberale e tecnico (il meta-contesto, ciò che predetermina i modi del potere economico, tecnologico e politico; che ingegnerizza la vita sociale e individuale). Che si basa su una serie di principi: trasformazione pianificata della società in mercato e in rete; stato da governare come un’impresa ma soprattutto stato come promotore del mercato; interconnessione/digitalizzazione/connessione/integrazione di tutti nel sistema tecnico e di mercato (che è la nuova forma dell’organizzazione, del comando e del controllo da parte del capitale, come direbbe Marx); l’uomo non più come persona ma come capitale umano; l’impresa solo nella sua forma autocratica. Scriveva il neoliberale Walter Lippmann già negli anni ‘30 del ‘900, definendo chiaramente quella che sarebbe stata poi l’azione di pianificazione neoliberale della società a partire dagli anni ‘80: “il liberalismo è la filosofia della rivoluzione industriale” e suo compito è modificare l’uomo, adattandolo alle esigenze della produzione e del capitalismo, divenendo “un nuovo sistema di vita per l’intera umanità”, accompagnando “la rivoluzione industriale in tutte le fasi del suo sviluppo; e poiché questo sviluppo è infinito, il nuovo ordine non sarà mai in nessun modo perfettamente realizzato e concluso” (Dardot e Laval, La nuova ragione del mondo – DeriveApprodi). Ovvero, per i neoliberali – in questo profondamente anti-democratici, illiberali e in contraddizione con se stessi, negando di fatto la libertà dell’individuo e imponendo all’individuo di adattarsi a qualcosa che non deve governare e controllare – l’ambiente sociale e il sistema capitalistico devono tendere a formare un tutto armonico, in realtà integrato e soprattutto e peggio, integralistico.

Esiste poi il potere delle imprese. Scriveva – lo abbiamo fatto in altre occasioni ma lo richiamiamo di nuovo – Luciano Gallino (1927-2015), nel 2011: “La democrazia, si legge nei manuali, è una forma di governo in cui tutti i membri di una collettività hanno sia il diritto, sia la possibilità materiale di partecipare alla formulazione delle decisioni di maggior rilievo che toccano la loro esistenza. […]”. E invece, oggi “la grandissima maggioranza della popolazione è totalmente esclusa dalla formazione delle decisioni che ogni giorno si prendono” nei settori dell’economia, di fatto espropriati e alienati dalla democrazia, per l’azione di quel soggetto che si chiama grande impresa, industriale o finanziaria, italiana o straniera che sia. “Il fatto nuovo del nostro tempo è che il potere della grande impresa di decidere a propria totale discrezione che cosa produrre, dove produrlo, a quali costi per sé e per gli altri, non soltanto non è mai stato così grande, ma non ha mai avuto effetti altrettanto negativi sulla società e sulla stessa economia. […] il potere esercitato dalle corporation sulle nostre vite configura un deficit di democrazia da costituire ormai il maggior problema politico della nostra epoca”. Si pensi ancora ad Amazon, a Google, ai social. Si pensi alla Gkn o alla Whirlpool e alla loro libertà di delocalizzare (e al governo tecnocratico di Draghi che ovviamente non glielo impedisce).

La corruzione neoliberale e tecnica della demo-crazia

Dunque, abbiamo un sistema complesso di livelli di governo, alcuni espliciti, altri nascosti, apparentemente disordinati, ma tutti in realtà organizzati, finalizzati, governati secondo il macro-contesto (il meta-livello di governo) del neoliberalismo e della tecnica (e della tecnocrazia). Un macro-contesto che appunto pre-determina ogni scelta politica, corrompendo ex-ante la demo-crazia, corrompendo ex-ante la sovranità del demos, questo macro-contesto imponendosi come dato di fatto immodificabile, che non si deve e non si può governare democraticamente (anche perché confonde dolosamente rete e mercato con democrazia, facendoci credere che siano la stessa cosa – e ideologia significa anche, come scriveva Norberto Bobbio, “far credere”), senza permettere la ricerca di alternative. È il macro-potere di se stesso. È il meta-livello di governo che subordina a sé e che sussume in sé tutti gli altri livelli di governo. Che ha corrotto le radici della democrazia, illudendo di una libertà solo apparente.

Ha scritto Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, valutando gli effetti delle politiche neoliberali (noi però aggiungendo la tecnica): “1) le regole economiche neoliberiste hanno creato maggiori disuguaglianze, con un calo dei soggetti che condividono i benefici dell’attività economica e una crescita più lenta dell’economia in generale e persino degli investimenti”; 2) “la finanza non è più al servizio dell’intera economia ma solo di se stessa”; 3) “i sistemi fiscali incoraggiano la speculazione e l’elusione fiscale da parte delle multinazionali”; 4) “le politiche monetarie e fiscali, troppo incentrate sulla difesa da certi rischi (deficit di bilancio e inflazione) ignorano le vere minacce alla prosperità economica, ovvero la crescente disuguaglianza e il sotto-investimento e hanno prodotto più disoccupazione, più instabilità e meno crescita”; 5) “nel mercato del lavoro, i cambiamenti delle istituzioni, delle leggi, delle norme e dei regolamenti hanno indebolito il potere dei lavoratori, che ora hanno più difficoltà a contrapporsi agli eccessi di potere di mercato delle imprese”; 6) “la disuguaglianza è stata una scelta politica” (Le nuove regole dell’economia, il Saggiatore).

Il ruolo dello stato

Scriveva J. M. Keynes, negli anni ‘30 del ‘900, un autore che dovremmo rileggere urgentemente per ripensare al ruolo da tornare ad affidare allo stato e alla necessità di governare democraticamente sia il mercato e sia il Big Tech): “La cosa importante per il governo, non è fare ciò che gli individui fanno già, e farlo un po’ meglio o un po’ peggio, ma fare ciò che presentemente non si fa del tutto”. E aggiungeva: “I difetti lampanti dell’economia odierna sono: la sua incapacità di provvedere alla piena occupazione; e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi” [esattamente oggi come allora]. E ancora: “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari” [allora, come oggi]. Inoltre, spreca deliberatamente una quantità enorme di risorse nella lotta per la concorrenza [allora come oggi]. Keynes sosteneva quindi che fosse necessario guidare l’economia (e non lasciarsi guidare dall’economia) attraverso precise politiche monetarie, industriali, sociali e fiscali poiché i mercati quasi mai sono in grado di raggiungere un equilibrio efficiente. Salute e ambiente, ad esempio, sono beni pubblici che acquisiranno un valore crescente e questo giustificherà, scriveva, l’intervento dello stato. Il capitalismo inoltre – e questo diventa ancora più importante nel momento in cui, per la crisi climatica, dobbiamo pensare alle future generazioni – è incapace “di garantire l’allocazione inter-temporale delle risorse, dunque solo lo stato potrà occuparsi del nostro futuro a lungo termine” (La fine del laissez-faire e altri scritti – Bollati Boringhieri).

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