Dalla comparsa dell’uomo sulla Terra e dalle prime schermaglie con i propri simili, la tecnologia è sempre stata la compagna fedele dell’homo homini lupus. Dalle prime picche all’arco e frecce, dal fuoco greco alle bombarde ottomane, passando dalle mitragliatrici ai carri armati, la tecnologia è da millenni il parametro inossidabile di ogni guerra.
E in questi ultimi giorni il focus sulle innovazioni in campo militare si fa più incisivo. Con la Russia che occupa – al momento in cui si scrive – il granaio d’Europa, l’Ucraina, vediamo quali sono gli ultimi risvolti tecnologici in campo bellico, soffermandoci soprattutto su quelli che sono gli “inganni” che possono mettere in difficoltà anche eserciti di grandi dimensioni e sulle nuove opportunità di inganno offerte dall’intelligenza artificiale.
La guerra cibernetica nell’età ibrida: tecnologie, strategie e priorità
Droni e tecnologie anti-droni
In guerra, in ogni guerra dall’alba dei tempi ad oggi, ci sono diversi modi di approccio nel cosiddetto “hide-and-seek”, dove vi è un difensore “che si nasconde” ed un attaccante che “lo cerca”: distruzione, assordamento, scomparsa e inganno. Ad oggi, le innovazioni tecnologiche a questi approcci sono utilizzate per contrastare i vantaggi offerti dall’introduzione della sensoristica nei campi di battaglia. E nell’uso dei sensori, la tattica e la strategia giocano dei ruoli cardine.
Per quanto riguarda la distruzione, il “discorso” è semplice: far saltare in aria il sensore. I missili che si concentrano sulle “emissioni” dei radar sono fondamentali per stabilire la presenza o meno di una superiorità aerea in contesti bellici. Tuttavia, vi sono velivoli dotati di tecnologia stealth (si pensi al bombardiere USA B-2 Spirit), la quale permette di avvicinarsi al nemico quel tanto che basta in modo tale che non si accorga della propria presenza. E non serve nemmeno scomodare una tecnologia da miliardi di dollari. Vi sono, infatti, diversi sistemi di difesa aerea che non sono progettati per individuare piccoli droni “economici” che trasportano fotocamere ad alta risoluzione. Ed anche se portassero esplosivo, sarebbe difficile stanarli. Gli eserciti del mondo occidentale non si sono mai del tutto prodigati nel combattere “qualcosa che derivasse dall’alto”, almeno dalla Guerra di Corea in poi. Ora che in diversi teatri bellici si sta investendo in difese aeree a corto raggio, le cose sono diverse. Il successo dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh a fine 2020 è stato, in parte, dovuto al fatto che gli armeni non erano all’altezza della tecnologia utilizzata dagli azeri, con questi ultimi equipaggiati da droni e armamenti di ultima generazione forniti, soprattutto, da Ankara e Tel Aviv. E investire in droni significa anche investire in tecnologie anti-droni. I droni, infatti, “guardano a terra”, dove il riparo e il camuffamento sono più facili da ottenere per i target; mentre, al contempo – lassù in alto – non hanno riparo e sono esposti ad ogni genere di attacco. Se gli armeni si fossero dotati di una tecnologia anti-drone, forse, le cose sarebbero andate diversamente.
Il ruolo dei satelliti e la guerra “elettronica”
Passando dai sensori “economici” ai più “costosi”, i satelliti sono sia particolarmente preziosi in termini di sorveglianza e comunicazione che molto vulnerabili. Gli USA, la Cina, l’India e la Russia, che farebbero tutti affidamento sui satelliti in caso di guerra (nonché su minacce più “estese”[1]), negli ultimi decenni hanno tutti testato l’efficacia dei propri missili antisatellite lanciati da terra. Distruggere i satelliti utilizzati per rilevare i lanci di missili dell’avversario potrebbe far presagire un attacco nucleare preventivo, così come potrebbe provocarne uno. I satelliti sono anche vulnerabili al “sovraccarico sensoriale”. Le armi laser che accecano gli esseri umani sono bandite da un accordo internazionale, ma quelle che accecano le telecamere non lo sono. Sono persino ammessi i fasci di microonde che “friggono” i dispositivi elettronici.
La capacità di far inceppare, sovraccaricare o “assordare” i radar è l’essenza della guerra elettronica. Così come sondare continuamente le capacità degli avversari quando se ne ha la possibilità. In Siria, ad esempio, con le forze americane e russe l’una vicino all’altra nel nord del paese vi sono continue schermaglie elettroniche, con entrambi i contendenti a disturbarsi a vicenda nelle comunicazioni.
Durante l’ultimo “Green Dagger” – una cinque giorni di esercitazioni militari che coinvolgono i Marines americani e forze di altri stati – tenutosi in California lo scorso ottobre, un reggimento del Corpo dei Marines è stato incaricato di catturare una città e due villaggi difesi da una forza avversaria “mista” composta da altri Marines, da commando britannici e olandesi nonché da forze speciali degli Emirati Arabi Uniti. Quando le piccole squadre di commando britannici attaccarono le retrovie del reggimento dei Marines, paralizzando la sua avanzata, il reggimento ebbe difficoltà a contrattaccare. Come sempre, le tattiche di guerriglia – unite alla tecnologia – riescono a mettere in difficoltà truppe molto più numerose.
La strategia britannica in materia di sicurezza cibernetica
Passando all’altro capo dell’Atlantico, la strategia britannica in materia di sicurezza cibernetica, pubblicata lo scorso dicembre, afferma esplicitamente che uno dei compiti della nuova National Cyber Force (NCF) di Sua Maestà, un corpo composto da agenti dei servizi segreti e da militari, è quello di interrompere i sistemi online e di comunicazione. Gli eserciti che una volta manovravano sotto copertura aerea ora dovranno farlo sotto “copertura del cyber-inganno”. Col tempo, le linee di separazione tra guerra elettronica, attacchi cibernetici, difesa cibernetica ed operazioni psicologiche sembrano destinate a cancellarsi.
Tuttavia, la capacità di colpire i sensori del nemico di turno, di interrompere le sue comunicazioni e di confondere l’intelligence avversaria non sostituisce la “buona vecchia” mimetizzazione old-style. Ovviamente con una buona dose di tecnologia di ultima generazione. Se i carri armati sono ancora coperti di fogliame ed i cecchini indossano ancora le tute “ghillie”, gli aerei militari usano un materiale che assorbe le radiazioni e adottano superfici angolate in modo da non essere individuati dai radar. Nascondersi, al giorno d’oggi, è reso più facile dal fatto che le nuove capacità dei “cercatori”, per quanto impressionanti possano essere, sono limitate dalla realtà dei bilanci e della logistica. Non tutto ciò che gli stati maggiori dei vari paesi desiderano può essere acquistato; così come non tutto ciò che si procurano può essere messo in campo in modo tempestivo. Nelle operazioni reali, al contrario delle presentazioni al PC in una war-room, la copertura dei sensori non è mai illimitata. D’altronde, non c’è modo di essere in grado di vedere tutto, sempre e ovunque.
Quando nascondersi è difficile
Quando nascondersi è difficile però, il numero di variabili e obiettivi che il nemico deve guardare aumentano considerevolmente. Con i sensori moderni è molto difficile evitare di essere individuati. E se si è consci di ciò, “saturare” i sensori dei propri avversari e la loro consapevolezza della situazione rimane l’unica cosa da fare. Un sistema che è obbligato a guardare più cose farà più errori. E, a lungo andare, potrebbe anche collassare (come fanno i server mal configurati quando gli hacker li attaccano).
Dividere le forze, ad esempio, è un buon modo per aumentare il carico cognitivo del nemico. Molti piccoli gruppi sono più difficili da tracciare e da colpire rispetto a grandi unità (come è successo al Green Dagger 2021). Inoltre, se si spara verso un gruppo, inevitabilmente la propria posizione viene scoperta dagli altri gruppi. Meno prezioso è ogni singolo bersaglio, più grande diventa il problema. Le “esche”, poi, alzano la posta in gioco. Durante la Prima Guerra del Golfo del 1990-91, Saddam Hussein scatenò il suo arsenale di missili Scud – che si muoveva su veicoli difficili da individuare nell’immenso deserto iracheno – su Bahrain, Israele e Arabia Saudita. Questi ultimi, peraltro, possedevano tutta la tecnologia militare che potevano desiderare al tempo. Saddam, tuttavia, non possedeva così tanti Scud da impensierire la coalizione. Anzi. Siamo davanti al concetto di “esca”, che permette al nemico di concentrare i suoi sforzi su di essa (mentre ci si prepara con i diversivi del caso). E la fabbricazione di esche, in guerra, non si è fermata. I falsi Scud iracheni – che ingrossavano le file di quelli veri – sembravano reali per gli osservatori non professionisti a soli venticinque metri di distanza. La verosimiglianza delle esche, peraltro, è migliorata “immensamente” da allora, in particolare nell’ultimo decennio. Basti pensare che vi sono aziende che costruiscono veicoli “replica” che servono sia come bersagli per le esercitazioni, sia come esche. La tecnologia delle esche è così evoluta che è possibile riprodurre fedelmente un carro armato britannico, con una torretta e cannone che si muovono, con il calore sprigionato da un massiccio motore diesel ed un trasmettitore radio che funziona a lunghezze d’onda dell’esercito britannico, il tutto per meno di un ventesimo dei cinque milioni di sterline che costerebbe un vero carro armato. Vedere un carro armato apparire all’improvviso da qualche parte del teatro bellico, al solo scopo di concentrare altrove l’attenzione del nemico, è pura realtà. In futuro, forse, gli eserciti schiereranno grandi “formazioni esca robotiche” che useranno l’Intelligenza Artificiale per muoversi e creare un diversivo sul campo. Scomparsa e inganno, d’altronde, sono spesso in sinergia tra loro. Sparare alle esche non significherebbe solo uno spreco di missili o proiettili: significherebbe anche rilevare la propria posizione al nemico.
L’avvento dell’Intelligenza Artificiale in campo bellico
L’avvento dell’intelligenza artificiale in campo bellico, poi, dovrebbe offrire nuovi modi per distinguere il vero dal falso, ma potrebbe anche offrire nuove opportunità di inganno. Un sistema di Intelligenza Artificiale potrebbe smascherare l’esca di un carro armato fittizio, mandando all’aria il sistema di esche messe su dal nemico per ingannare i militari “in carne ed ossa”. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale può ignorare caratteristiche che gli umani considerano ovvie. Alcuni US Marines si allenavano nel “non essere scoperti” contro una telecamera di ultima generazione dotata di un software di riconoscimento degli oggetti. I Marines che hanno cercato di avvicinarsi strisciando dal basso furono rapidamente individuati; quando uno di loro, però, afferrò un pezzo di corteccia d’albero e lo mise davanti alla sua faccia, si avvicinò indisturbato alla telecamera senza essere minimamente considerato da essa.
I sensori e le piattaforme autonome diventeranno sempre meno costosi nel futuro. Ma, al di là del costo, il tasso di progresso, il proprio e degli avversari, è difficile da valutare. Chi è in una posizione di vantaggio, spesso, non lo renderà noto fino a quando non scenderà in battaglia contro il nemico. E l’imprevedibilità si estende oltre a chi vince determinati combattimenti. Si estende al modo in cui il combattimento sarà posto in atto. Nell’ultimo secolo, il “pensiero militare” ha contrapposto l’attrito, che logora le risorse dell’avversario in un combattimento frontale, alla manovra, che cerca di usare forze in rapido movimento per interrompere il processo decisionale, la logistica e la coesione del nemico. La manovra offre la possibilità di vittoria senza la distruzione del grosso delle forze nemiche, cosa che in Occidente ha preso il sopravvento. Sopravvivere in uno spazio di battaglia sempre più trasparente può essere possibile. Ma ci vorrà uno sforzo. Sia gli aggressori che vogliono prendere terreno che i difensori che vogliono tenerlo dovranno costruire complessi strati difensivi multipli intorno alle loro posizioni, comprese le difese aeree, le contromisure elettroniche e l’implementazione dei sensori. Manovre consolidate abbastanza grandi e ampie saranno rallentate da ingombranti “ombrelli” elettromagnetici aerei, mostrandosi in anticipo e producendo bersagli “invitanti” per il nemico.
Conclusioni
Il messaggio della vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia non è che la guerra lampo sia rinata e che il drone vince sempre sugli eserciti convenzionali. È, tuttavia, che la preparazione e le tattiche appropriate contano più che mai, e bisogna sempre sapere contro cosa prepararsi. Una rivoluzione nei sensori, nei dati e nel processo decisionale, costruita per rendere più facile l’individuazione degli obiettivi, può ancora risultare determinante in determinati contesti bellici.[2]
Note
- Sanzioni a Mosca, la minaccia dell’Agenzia spaziale russa: “La stazione orbitante potrebbe cadere su Europa o Stati Uniti”. La Stampa. https://www.lastampa.it/esteri/2022/02/25/news/sanzioni_a_mosca_la_minaccia_dell_agenzia_spaziale_russa_la_stazione_orbitante_potrebbe_cadere_su_europa_o_stati_uniti_-2863077/ ↑
- Deception and destruction can still blind the enemy. The Economist. https://www.economist.com/technology-quarterly/2022/01/27/deception-and-destruction-can-still-blind-the-enemy ↑