Il nuovo Governo ha appena ricevuto la fiducia da Camera e Senato presentando al Parlamento un programma che punta a cambiare radicalmente la fase di “bonaccia” nella quale ci siamo venuti , pericolosamente , a trovare in questi ultimi mesi.
I provvedimenti che il Governo si accinge a varare determineranno, ci auguriamo, importanti passi in avanti in materia di sostegno al lavoro, soprattutto giovanile, di incentivi alle imprese per favorire ripresa e sviluppo, di aiuto ai ceti meno abbienti al fine di ridurre quelle sacche di inaccettabile povertà in cui ,in modo sempre più crescente, sono finiti intere aree del cosiddetto ceto medio.
E’ certamente un impegno straordinario che richiederà una coesione tra differenti anime della politica nazionale che ,per troppo tempo, hanno gestito questioni interne di partito anzichè assolvere alla funzione sociale oggetto della delega elettorale ricevuta.
Non sarà facile conciliare l’attuazione del corposo programma di Governo con le ridotte riserve disponibili. Uno sforzo che metterà a dura prova chi è chiamato ad individuare potenziali risorse , al momento impegnate in attività marginali, da indirizzare verso settori fondamentali e strategici per lo sviluppo del Paese.
Il lavoro ,quello giovanile in prima istanza, è il problema principale a cui questo esecutivo è chiamato a dare risposte concrete, Tra le ultime iniziative poste in essere dal governo Monti annoveriamo quella che va sotto il nome di “Decreto 2.0” ovvero le ricette per un’Italia Digitale.
Una serie di norme il cui obiettivo è quello di creare le condizioni per dotare il nostro Paese di una serie di strumenti che consentano di far uscire il motore della Pubblica Amministrazione da una fase di pericoloso stallo.
Il decreto sviluppo individua le linee guida che indicano la direzione di un percorso virtuoso che porti verso la modernizzazione del Paese.
Rimane la preoccupazione che a fronte di un programma impegnativo che individua nell’innovazione tecnologica e di processo la chiave di volta che punta a riqualificare in un articolato progetto PA , Imprese e Cittadini, vengano a mancare sia le sufficienti risorse per finanziare le attività intraprese che le capacità di esprimere una autorevole governance che possa assumere effettive iniziative di indirizzo ed attuazione.
Per rimanere al tema delle risorse non si può non ritornare su un tema che ormai da qualche anno , non senza fatica, stiamo portando avanti come Federazione dei Dirigenti di Aziende Industriali (Federmanager).
Parliamo di telelavoro.
Se fino a qualche anno fa si poteva invocare la carenza di infrastrutture tecnologiche abilitanti al fine di rendere applicabile le modalità di “telelavoro” sia nell’impresa privata che nella PA, oggi questo problema è certamente risolto o comunque reso marginale dalla introduzione di soluzioni e applicativi derivanti dal mondo dell’ICT.
E allora constatare che ancora nel 2013 la percentuale di utilizzo di modalità di telelavoro rappresenta, nel nostro Paese, una quota che si aggira intorno al 2% della popolazione lavorativa attiva rispetto al 7/8% con punte del 20/22 % dei paesi del nord Europa e di oltre il 30% degli USA, ci induce a pensare- e una serie di indagini condotte anche dalla nostra Federazione lo confermano- che si tratti essenzialmente di una questione culturale.
Ma le abitudini, soprattutto quelle cattive, si possono cambiare.
L’Automobil Club d’Italia ha stimato in 40 miliardi il costo annuo del tempo perso nel traffico urbano da parte degli italiani. Per non parlare dei costi determinati dal consumo di carburante , dai pedaggi ,dai parcheggi, dalle giornate di malattia provocate da stress ,dai costi della gestione sanitaria per fare fronte alle cause di invalidità determinata dal crescente volume di incidenti, spesso mortali, provocati dall’intenso traffico automobilistico e motociclistico privato.
Lo studio che abbiamo condotto in collaborazione con l’Università di Tor Vergata di Roma ha messo in evidenza che, l’adozione di soluzioni di telelavoro in una percentuale dell’ordine del 5/6 % della popolazione attiva , determinerebbe una riduzione di costi di circa tre miliardi di euro all’anno in modo strutturale e crescente in ragione del numero di unità inserite in modalità di “telelavoro” .Oltre un quarto di punto del PIL. Nazionale.
Se a queste economie di scala aggiungiamo i benefici derivanti dall’innalzamento dei livelli di produttività e di qualità della vita viene fuori una fotografia che dovrebbe indurre chi ha responsabilità istituzionali e di governo a varare ,tempestivamente , misure in grado di porre il nostro Paese , ultimo in Europa per adozione di modalità di telelavoro, in condizione di recuperare il divario che anche in questo settore caratterizza purtroppo la nostra condizione.
Qualche timido richiamo all’uso di soluzioni di telelavoro è riportato nel decreto 2.0 ” Agenda Digitale” ma è ben altro l’impegno che dovrebbe essere messo in campo per fornire una soluzione idonea al problema.
In tempi rapidissimi PA e Imprese avrebbero la possibilità di integrare ,dove necessario, la propria piattaforma tecnologica per rendere abilitante l’uso e l’erogazione dei servizi.
L’Agenzia Digitale, il nuovo organismo chiamato a governare i processi di informatizzazione del Paese, sembra mostrare interesse verso questo tema ponendolo tra le priorità da promuovere.
Ora si tratta di dare la giusta impostazione al problema .
Adeguare i contratti di lavoro, eliminare barriere contrattuali che alimentano principi di discriminazione sia sul piano della qualità dell’attività lavorativa che su quello della crescita professionale. Nell’ambito del programma di collaborazione sui temi dell’Agenda Digitale che Federmanager ha avviato con l’Agenzia Digitale, la Commissione “Innovazione e Tecnologie” di Federmanager sta organizzando un evento sul tema del telelavoro con particolare riferimento alla PA centrale e Locale; sarà l’occasione per un ulteriore confronto con le istituzioni e l’opportunità per promuovere, ancora una volta, l’adozione di soluzioni in linea con le politiche e gli obiettivi di modernizzazione del Paese.