Bias e fake news

TikTok come motore di ricerca: ecco tutti i lati oscuri della piattaforma

Più di un social network: TikTok è diventato in tutto il mondo un sostituto dei motori di ricerca, specie per le informazioni turistiche. Tuttavia, sempre più spesso rischia di essere veicolo di disinformazione: dalla bassa trasparenza ai punti deboli su privacy e cybersicurezza, ecco tutte le questioni irrisolte

Pubblicato il 06 Ott 2022

Laura Brandimarte

Assistant Professor of Management Information Systems, University of Arizona

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TikTok è diventato più di un social network: per molti utenti rappresenta infatti un sostituto dei motori di ricerca come Google, soprattutto se si cercano informazioni turistiche, come alloggi o ristoranti, per i quali si vuole avere una percezione dell’ambiente, dell’atmosfera, dello stile, caratteristiche più facilmente documentabili in una breve clip che in una descrizione scritta.

Questi punti di forza, che hanno reso la piattaforma così popolare, costituiscono al tempo stesso motivo di allarme, perché grazie ad essi TikTok è diventato un preoccupante veicolo di diffusione di disinformazione. Secondo alcuni, la diffusione di video a sostegno di Ferdinand Marcos da parte del figlio, riscrivendo e glorificando la storia del dittatore, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nelle ultime elezioni politiche nelle Filippine.

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Il pericolo di disinformazione

All’inizio della guerra in Ucraina, TikTok è stato al centro dell’attenzione per la diffusione di video falsi o fuorvianti, come nel caso di immagini di altri conflitti precedenti (in Crimea o addirittura in altri paesi, come la Palestina) riportati come attuali o di video del tutto contraffatti. Per non parlare di video sull’uso di farmaci equini per curare la malattia causata dal COVID-19 o di erbe tossiche per indurre un aborto.

A volte quando si cerca informazione su un determinato argomento, quello che si vuole davvero è l’esperienza personale di qualcuno: ciò che quel qualcuno ha visto, sentito, toccato – il che può senz’altro aiutare nel caso in cui venga data pari rilevanza alle esperienze di diversi utenti. Ma quando sono solo pochi contenuti a diventare virali, l’esperienza personale del singolo diventa “la verità”: situazione piuttosto pericolosa quando si parla di politica, ideologia o salute pubblica.

L’opacità della piattaforma

Due caratteristiche di TikTok sembrano particolarmente problematiche. La prima è la bassa (si potrebbe azzardare mancata?) trasparenza riguardo sia il funzionamento dell’algoritmo che raccomanda contenuti agli utenti sia le scelte di moderazione dei contenuti pubblicati.

Si sa davvero poco dell’algoritmo di TikTok, senz’altro uno dei motivi centrali del successo della piattaforma, ma quello che sappiamo, che tra l’altro accomuna molti algoritmi di raccomandazione, punta ad un paradosso: se un utente guarda un video più volte per cercare di capire se è autentico, o vi ritorna dopo aver effettuato altre ricerche anche al di fuori di TikTok per controllarne la veridicità, l’algoritmo registrerà questa scelta come una chiara preferenza per quel video e video simili o correlati e, di conseguenza, raccomanderà contenuti simili.

Dunque, quando un utente critico prova ad utilizzare i propri criteri di valutazione per distinguere realtà e fantasia viene bombardato da ulteriore contenuto da verificare e, di fatto, rischia di autoalimentare l’esposizione ad informazioni potenzialmente discutibili e la loro amplificazione.

Inoltre, la posizione della dirigenza di TikTok è poco chiara riguardo alle decisioni su cosa eliminare dalla piattaforma e secondo quali criteri. Ufficialmente, le linee guida della comunità vietano la pubblicazione di video falsi che possono danneggiare gli individui, come quelli che incitano all’odio o al pregiudizio, che, se individuati, vengono eliminati. Ma, ad esempio, un video che travisa immagini di guerra potrebbe non violare esplicitamente le linee guida, quindi potrebbe rimanere sulla piattaforma e circolare liberamente. TikTok utilizza dei partner per effettuare il fact-checking dei contenuti distribuiti sulla piattaforma ed aggiunge un’etichetta di contenuto non confermato a tutti i video per i quali sia risultato impossibile a queste terze parti stabilire la veridicità. Quei video non verranno promossi dall’algoritmo ma rimangono pubblicamente accessibili e ricercabili.

Il confirmation bias da motore di ricerca

Oltre al problema della trasparenza, la seconda caratteristica che rende la piattaforma difficilmente gestibile per quanto riguarda la diffusione di disinformazione è proprio il suo nuovo ruolo di motore di ricerca. Quando le persone effettuano una ricerca, spesso lo fanno per confermare una loro ipotesi – fenomeno ampiamente noto e conosciuto come confirmation bias” o pregiudizio di conferma. Che ci piaccia o no, è la natura umana, ci accomuna tutti ed è molto difficile da contrastare anche essendone pienamente consapevoli.

La letteratura suggerisce che l’uomo tende a credere a qualcosa quando ne ha motivo: non sempre il suo obbiettivo è quello di formare delle convinzioni accurate; a volte è motivato a credere in qualcosa per i benefici emotivi, sociali o monetari che ne derivano. Ma non si accontenta di credere senza conferme, quindi ne cerca per razionalizzare le sue conclusioni.

Il modo stesso in cui effettuiamo una ricerca, ovvero la scelta delle parole chiave da ricercare, ha un effetto sui risultati che otteniamo. Ad esempio, se siamo convinti che la Terra sia piatta è molto più probabile che la nostra ricerca verta su espressioni come “prove che la Terra è piatta” invece che sull’opposto. I motori di ricerca, di conseguenza, restituiranno con maggiore probabilità (e possibilmente più visibilità, elencandoli per primi) contenuti a sostegno della teoria che la Terra sia piatta.

Se gli utenti cercano qualche argomento su TikTok lo faranno per lo più nello stesso modo, rischiando dunque di finire in un “rabbit hole”, una tana confortevole in cui si sentono protetti perché circondati esclusivamente da opinioni con cui concordano e che quindi confermano le loro convinzioni. Certo, questa non è una problematica che affligge solo TikTok, ma se questo social network viene utilizzato dai più giovani come motore di ricerca, alternativo ad esempio a Google, è chiaro che il problema risulterà qui amplificato.

Le questioni su privacy e cybersecurity

La diffusione di disinformazione si aggiunge a diverse altre problematiche di questo social network, in particolare quelle di privacy e sicurezza informatica. Recentemente si è scoperto che TikTok monitora tutto ciò che facciamo una volta cliccato un link all’interno dell’app: se inseriamo una password, un numero di carta di credito, qualsiasi tasto tocchiamo lascia un segno cui TikTok avrà accesso.

Alcuni responsabili di sicurezza della piattaforma hanno dichiarato che questa funzionalità esiste ma non viene utilizzata… peggio ancora, verrebbe da dire! Non solo si mettono a rischio dati sensibili, ma lo si fa senza una reale necessità per il funzionamento dell’app.

E se si pensa all’annuncio della loro ultima presunta data breach c’è molto di cui preoccuparsi: pare non si sia trattato di una falla nei sistemi di sicurezza di TikTok ma di quelli di una terza parte, apparentemente situata in Hangzhou, Cina, con cui TikTok condivide dati, e pare che si trattasse comunque di dati pubblici, cioè non sensibili, ma i punti interrogativi restano e gli esperti di sicurezza raccomandano agli utenti di cambiare password al loro account e di usufruire dell’autenticazione a più fattori se ancora disattivata (aggiungendo un indirizzo email o un numero di telefono su cui ricevere codici di conferma ulteriori alla password).

Come tutte le app del resto: utilizziamo TikTok con attenzione.

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