Uno degli elementi principali mancanti nel disegno delega di riforma della Pubblica Amministrazione lo ha delineato con poche frasi il presidente Renzi nel suo intervento alle Camere sul “programma dei mille giorni”: “La digitalizzazione della pubblica amministrazione serve a progettare il futuro, non a digitalizzare l’esistente” e ancora “Questo è l’elemento di base della nostra riforma della pubblica amministrazione che è attualmente all’esame del Senato: l’agenda digitale come occasione di trasformazione esistenziale del sistema della pubblica amministrazione e contemporaneamente il messaggio per il quale questo Paese può essere, nel giro dei mille giorni, il Paese leader sull’innovazione digitale della pubblica amministrazione”.
Quindi la riforma della PA come trasformazione che fa perdere di senso lo stesso concetto di “PA digitale”, perché il digitale diventa elemento integrante della nuova PA che cambia nel suo profondo, a livello di processi, di competenze, di organizzazione, di concezione della relazione con i cittadini. E qui c’è il sentore, ma purtroppo non affermazioni esplicite, del passaggio ad una “PA aperta” e a forme di amministrazione condivisa.
Ma se questa è la visione che si vuole rendere realtà nei prossimi mille giorni, ha senso ancora il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), nella forma e nella sostanza in cui è adesso?
La perdita di senso nella forma
Il CAD nasce nel 2005 con Stanca con l’obiettivo di creare un testo unico per tutte le nuove norme introdotte per il passaggio ad un’amministrazione che si relaziona in rete con i cittadini “Per la prima volta viene sancito da una legge sia il diritto dei cittadini di relazionarsi con le amministrazioni pubbliche attraverso le tecnologie telematiche (ossia attraverso Internet e il computer), sia l’obbligo per le amministrazioni di attrezzarsi in conseguenza in modo da rendere effettivamente esigibili i nuovi diritti” sulla base di principi già introdotti nel 2000 con il piano e-government di Bassanini “A nessun cittadino sarà richiesto più un certificato, anzi saranno vietati. Anche l’autocertificazione sarà pressochè eliminata, poichè tutte le amministrazioni in rete si scambieranno i dati necessari in tempo reale“. Il “nuovo CAD” del 2010, con Brunetta, aggiorna il testo precedente cercando di introdurre elementi in grado di riuscire finalmente a realizzare quanto previsto normativamente, per “creare le condizioni giuridiche e organizzative perché si possa finalmente completare il passaggio da un’amministrazione basata su carta e sul riconoscimento de visu dei cittadini ad una “amministrazione digitale”.
L’impostazione rimane però essenzialmente quella originaria, con l’innovazione tecnologica sostanzialmente ridotta e concepita (vedi le affermazioni di Renzi) come digitalizzazione dei processi esistenti nelle amministrazioni e con un focus pronunciato sugli elementi tecnici piuttosto che su quelli di processo. Non trovano posto, se non marginale, temi come la partecipazione dei cittadini, la nuova concezione dei servizi, una diversa organizzazione per promuovere la logica di processo rispetto alla frammentazione per funzioni e competenze.
Il CAD è rimasto così il contenitore delle norme associate alla digitalizzazione e legate ad una finalità specifica: assicurare “la disponibilita’, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilita’ dell’informazione in modalita’ digitale“. Forse utile dieci anni fa, inutile e ingombrante oggi, da un lato perché avvalora la percezione del digitale come un “affare tecnico” per tecnici, dall’altro perché oggi tutte le nuove leggi in tema di pubblica amministrazione non possono non contenere previsioni in tema di digitale. E sono sempre più, in gran parte, al di fuori del CAD.
La perdita di senso nella sostanza
Dal punto di vista della sostanza, se possibile, va peggio. Il CAD è un insieme di articoli con una struttura ed un dettaglio di scarsa leggibilità, con troppi riferimenti a norme esterne, e pieno di articoli con dettaglio tecnico elevato, con indicazioni operative che starebbero bene in una regola tecnica (tra i tanti, ad esempio, l’art.29). Un testo per tecnici e per giuristi. A questo si aggiunge l’uso ormai sempre maggiore, dal 2012 in poi, di collocare norme su temi trattati nel CAD anche al di fuori di questo (ad esempio, sui compiti dell’AgID in tema di coordinamento delle strutture di ICT delle PA, sull’open data, sulla sicurezza, sull’acquisizione di sistemi informatici) con una sempre maggiore riduzione del valore di “testo unico” e sempre minore garanzia che tutte le norme siano adeguatamente allineate.
A questi problemi, se ne sono sommati altri due, con sempre maggiore rilevanza negli ultimi anni:
• la presenza di norme con data di effettività già trascorsa, ma ancora in gran parte inapplicate, come quelle relative alla Continuità operativa (art. 50bis), il Riuso del software (art.69 e 70), e che, se applicate, avrebbero consentito già di disporre di dati essenziali e quindi richiesti nuovamente, ma come altro adempimento, alle amministrazioni (vedi ad esempio la richiesta di comunicazione delle basi di dati prevista dal DL 90/2014);
• la mancanza del monitoraggio annuale previsto sull’attuazione del CAD, e che impedisce di definire un programma di attuazione o una revisione ragionata sulla base dei risultati dell’attuazione. Magari sulla base di indicatori di efficacia della norma e quindi di miglioramenti di prestazione dell’organizzazione.
Dal punto di vista della sostanza, quindi, semplificando, un contenitore che non contiene tutto quanto dovrebbe contenere, e che non sappiamo quanto si discosta dalla realtà. Dal punto di vista programmatico, poco utilizzabile.
Una proposta: il Testo Unico dei principi dell’amministrazione aperta
Ecco che allora, grazie anche alla grande opportunità della legge delega, sarebbe bene attuare fino in fondo gli indirizzi espressi da Renzi, e accompagnare la trasformazione anche culturale che comporta l’abbandono irreversibile dell’agenda digitale come “settore”.
Questo passa anche dall’abolizione del CAD, come contenitore non più attuale, non più utile. Allo stesso tempo sarebbe invece da mantenere e anzi recuperare il valore del “testo unico” per i principi della nuova PA che si vuole costruire. In concreto, si potrebbe:
· definire un Testo Unico dei principi, delle policy dell’amministrazione aperta, accogliendo qui (rivisti e aggiornati) i principi e le norme di indirizzo più significative del CAD, insieme a quanto si sta costruendo (e si deve ancora costruire) in tema di Open Government e di Comunità Intelligenti, di telelavoro e di smart working, affermando la prevalenza della logica del funzionamento per processi. Un testo unico chiaro, leggibile (esempio di un nuovo modo di comunicare legislativamente), che poi possa essere declinato a livello territoriale e di singola amministrazione con un accompagnamento di regole tecniche;
· abolire l’attuale CAD come contenitore di norme, ridotto a questo punto a glossario e norme tecniche, aggregandole in modo coerente, come regole tecniche, su alcuni temi fondamentali (validità e certificazioni di firme, documenti, e così via), come già sta avvenendo su altri campi (es. Cybersecurity).
Sarebbe un segnale forte di un cambiamento reale e profondo. Da accompagnare al più presto con un rapporto sullo stato di attuazione delle diverse misure in ambito di pubblica amministrazione e la definizione di progetti di cambiamento, con chiare responsabilità e risorse e tempi realistici. Così costruiamo il futuro.