I videogame basati sulla filosofia, lo sappiamo, sono un grande classico. Primo tra tutti mi viene in mente Detroit: Become Human, videogame nel quale un gameplay estremamente tecnico e difficile lascia lo spazio a una trama profonda, carica di spunti di riflessione sulla tecnologia e sulla Mente. È stra-consigliato a chi è arrugginito, a chi vuole approcciare ai videogiochi per la prima volta e a chi volesse lasciare da parte le solite strutture di gioco.
Genesis Noir, meno noto, è un punta e clicca dalle atmosfere scure, un gioco di metafisica, di cosmologia, dove gli aspetti sensoriali (visivi, sonori) riescono a tradursi in emozioni travolgenti che ci fanno riflettere sul tempo e sull’amore.
Ancora più vicino alla filosofia, però, è Trolley Problem, Inc, rilasciato nell’aprile del 2022. Il titolo è subito eloquente. È un videogame, al limite tra un questionario per una ricerca scientifica e un esercizio filosofico, la cui narrazione, collocata a metà tra il comico e il serio, si basa davvero su paper filosofici legati al mondo reale.
Trolley Problem, Inc. e le scelte morali
Trolley Problem, Inc. ci mette di fronte a scelte estreme, come quella del notissimo dilemma ferroviario in cui ci viene chiesto o di lasciare correre un treno che travolgerà cinque individui o di deviare la sua traiettoria, colpendone uno solo: la particolarità di questi aut aut è che non si può non scegliere e qualunque opzione, inevitabilmente, ucciderà qualcuno: noi? Un gruppo più esiguo di individui? Nostra madre? Nostro fratello? Un soggetto anziano? Una donna? Un senzatetto? Un animale?
Le scelte in campo riflettono morali opposte: utilitarismo (si valuta, si propone un bilancio delle conseguenze, premiando la scelta che secondo i calcoli recherà beneficio a un maggior numero) e deontologia (si applica una regola morale senza valutare le conseguenze, essendo queste di fatto solamente ipotetiche, mentre la nostra decisione sarebbe in tutto reale). Nel caso del trolley problem un utilitarista alla Bentham sceglierebbe di deviare sulla singola persona legata, mentre un filosofo non consequenzialista come Kant eviterebbe di intervenire scegliendo di non assumersi la responsabilità di uccidere tout court.
Problemi morali e connotazione culturale
Secondo uno studio del MIT, i problemi morali di questo genere hanno una forte connotazione culturale. Insomma, a seconda di dove nasciamo e delle ideologie che ci nutrono, le nostre scelte morali saranno molto diverse. Lo studio fa parte di una valutazione sulle auto a guida autonoma, che, qualora fossero rilasciate su strada, non sarebbe infrequente che si assumessero la “responsabilità” di scelte estreme. Il punto è che includere nell’intelligenza artificiale un certo tipo di eticità non è un aspetto semplice e lineare, si rischierebbe una sorta di acculturazione forzata incapace di tenere conto e di preservare i valori propri di ogni società.
In Oriente, in effetti, si tende a salvare gli anziani, chi rispetta le regole stradali e la morale non è utilitaristica; al contrario in Occidente si privilegiano le persone giovani e il maggior numero. Nelle aree povere come il Sud America e le ex colonie francesi, per la scelta si tiene conto del reddito e del genere, cercando di salvare le donne (probabilmente ciò dipende dal fatto che nelle aree in cui vi è una forte mortalità infantile, le femmine sono un bene essenziale, per mantenere il ricambio).
Si capisce che le scenette proposte dal videogame possono avere un’importanza pratica notevole, lasciando aperte questioni rilevanti per l’educazione civica e collegamenti adeguati con i programmi di scuola.
Trolley Problem, Inc: non è un gioco per bambini
Il videogame si apre allertando il gamer che si tratta di un gioco contenente “adult themes”: non ci sono scene violente o di sesso, si parla di adultità perché ci proporrà scelte estreme, che ci porteranno a essere responsabili e a conoscerci nel profondo di un’identità spesso scomoda. Insomma, l’aut-aut di questo videogame è ciò che Kierkegaard analizzò come causa della nostra angoscia: sentimento proprio dell’essere umano in quanto costantemente aperto verso il futuro, verso le possibilità del proprio progetto di vita. Ogni “o-o” ci pone inevitabilmente di fronte alla rinuncia di uno dei due poli: Hegel sbagliava, gli opposti non vengono mantenuti, la contraddizione di tesi e antitesi comporta inevitabilmente il dolore per la perdita di ciò che non si è preferito. Non si può scegliere tutto, siamo mortali, mentre le possibilità di vita sono infinite, inoltre abbiamo a che fare continuamente con l’incognita di aver sbagliato, di aver giocato male le nostre carte. Insomma, non si può che cadere nella disperazione e nell’angoscia paralizzante. Ecco perché non è un gioco per bambini.
L’adultità è quando ci viene chiesto di essere totalmente responsabili per chi siamo e cosa facciamo; è sicuramente doloroso, ma l’alternativa sarebbe quella di non superare la crisi di identità tipica adolescenziale, che si configura come un liquido sperimentare ruoli, idee, una moratoria durante la quale si può essere tutti e dunque nessuno: l’esteta di Kierkegaard insomma, che, a causa dello scegliere di non scegliere, finisce nella noia e nella dispersione. Se tutto è eccezionale (l’esteta cerca di farsi stupire da tutto) di fatto nulla può esserlo; se tutto è bello, niente sarà veramente significativo, pertanto, per uscire da questo stato di isteria dello spirito e di tedio, l’unico modo sarà scegliere la scelta: lo stadio etico, o quello del marito. In breve, l’adultità, nonostante anche questa conduca a paradossi, a smacchi e sofferenze e per Kierkegaard anche al peccato: scegliendo di rimanere fedeli a se stessi, a regole della morale, si pensa di essere autonomi e di aver guadagnato il Paradiso grazie alla nostra condotta, ma pensare questo significa sostituirsi a Dio, al suo giudizio imperscrutabile. Ecco che per il filosofo danese l’unica soluzione è quella di rimettersi alla scelta di Dio, senza avere la presunzione di voler comprendere tutto, di razionalizzare, accettando il paradosso e lo scandalo.
Le decisioni e il coinvolgimento empatico
Quando ho proposto questo tipo di quesiti alle mie classi, per introdurre la robotica e le auto a guida autonoma, ho fatto riflettere loro sul fatto che, quando avevo posto il quesito in altro modo, qualificando le persone, magari dicendo che sull’auto c’erano un padre, una madre e i loro figli o addirittura specificando che sull’auto c’erano loro con la loro famiglia, le risposte erano cambiate o comunque i tempi di risposta si erano dilatati rispetto ai casi in cui la scena era descritta in astratto: donna, uomo, bambini. Anche nel videogame viene mostrato questo aspetto. Il trolley problem basico, proposto all’inizio, viene complicato da racconti sulle persone coinvolte: una bambina con il sogno di diventare medico, ad esempio. Di questo aspetto va tenuto conto, perché il coinvolgimento empatico, le emozioni che ne risultano, cambiano notevolmente le scelte individuali. Ma come si potrebbe insegnare alla macchina l’empatia? Il vissuto? Contesti pragmatici carichi di affettività?
Le decisioni e i sensi di colpa
Al termine di ogni decisione viene proposta una infografica per comparare la nostra scelta a quella degli altri utenti. Questo aspetto può creare senso di colpa: il paragone con le decisioni prese dagli altri trasforma il gioco in una simulazione più vicina alla Vita, quando le decisioni devono tenere conto dell’accettabilità, del giudizio, dell’omologazione con i valori socialmente accettati. A complicare le cose, avvicinando i quesiti a scelte che potremmo compiere nella quotidianità, c’è il tempo limite concesso. Qualora non si riuscisse a decidere in tempo, il corso degli eventi andrà come il fato aveva già predisposto. Anche questa è una morale: la si potrebbe definire fatalismo. È l’accettazione stoica di eventi che non sono in nostro potere di cambiare. Per lo stoicismo l’unica libertà umana risiede nella coscienza; è mantenere un atteggiamento impassibile di fronte all’inevitabile. Infine, man mano che proseguiamo, c’è addirittura una scheda che ci ricorda tutte le vite che abbiamo, scelta dopo scelta, sulla coscienza. Insomma, scelte di gioco sadiche: sarebbe interessante sapere come cambiano le scelte degli utenti con o senza tali informazioni e sarebbe curioso capire se invece schedare i morti non ci renda assuefatti e sempre più freddi, come una spia con la licenza di uccidere o come l’abitudine alle scene di guerra man mano che ci vengono somministrate.
I videogame sono politici e fanno propaganda
Tra i quesiti compaiono, infine, scene che possono elicitare dibattiti molto attuali, ad esempio scelte che riguardano l’eutanasia in contesti in qui questa è illegale o altre che concernono la vaccinazione, obbligatoria (o meno), tra i bambini.
Insomma, questo ci riporta alla questione se i videogame sono e possono essere politici. Tuttavia, va bene la provocazione, ma di fronte alla scelta di non vaccinare, il loquendo di Trolley Problem, Inc. finisce per canzonare l’utente, facendolo sentire inappropriato, chiedendo se crede anche nei cristalli e nell’aura, come se chiunque (e in qualunque condizione) non scegliesse la vaccinazione obbligatoria fosse inevitabilmente a-scientifico, irrazionale. Una posizione un po’ estrema, questa, che lascia pensare che il videogame non solo sia politico (è inevitabile, è un medium umano, non può non comunicare posizioni non cariche di società, persino Space Invaders potrebbe nascondere un “noi vs loro” politico), ma di propaganda, e molto di parte.
Conclusioni
In conclusione, Trolley Probelm, Inc. è un gioco carino, una simil-Moral Machine del MIT ma più estrema e interattiva. Mi domando se i dati che vengono raccolti dal videogame potranno essere in qualche modo utilizzati ai fini della ricerca scientifica.
Certo, alcune scelte di trama mi sono parse degli scivoloni, ma sono comunque dell’idea che anche queste possono essere occasioni di riflessione personale o di gruppo, lo spunto per un debate nella didattica. Alla fine, anche Minsky sosteneva che il mondo esterno non ci informa di lui, bensì ci rende noto qualcosa di noi. Se i significati che vediamo non sono in sé, oggettivi, indipendenti, ma dipendono dal soggetto che guarda, allora ciò che vediamo sono i nostri pregiudizi e allora ancor di più giocare ai videogame, mettendoci alla prova con bivi e turbamenti, è un modo per acquisire coscienza di chi siamo, per rendere conscio ciò che agiremmo in modo automatico.