l’analisi

Trump e Musk: l’alleanza tecno-populista che minaccia la democrazia



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Elon Musk e Donald Trump formano una joint venture politica e tecnologica che rifiuta la democrazia. La loro alleanza evidenzia il conflitto tra tecnologia, capitale e democrazia, minacciando le istituzioni liberali a favore di un sistema oligarchico

Pubblicato il 13 nov 2024

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria



trump & Musk (1)

Ha vinto Trump o ha vinto Elon Musk? Il gioco politico va avanti da un po’ di giorni. In realtà ha vinto Trump & Musk (la comune telefonata a Zelensky è un piccolo segno, ma altamente significativo). O meglio, Musk & Trump. E questo ci porta a dover riflettere ancora una volta sul conflitto tra tecnologia e capitale da un lato e democrazia e libertà dall’altro – per non dire della biosfera, la cui tutela è un fastidio da rimuovere per entrambi.

Un ritratto di Musk & Trump

Fascista, razzista, oligarca, imprenditore autocrate e compulsivo alla massima potenza nonché narcisista e cabarettista che entra nella sede di Twitter con un lavandino in mano, Elon Musk; fascista (lo ha detto anche il Washington Post), golpista, machista, razzista, reo di abuso sessuale Donald Trump. Con queste caratteristiche, non potevano che andare d’amore e d’accordo e non potevano che creare una perfetta joint venture politica e tecnologica. Perché ciò che accomuna entrambi è il rifiuto esplicito (e vantato) della democrazia e dello stato di diritto liberaldemocratico.

Lo comprova l’assist di Musk al governo italiano accusando su X i magistrati che si oppongono alle deportazioni dei migranti in Albania, magistrati che anche per Musk dovrebbero essere cacciati appunto perché esercitano quel bilanciamento dei poteri che è tratto essenziale di ogni democrazia liberale (senza bilanciamento e controllo reciproco dei poteri e delle istituzioni di uno stato non c’è democrazia), bilanciamento democratico dei poteri che sia Musk che Trump e il governo italiano ripudiano in nome di un potere che si pretende legibus solutus, cioè sciolto dal vincolo della legge. Forma di potere tipica di regimi di tipo imperiale o monarchico o dittatoriale o oligarchico – in cui chi detiene il potere non era e non si considera tenuto al vincolo di rispettare le leggi esistenti, prima fra tutte la Costituzione.

Un potere non democratico, ovviamente, semmai potentemente anti-democratico.

La democrazia? Un intralcio

E quindi – per quanto detto sopra – Musk e Trump non sono democratici. E quindi possiamo dire che non-democratici sono più della metà degli americani e che l’America in sé non è il faro della democrazia ma il suo fallimento più clamoroso. Musk & Trump sono populisti politici e populisti tecnologici, uniti in un matrimonio d’amore e di interesse. Perché il populismo politico è la negazione della politica e della polis, perché il populismo tecnologico è la negazione della politica e della autonomia della polis. Su tutto, la vittoria di Musk & Trump è ancora una volta la vittoria del capitale e del capitalismo. Come sempre in tre secoli di capitalismo tecnologico (il capitalismo & le macchine), ma oggi più di ieri, al crescere della pervasività della tecnologia e del sistema tecnico. E con le forme tecniche che diventano forme sociali (AndersL’uomo è antiquato, vol. II), ma anche e sempre più forme politiche di antipolitica, tutti dimenticando/non vedendo che la tecnica non è mai e non può essere mai democratica (anche se qualcuno lo ha creduto negli anni ’90 e lo crede ancora – cioè la favola di tecnologia uguale democrazia – rifiutandosi di vedere le smentite offerte dalla storia), né può essere anarchica; ed è anti-democratica per sua essenza e tendenza, imponendosi sempre come un dato di fatto capitalistico e tecnologico insieme (la catena di montaggio ieri, oggi la rete/digitale/intelligenza artificiale, che diventa immodificabile e neppure possibile oggetto di critica – si verrebbe subito classificati come anti-moderni e luddisti): qualcosa, appunto, di intrinsecamente e profondamente anti-democratico, ma che il nostro feticismo per la tecnologia legittima e accetta passivamente/attivamente, a prescindere da ogni principio di democrazia, finendone intrappolato – pur credendo di essere più liberi grazie alla tecnologia.

Ovvero, l’innovazione tecnica e il capitalismo oltre ad essere processi tecnici ed economici sono ormai forme di vita sociale e politica – sono l’ontologia dell’essere sociale, sono la teleologia del sistema e la teologia politica che lo governa – e si pretendono anch’essi legibus soluti, escludendo a priori ogni controllo democratico da parte del demos (di quello che un tempo era il demos); democrazia che rifiutano in nome della libertà dei mercati e del proprio profitto. Perché per il capitalismo vale ciò che Walter Lippmann diceva del neoliberalismo (e il neoliberalismo è l’ideologia politica del capitalismo, dire neoliberalismo è dire capitalismo e viceversa), cioè che il capitalismo è l’unica filosofia “che possa condurre all’adeguamento della società umana alla mutazione industriale e commerciale fondata sulla divisione del lavoro”, che a sua volta è un dato storico – un dato di fatto che non può essere cambiato; e suo compito è modificare l’uomo, adattandolo alle esigenze della produzione e di un capitalismo che diventa appunto “un nuovo sistema di vita per l’intera umanità”, accompagnando “la rivoluzione industriale in tutte le fasi del suo sviluppo”; e poiché essa è infinita, “l’ambiente sociale e il sistema capitalistico devono tendere a formare tra loro un tutto armonico” – un tutto armonico che significa negare sempre e comunque il pensiero critico (sempre disarmonico, altrimenti non sarebbe pensiero critico) e il conflitto di idee (base della democrazia) e quindi e appunto negare la democrazia.

E l’anti-democrazia del capitale si coniuga con l’anti-democrazia dei sistemi tecnici, soprattutto se digitali. Lo evidenziava già nel 1939 un grande filosofo della tecnica come F. G. Jünger (fratello del più famoso Ernst): “non è più l’uomo a creare il mondo che lo circonda, ma l’apparato industriale e così [l’uomo] impara ad agire contro la sua stessa volontà, deformata dalla macchina, […] e i suoi sforzi sono sempre provocati dalla macchina e sempre finisce per seguire la legge che è insita nello sviluppo della nuova tecnica” (in La perfezione della tecnica). Perché l’aspirazione al potere della tecnica, come del capitalismo, “si prefigge anche lo scopo di subordinare lo stato e di sostituire l’organizzazione statale con una organizzazione tecnica”. Perché “il tecnico oppone sempre i regolamenti tecnici allo stato e all’intera organizzazione sociale, in una instancabile produzione di leggi e di regolamenti contrassegnati da un carattere tecnicamente normativo”, cioè “la decisione tecnica è allo stesso tempo dispositiva e causale” – descrizione che si replica per il capitalismo e che è la perfetta (impossibile negarlo) descrizione del mondo di oggi.

Di nuovo: Musk & Trump, insieme per rimuovere la democrazia e sostituirla con un sistema tecnico-capitalistico nella sua massima libertà e quindi (onni)potenza, governato da oligarchi tecnologicamente legibus solutus – e sciolti soprattutto dalle regole della democrazia – ma che in realtà im-pongono le loro regole e le regole dell’oligarchia come appunto dati di fatto, che il demos lo voglia o meno – ma sempre più spesso lo vuole (come evidenzia appunto la vittoria straripante di Musk & Trump alle elezioni americane).

Oligarchia, mon amour…

Di nuovo le oligarchie, dunque. Oligarchie esplicite (ancora Musk & Trump), che non amano più nascondersi come in passato, ma amano mettersi in scena, cercano l’applauso e il consenso (disinformato) delle masse (che si fanno autolesioniste e sadomasochistiche, ma non lo percepiscono), consenso che raggiungono facilmente a colpi di clic e di fake-news. E negare la democrazia – e quindi la libertà – è appunto, come detto, l’obiettivo (è nel determinismo) della tecnica e del capitalismo.

In realtà, l’oligarchia ha una storia antica, che risale alla Grecia, ma diventa strutturale con il capitalismo, le cui oligarchie governano di fatto il mondo. Ieri soprattutto – appunto – in modo nascosto, non palese, oggi esplicitamente.

Scriveva il presidente americano Woodrow Wilson: “Una grande nazione industriale [cioè gli Stati Uniti] è controllata dal suo sistema creditizio. […] Perciò tutte le nostre attività sono nelle mani di pochi uomini. Noi siamo giunti ad essere uno dei paesi peggio guidati, uno dei più completamente controllati e dominati del mondo civile – non più un governo della libera opinione, non più un governo della convinzione e del voto della maggioranza, ma un governo dell’opinione e del dispotismo di un piccolo gruppo di uomini in posizione dominante”. Appunto, olig-archia invece di demo-crazia. Perché come ricordava Noam Chomsky (in Anarchismo, 2008), nella democrazia capitalista – definizione “che è una evidente contraddizione in termini” – “tutti devono sottostare e subordinare i loro interessi alla preponderante necessità di servire quelli dei proprietari e di coloro che appartengono alla classe dirigente [noi diciamo all’olig-archia] i quali, inoltre, controllando le risorse, possono facilmente modellare a loro vantaggio il sistema ideologico (mezzi di comunicazione, scuole, università e così via) per determinare le condizioni fondamentali entro cui funzionerà il processo politico, con i suoi parametri e programmi […]”.

Di più. Musk (oltre Trump) è “uno dei punti di riferimento dei settori più estremi dell’individualismo radicale e del superomismo narcisista, che sono gli elementi centrali dell’ideologia di diversi imprenditori della Silicon Valley. […] Questa nuova generazione di imprenditori politici ha ambizioni più grandi del tirare a campare trumpiano, e sono dunque molto più pericolosi per il futuro delle istituzioni democratiche.

L’autoritarismo è certamente un filo conduttore che collega queste figure a precursori come Berlusconi e Trump, ma nel caso di Peter Thiel e Musk c’è anche un’ideologia che porta alle estreme conseguenze temi che si sono lentamente fatti strada nella cultura della destra Usa. [Con] una visione del futuro secondo la quale solo cambiamenti radicali e profondi, ispirati da un gruppo ristretto di illuminati dotati di straordinarie capacità [noi diciamo, appunto: gli olig-archi], possono salvare una società che è stata indebolita da decenni di egemonia degli ideali democratici ed egualitari […]. La democrazia rappresentativa è […] un sistema obsoleto, da sostituire con un nuovo ordine in cui i migliori siano messi in condizione di emergere e di plasmare la società a propria immagine e somiglianza. C’è chi parla a questo proposito di tecno-feudalesimo, ma questa espressione non cattura appieno il potenziale distruttivo di una nuova, e molto più insidiosa, forma di suprematismo con chiare analogie con il fascismo e il nazismo” (Ricciardi – il manifesto del 18/08/2024).

E quindi la fascinazione delle masse per l’oligarchia. Un paradosso? No, l’esito inevitabile di quarant’anni di neoliberalismo & di digitalizzazione del mondo. Le masse ponendosi quasi voluttuosamente in una ennesima condizione di minorità kantiana rispetto al capitale e alla tecnica. E ai loro oligarchi. Sempre però ricordando che se Trump è un oligarca (si spera) temporaneo, quella di Musk e della Silicon Valley e della Heritage Foundation o di Amazon o di Blackrock è una oligarchia ormai consolidata e accettata da tutti, sinistre comprese. È il fascismo tecnologico. Molto più pericoloso del fascismo politico – che comunque è sempre stato e sempre è al servizio del capitale.

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