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Trump, ecco che cambia per il digitale e l’Europa: tutti i punti



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Deregolamentazione su tech, IA. Il ruolo di Elon Musk. Il pugno duro sui social a favore della libertà d’espressione “repubblicana”. L’aumentata distanza con l’Europa. Tanti gli scenari che si aprono sotto la nuova presidenza. Analizziamoli

Pubblicato il 8 nov 2024

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)



trump musk

L’associazione del prossimo presidente Usa Donald Trump con Elon Musk, che ha giocato un ruolo decisivo se non nel farlo eleggere quantomeno nel modernizzarlo, ha fatto dire un po’ superficialmente a molti commentatori che è in vista una stagione di amorosi sensi e forte collaborazione tra il governo USA e le grandi imprese tech.

Trump e la Silicon Valley: quali sono le premesse

Ossia una svolta rispetto all’amministrazione Biden ma anche alla prima di Trump. La presidenza uscente ha infatti installato una serie di uomini e donne dichiaratamente ostili alle Big Tech, da Lina Khan a capo della Federal Trade Commission a Tim Wu, professore di legge della Columbia University e per la prima parte del mandato tra i principali consiglieri di Biden.

Ma anche il primo Trump, se non dichiaratamente ostile, è stato quantomeno indifferente alla Silicon Valley, nulla a confronto con il trasporto di un Barack Obama che visitava giubilante la sede di Google, come raccontato da Steven Levy nel suo libro del 2011 “In the Plex” sulla vertiginosa ascesa dell’azienda di Mountain View.

In realtà, come noto, Trump ha lasciato la Casa Bianca bandito dalle principali piattaforme social, da X a Facebook, per il suo ruolo ambiguo se non apertamente infiammatorio svolto nell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.

E negli anni successivi le cose non sono certo migliorate, con attacchi sempre più frequenti da parte di Trump e soprattutto di moltissimi esponenti repubblicani ai bias e alla censura che la destra subirebbe da parte di piattaforme che si dichiarano neutrali ma che attraverso la propria attività di moderazione esprimerebbero principi contrari alla libertà di espressione garantita dalla Costituzione americana o addirittura promuoverebbero attivamente l’agenda woke delle élite progressiste.

Musk

D’altronde, proprio su questi presupposti si è cementata l’alleanza tra Trump e Musk e il secondo ha acquistato l’allora Twitter proprio su queste basi, contrapponendolo agli altri social. Lo stesso tycoon di origine sudafricana ha un rapporto quantomeno controverso con la Silicon Valley, per idee ma anche per tipologia di imprenditoria, più manifatturiera che immateriale.

Dopodiché è vero che molti dei principali protagonisti delle Big Tech hanno negli ultimi mesi provato un riavvicinamento a Trump, dalle frequenti telefonate di Zuckerberg al mancato endorsement del Washington Post ad Harris, deciso da Jeff Bezos. Ma, anche se meno visibili, gli stessi Tim Cook di Apple, Satya Nadella di MIcrosoft e Sundar Pichai di Google hanno intensificato i contatti con Trump.

Data l’imprevedibilità di quest’ultimo è difficile oggi capire se questo intenso lavoro diplomatico avrà successo o meno. Di certo, se il ruolo così visibile di Musk, al di là del fatto che sia stato o meno così decisivo nell’influenzare il risultato elettorale, ha fatto gridare alle ingerenze plutocratiche nel normale decorso dei processi democratici, pochi hanno notato come gli atteggiamenti remissivi e quasi impauriti della quasi totalità degli altri capitalisti digitali multimiliardari implicano come per quasi tutti il rapporto tra politica ed economia sia oggi più che mai sbilanciato a favore della prima.

Non solo perché Trump è dichiaratamente vendicativo ma perché sono tantissime le partite in corso o che potrebbero giocarsi su iniziativa delle istituzioni. Con alcune che vedono le Big Tech giocare in attacco, altre decisamente in difesa (e che magari proprio per tale motivo queste ultime non vorrebbero neppure fossero disputate). Tra le prime, c’è sicuramente la torta crescente del procurement civile e militare, dal cloud ai programmi spaziali per non parlare delle nuove frontiere dei sistemi di difesa. Sono però soprattutto le seconde a disturbare il sonno dei vertici del grande capitalismo digitale.  

I procedimenti antitrust contro le Big Tech

Un primo fronte aperto che coinvolge una buona parte dei colossi tecnologici statunitensi è quello antitrust. Qui si deve tenere conto che diversi procedimenti sono iniziati proprio durante la prima amministrazione Trump (in particolare, quelli contro Google e Meta, il primo dei quali è quasi arrivato al traguardo).

Difficile immaginare che i casi avviati si interrompano bruscamente. Tutt’al più, specie se cambieranno i vertici delle autorità preposte – come Trump farà – , si può immaginare un rallentamento nell’apertura di nuovi procedimenti. Ma in effetti quello che più temono le aziende in questione non sono tanto le sanzioni quanto i rimedi strutturali messi in campo per ripristinare normali condizioni concorrenziali.

Nel caso che coinvolge Google, che lo scorso 5 agosto è stata riconosciuta in primo grado colpevole di aver mantenuto illegalmente un monopolio sulle ricerche online, una delle ipotesi ventilate dall’accusa, rappresentata dal Dipartimento della Giustizia statunitense, è quella del breakup strutturale dell’azienda di Mountain View, sul modello di Standard Oil o più recentemente (ma neppure tanto, ormai più di quaranta anni fa!) della AT&T.

È evidente che con un diverso atteggiamento da parte dell’accusa, i giudici potrebbero essere decisamente più clementi nell’invocare soluzioni più o meno drastiche, ammesso che venga accertata al termine dei gradi di giudizio previsti la colpevolezza dei soggetti accusati.    

La regolazione delle piattaforme digitali e in particolare dei social

Un altro possibile timore di questi ultimi anni è stato quello di una regolamentazione sul modello europeo delle piattaforme digitali. In effetti, sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato giacciono decine di disegni di legge che hanno molte assonanze con la legislazione UE adottata nell’ultimo decennio.

Nonostante alcuni di questi tentativi fossero promossi congiuntamente da esponenti dei due partiti, è chiaro che le visioni a volte contrapposte, ad esempio sui social tra i democratici che volevano imporre alle piattaforme maggiori obblighi di moderazione e i repubblicani che tendenzialmente li volevano vietare o quantomeno restringere significativamente, hanno finito per produrre una situazione di stallo. In un contesto nel quale i pianeti istituzionali sono decisamente più allineati di prima, con i repubblicani che oltre all’esecutivo hanno la maggioranza delle due Camere e della Corte Suprema, una situazione che molto raramente è accaduta negli ultimi decenni, potrebbe esserci più spazio per qualche intervento.

Ad esempio, a tutela dei minori, oltre a rafforzare come già detto la libertà di espressione. Oppure ispirato da motivi di sicurezza nazionale, vedi la vicenda TikTok e la separazione dalla cinese ByteDance.   

L’intelligenza artificiale tra regolazione e sviluppo

I timidi tentativi di regolamentazione che nell’ultimo biennio sono stati proposti all’attenzione del Congresso è probabile che siano definitivamente messi nel cassetto. In un’area così cruciale per la sicurezza nazionale ma anche per realizzare lo slogan MAGA (Make America Great Again), ammesso che sia qualcosa di più di un acronimo accattivante, è sicuro che ci saranno interventi, come peraltro già accaduto con un executive order indirizzato da Trump ai dipartimenti e alle agenzie federali durante il suo primo mandato.

Quello che più preoccupa è il livello di engagement degli Stati Uniti nei diversi consessi di cooperazione multilaterale, dal G7 all’OCSE e alle Nazioni Unite fino ai vertici sulla sicurezza, inaugurati da quello di Bletchley Park di un anno fa e alla collaborazione internazionale promossa tra i vari organismi ed istituti creati ad hoc. L’amministrazione Biden si è molto spesa in questo senso e sarebbe dunque un peccato se gli USA cambiassero atteggiamento, proprio in un momento decisivo per la definizione internazionale degli standard (peraltro fondamentale per l’applicazione dell’AI Act europeo).

Le relazioni con la Cina

Guardando alle relazioni internazionali in materia di digitale, il fronte cinese è sicuramente il primo verso il quale si girerà l’America di Trump. Lui promette un aumento dei dazi, a tutto campo. Ma forse, al di là dell’approccio probabilmente più personale tra i rispettivi leader di quanto non sia stato con Biden, questa è l’area nella quale dovremmo aspettarci meno cambiamenti in assoluto visto che la maggiore aggressività inaugurata proprio dalla prima amministrazione Trump è stata proseguita nel quadriennio successivo in un percorso di sostanziale continuità.

Nella sfera digitale, sia per questioni interne (l’atteggiamento più repressivo da parte delle autorità cinesi nei confronti dei propri campioni tecnologici) che esogene (il deflusso di capitali statunitensi con conseguente crollo dei fondi di venture capital destinati alle startup cinesi), la Cina di oggi fa forse meno paura di quella di qualche anno fa. E con Musk in plancia di comando è probabile che il focus si sposterà maggiormente sull’automotive e più in generale sulle tecnologie e le materie prime per la transizione verde, dove la Cina è chiaramente avanti a tutti. Anche se occorre sempre ricordare che lo stesso Musk (ma non è certo un caso isolato, si pensi solo ad Apple) ha interessi manifatturieri e commerciali decisamente elevati in Cina. Difficile dunque pensare a una strategia troppo aggressiva o quantomeno più rigida di quella attuale.

Le relazioni con la UE

Dove invece le relazioni potrebbero cambiare in maniera netta è proprio rispetto alla UE. A Bruxelles non c’è nessuno che scommetta sulla sopravvivenza del Trade and Technology Council, forum transatlantico istituito dall’Amministrazione Biden insieme alla Commissione europea sotto la guida di Ursula von der Leyen nel 2021 proprio per rafforzare quel dialogo sulle politiche commerciali e digitali venuto meno nel primo mandato di Trump.

Sono anzi in molti a credere che i numerosi procedimenti antitrust aperti dalla Commissione europea nei confronti dei principali colossi tecnologici americani nonché l’enforcement di provvedimenti ritenuti ostili come il DSA, il DMA e in prospettiva l’AI Act possa aumentare sensibilmente le probabilità di una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Ovviamente non possiamo che augurarci che si tratti di timori almeno parzialmente infondati e d’altronde l’Europa rappresenta sempre un mercato di prima grandezza per le aziende statunitensi, a cominciare da quelle di Elon Musk. È però probabile che almeno a livello di retorica verso Bruxelles si vada verso un livello di scontro decisamente più alto rispetto a prima e i rapporti con l’UE passeranno meno dalla capitale UE e più da quelle dei principali Stati membri (almeno di quelli più allineati con la nuova amministrazione).

Il rischio di tutto questo, come minimo, è che gli USA, consapevolmente o meno, contribuiscano a destabilizzare il progetto di integrazione europea in un momento di evidente appannamento, complice la debolezza politica della guida franco-tedesca e la crescente divaricazione ideologica tra i principali gruppi politici. Non proprio il massimo quando, sul fronte del digitale, le due sfide decisive a livello UE sono un enforcement della regolazione il più possibile uniforme tra i diversi Stati mmebri e un aumento degli investimenti comuni nelle tecnologie strategiche, dall’intelligenza artificiale al quantum computing e ai semiconduttori.

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