La disinformazione è diventata un elemento centrale nella politica americana sotto la presidenza di Donald Trump. Fin dai primi giorni del suo mandato, Trump e i suoi consiglieri hanno propagato numerose falsità, alcune delle quali sono state ripetute anche in contesti ufficiali.
Ad esempio, Karoline Leavitt, alla sua prima conferenza stampa come segretaria stampa della Casa Bianca, ha accusato l’amministrazione di aver bloccato un contratto da 50 milioni di dollari per acquistare preservativi per Gaza, una dichiarazione che è stata rapidamente smentita.
Nonostante la smentita, la notizia è divenuta virale, alimentando il discorso politico che Trump ha utilizzato per giustificare la sua spinta a ridurre il governo federale.
Indice degli argomenti
Il nuovo ecosistema media USA
Gli americani si sono sempre più allontanati dalle organizzazioni giornalistiche tradizionali per approdare a una cacofonia digitale di podcast, livestream e feed dei social media, dove la partigianeria, il furore e il risentimento prevalgono generalmente su una deliberazione equilibrata dei fatti. La sinistra politica ha i suoi preferiti, ma questo nuovo ecosistema mediatico è oggi dominato dalla destra. “Stiamo conducendo una campagna di guerra informativa del 21° secolo contro la sinistra”, ha detto il mese scorso Jesse Watters, personaggio di Fox News.
“È come una guerriglia”, ha aggiunto. “Qualcuno dice qualcosa sui social media, Musk lo ritwitta, Rogan lo manda in podcast, Fox lo trasmette. Quando arriva a tutti, milioni di persone l’hanno già visto”.
Durante i suoi primi quattro anni di presidenza, Trump ha fatto migliaia di dichiarazioni false o fuorvianti, ma nella sua seconda amministrazione, queste bugie sono amplificate da un gruppo di funzionari che contribuiscono a creare un ambiente in cui la verità viene messa in discussione e le finzioni vengono utilizzate per perseguire obiettivi politici. Gli esempi includono affermazioni errate su vaccini, piani sanitari e l’uso di soldi pubblici. Le false affermazioni sono spesso amplificate attraverso i social media, dove figure come Elon Musk e influenti media di destra diffondono informazioni distorte che hanno un grande impatto sul pubblico.
Post verità istituzionale: disinformazione Usa con Trump
La diffusione di disinformazione non è più confinata ai margini della rete, ma è divenuta parte integrante della strategia politica di Trump e dei suoi alleati.
Questo ha causato un’erodibilità della fiducia nelle istituzioni e ha portato alla nascita di un nuovo tipo di politica post-verità, dove i fatti vengono contestati e le finzioni vengono usate per giustificare decisioni politiche.
La situazione ha anche reso difficile contrastare la disinformazione, poiché è difficile far fronte a una narrativa così potente quando proviene direttamente dal presidente e dai suoi sostenitori. L’utilizzo della disinformazione come leva strategica si osserva in diversi contesti istituzionali e politici, in particolare nei sistemi democratici esposti a frammentazione informativa, polarizzazione crescente e infrastrutture digitali che privilegiano l’engagement.
Il caso statunitense, raccontato in un recente articolo del New York Times, mostra in modo emblematico un possibile scenario: la disinformazione non più come deriva accidentale, ma come elemento funzionale alla comunicazione di governo.
Le fake news di Trump
Nel primo briefing dell’amministrazione in carica, la portavoce Karoline Leavitt ha dichiarato l’impegno a dire la verità “ogni singolo giorno”. Subito dopo, ha annunciato il blocco di un presunto contratto da 50 milioni di dollari per preservativi destinati a Gaza, definendolo uno spreco di denaro pubblico.
Tuttavia, secondo le verifiche successive, quel fondo risultava destinato a un programma sanitario in una provincia del Mozambico, e non collegato alla questione palestinese. Nonostante la smentita, la notizia ha avuto un’ampia diffusione, contribuendo a rafforzare una narrazione politica precisa. Il dato rilevante, qui, non è la singola imprecisione, ma la dinamica: un’informazione errata, facilmente confutabile, riesce comunque a funzionare nel ciclo comunicativo, generando attenzione, reazione e polarizzazione.
Trump incolpato l’Ucraina, ad esempio, per la guerra che la Russia ha scatenato con l’invasione delle sue forze nel febbraio 2022 e ha definito Zelensky un dittatore per aver sospeso le elezioni mentre il Paese è sotto legge marziale.
“È terribilmente difficile avere una conversazione razionale sulla politica ucraina se non si riconosce il fatto che la Russia ha invaso l’Ucraina”, ha dichiarato James P. Rubin, che ha diretto il Global Engagement Center del Dipartimento di Stato, che ha monitorato la disinformazione e la propaganda straniera fino a quando non ha perso i finanziamenti a dicembre.
Non si tratta di un caso isolato. Alcune analisi pubbliche indicano che in fasi politiche precedenti si sono registrati volumi elevati di dichiarazioni false o fuorvianti da parte di figure istituzionali. Al di là del dato, ciò che colpisce oggi è il cambio di statuto: la disinformazione non è più una scoria del sistema, ma uno strumento deliberato. Le affermazioni imprecise non vengono smentite, ma rilanciate. La loro funzione non è chiarire, ma attivare.
Perché la disinformazione ha successo
È qui che il paradigma si sposta. In un ecosistema regolato dall’attenzione, la verità non è un vincolo: è una variabile accessoria. I contenuti vengono premiati non per la loro accuratezza, ma per la loro capacità di generare engagement, polarizzazione, senso di urgenza. In un sistema di competizione per l’attenzione, la disinformazione non è un errore. È l’equivalente informativo della pubblicità ben fatta.
Il problema non è che il sistema produce disinformazione. Il problema è che ne ha bisogno.
Le notizie false non si diffondono a caso. Spesso sono costruite in modo da generare identificazione, attivare opposizioni, mobilitare appartenenze. Più sono improbabili, più funzionano: perché richiedono smentita, attirano indignazione, occupano spazio cognitivo. È un’architettura perfetta: reattività emotiva e amplificazione algoritmica si alimentano a vicenda. La polarizzazione non è una deriva. È un meccanismo.
I limiti del fack checking
In questo contesto, il fact-checking ha mostrato limiti evidenti. Sebbene essenziale in termini di trasparenza, si rivela spesso inefficace nella pratica: numerose evidenze sperimentali mostrano che la smentita può rafforzare l’identità di gruppo e aumentare l’adesione alla versione iniziale. Non si produce un allineamento, ma una saldatura. Noi contro loro. Vittime contro persecutori. Fatti contro “verità alternative”. L’informazione si trasforma in campo di battaglia simbolico.
A rendere questa dinamica strutturale è l’ambiente digitale che la ospita. I contenuti non circolano in modo neutro. Gli algoritmi non cercano la verità, ma la prestazione. Premiano ciò che divide, emoziona, attiva. In questo sistema, la realtà oggettiva diventa un effetto collaterale. La “verità” è una delle tante narrazioni disponibili. E spesso è la meno utile per ottenere attenzione.
Per lungo tempo si è sottovalutata la portata del problema. I tentativi di risposta – educazione digitale, fact-checking, etichette di verifica – sono nati da una lettura superficiale: si è trattata la disinformazione come un bug, non come un feature. Molti analisti, studiosi, istituzioni culturali hanno affrontato la questione con strumenti concettuali inadeguati. Preferendo la speculazione morale alla comprensione sistemica.
Chatbot, prebunking e pensiero critico contro la disinformazione
Rricerche recenti suggeriscono che l’uso di IA, in particolare dei chatbot come ChatGPT, potrebbe essere più efficace nel contrastare le teorie del complotto. Un studio del 2024, guidato da Thomas Costello del MIT, ha coinvolto 2.190 persone che interagivano con il modello GPT-4, e ha rilevato che il 20% dei partecipanti ha ridotto la propria convinzione nelle teorie del complotto dopo tre conversazioni. Inoltre, uno su quattro ha completamente abbandonato le proprie credenze.
Chatbot
Costello attribuisce il successo dei chatbot IA alla loro capacità di fornire contro-argomentazioni razionali, supportate da dati, a differenza degli esseri umani che spesso si affidano a risposte generiche. Inoltre, i modelli IA vengono percepiti come più neutrali e affidabili rispetto agli esseri umani, che potrebbero essere visti come motivati politicamente.
Prebunking
Un’altra strategia è evitare che una credenza errata si radichi, potrebbe essere più efficace il “prebunking”, piuttosto che il debunking. Questo concetto esiste fin dagli anni ’60, sebbene con un nome meno accattivante: “inoculazione attitudinale”. Coniato dallo psicologo sociale William McGuire, l’approccio consiste nell’informare le persone che esistono credenze stravaganti e disinformazione, seguito dall’illustrazione di esempi specifici e suggerendo strategie per evitarle e superarle. Fornire una confutazione, rende le persone più inclini a resistere alla disinformazione.
Uno studio del 2023 che ha esaminato una gamma più ampia di interventi ha trovato che l’inoculazione di questo tipo ha avuto effetti definiti dagli autori come “medi” o “grandi” nel contrastare tali credenze. Tuttavia, la durata dell’efficacia del prebunking rimane incerta.
Musica
Ci sono altri modi per manipolare l’attenzione delle persone. Un’analisi pubblicata ad agosto da ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison suggerisce che i messaggi di debunking pubblicati da esperti medici su TikTok sono più efficaci se accompagnati da musica a tempo elevato. Gli accademici ritengono che la musica aiuti a sopraffare la capacità del cervello di presentare contro-argomentazioni, rendendo il messaggio più persuasivo per l’ascoltatore. Utilizzare narrazioni forti per accompagnare un determinato messaggio, inclusi personaggi e descrizioni dettagliate, è un altro modo di sopraffare la capacità del cervello di contrastare le affermazioni false, come ha dimostrato la ricerca precedente.
Molte di queste tecniche, naturalmente, possono essere sfruttate anche dai diffusori di disinformazione, oltre che dai debunker.
Pensiero critico
Una notevole eccezione è l’educazione al pensiero critico, che consiste nell’insegnare come valutare le prove per prendere decisioni informate. Un studio condotto su 806 studenti universitari nel 2018 ha rilevato che tale educazione aveva la capacità di ridurre la credenza negli alieni e nella pseudoscienza della salute. Tuttavia, non è stata altrettanto efficace nel contrastare, tra le altre cose, la negazione dell’Olocausto e la convinzione che lo sbarco sulla Luna fosse falso.
Redazione
Le conseguenze anche in Europa
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un ciclo di instabilità cognitiva sempre più rapido. Un pendolo tra estremismi speculari, dove ogni leadership si presenta come antidoto alla precedente. Non è affatto improbabile immaginare un futuro prossimo segnato da un’alternanza tossica tra polarizzazioni simmetriche: da Alexandria Ocasio-Cortez a J.D. Vance, e ritorno. Una democrazia formale che conserva le sue istituzioni, ma non più la capacità di costruire un senso condiviso della realtà.
E questo schema non è esclusivo degli Stati Uniti. Si osservano segnali simili in Europa, in Sud America, in molti paesi africani e asiatici. Ovunque l’informazione diventa meccanismo di potere e l’infrastruttura digitale funziona da moltiplicatore delle reazioni. Ovunque si afferma un ecosistema cognitivo in cui la competizione per l’attenzione sostituisce il confronto tra idee.
Come fare?
La risposta non può essere affidata solo a strumenti di contenimento. Serve una nuova epistemologia civica, che riconosca la natura sistemica del problema. Serve una governance dell’informazione che non si limiti a reagire, ma che sia progettata per prevenire. Che renda trasparenti le logiche di amplificazione, garantisca accesso ai dati, abiliti il monitoraggio indipendente e continuo delle dinamiche informative.
E serve, più di ogni altra cosa, un’alleanza tra scienza, istituzioni e società.
Non per decidere cosa è vero. Ma per garantire che ci sia ancora spazio per discuterne.
Altrimenti, resterà solo il rumore.