Il ruolo delle imprese nella tutela dei diritti umani è un tema di grande attualità. Accanto alle ragioni storiche, riconducibili alla progressiva diffusione delle pratiche di sostenibilità nelle aziende, si è aggiunta la spinta normativa a livello europeo che richiede alle aziende UE di valutare i rischi e prevenire i danni ai diritti umani, al clima e all’ambiente lungo le loro catene di valore globali.
Il dovere di diligenza delle imprese in materia di diritti umani e ambientali
Con il voto di inizio giugno 2023 al Parlamento europeo, si è avviato ufficialmente l’ultimo step legislativo che porterà all’adozione di una nuova Direttiva relativa al dovere di diligenza (due diligence) delle imprese in materia di diritti umani e ambientali. Si tratta di una svolta significativa nel panorama normativo, poiché richiederà alle imprese che operano all’interno dell’UE di dotarsi di politiche e comportamenti efficaci a garantire il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente non solo nelle operazioni che intraprendono direttamente, ma anche nelle catene di fornitura di cui si avvalgono a livello globale. In caso di violazioni, le aziende saranno ritenute per la prima volta legalmente responsabili dei danni causati alle persone e agli ecosistemi. Siamo di fronte a un vero e proprio cambiamento culturale e a un’opportunità di un’evoluzione verso nuovi modelli di business.
L’approccio normativo si affianca quindi a quello volontario con cui le aziende che hanno già avviato percorsi di trasformazione dei fornitori in partner hanno potuto appurare un impatto positivo sul business, secondo la creazione di valore condiviso.
I diritti umani visti dalle imprese italiane: sfide, opportunità, bisogni
Molte aziende in Italia hanno inserito il tema dei diritti umani nella propria agenda di sostenibilità, ma c’è ancora molta strada da fare. Emergono in questo momento nuove opportunità ma anche nuove sfide da affrontare e bisogni finora inespressi dal settore privato, come evidenzia una recente indagine tramite sondaggio al quale hanno aderito 77 aziende italiane (il 56% con più di 250 dipendenti) di diversi comparti produttivi (il 32% operante nella filiera agroalimentare).
Dall’indagine emerge che le strutture aziendali sentono una crescente pressione sul tema dei diritti umani, anche se al è momento è solo una minoranza quella che si è dotata di strumenti sistematici di gestione della tematica. Il 70% delle aziende italiane intervistate si dichiara particolarmente attento al tema dei diritti umani, ma non ha piena contezza delle risorse impiegate, dei metodi utilizzati per l’analisi, delle politiche e pratiche adottate lungo la filiera di produzione. A questo proposito, per esempio, solo il 26% delle aziende dichiara di avere una policy sui diritti umani, e solo il 12% di avere adottato a oggi strumenti e processi strutturati di due diligence. Invece il 40% non ha nessuna misura stabile di mitigazione e agisce occasionalmente o al bisogno, in maniera reattiva. Per molte imprese italiane la scelta di occuparsi del tema dei diritti umani sembra dettata più dalla necessità di essere coerenti con i valori aziendali (45%) che dal volere conoscere i rischi connessi alle attività lungo la filiera di approvvigionamento, soprattutto in paesi a rischio. Questo è un elemento percepito ancora come leva marginale, soprattutto nelle piccole e medie imprese.
Tra le principali criticità, la ricerca evidenzia come nella maggior parte delle imprese (61%), la responsabilità e la gestione del tema dei diritti umani sia affidata unicamente all’area risorse umane. Solo nel 2% dei casi è coinvolto il settore acquisti, cruciale per la valutazione dei rischi lungo le filiere e la selezione di partner e fornitori. Che il tema dei diritti umani sia percepito come essenzialmente interno emerge anche dagli strumenti utilizzati per monitorare i rischi: il 33% delle aziende si affida a questionari diffusi solo presso la platea dei dipendenti e solo il 10% conduce valutazioni dei rischi tramite visite ai propri fornitori. Dati che lasciano intendere quanto l’ambito di applicazione dei diritti umani sia ancora limitato al perimetro aziendale interno e quanto poco si consideri il rischio di violare i diritti umani nell’ambito delle proprie filiere.
La gestione dei rischi connessi ai diritti umani
È interessante notare anche come in molte aziende italiane è solo il senior management a definire e gestire i rischi connessi ai diritti umani (41%), mentre c’è una scarsa apertura verso il coinvolgimento di stakeholder esterni come interlocutori essenziali: per esempio solo il 2% delle imprese coinvolge i propri fornitori. Questa autoreferenzialità e la difficoltà di coinvolgimento di soggetti esterni è un punto critico di particolare rilevanza, se si considera che la tutela dei diritti umani va perseguita insieme a chi per mission rappresenta gli interessi dei lavoratori, dentro e fuori l’impresa.
Tuttavia sempre dall’indagine risulta evidente quanto molte aziende sentano la necessità di informazione, formazione, sensibilizzazione dei dipendenti e del management in tema di diritti umani (41%), oltre che di un supporto specializzato (27%) per governare al meglio una materia di cui hanno compreso l’importanza, ma che non riescono ancora a gestire in modo strutturato. Solo una minoranza delle aziende a oggi dimostra un vero presidio strategico e operativo del tema dei diritti umani e in molte indicano la necessità di sviluppare nuove competenze specialistiche.
Diritti umani: un percorso pieno di sfide e opportunità per le aziende italiane
La ricerca ci restituisce un’immagine delle aziende italiane interessate e motivate ad affrontare il tema dei diritti umani, ma anche consapevoli delle difficoltà e dei limiti delle competenze interne; solo in parte già impegnate a utilizzare i diversi strumenti disponibili ma con limitata attenzione alle filiere di produzione. Il presidio dei diritti umani è ancora un cantiere aperto per molti, dove si è fatto il primo passo, si è inserito il tema in agenda e si sono gettate le basi valoriali ma c’è ancora molto da fare sulla implementazione degli strumenti operativi per dare concretezza a tali principi: modelli di risk assesment, sistemi di valutazione, misurazione e mitigazione del rischio, canali di segnalazione delle violazioni e piani di miglioramento.
Si delinea un percorso pieno di sfide e opportunità per le aziende italiane verso un business più responsabile socialmente, che risponda alle nuove normative, ma anche alle nuove tendenze di un mercato (di investitori e consumatori) sempre più esigente.
È necessario allargare l’ambito di osservazione e di implementazione dei diritti umani oltre i propri confini aziendali, lungo tutta la filiera, come chiede la Due Diligence Directive: conoscere e analizzare i veri rischi d’impatto (reale e potenziale), fotografare lo stato dell’arte (assesment) per costruire consapevolezza e azioni correlate e commisurate al rischio individuato. È essenziale creare relazioni di mutuo beneficio con i propri fornitori e creare le condizioni per modelli responsabili, costruire partnership di valore per essere presenti nei territori ad alto rischio, migliorare le pratiche, condividere le best practice con il settore.
Conclusioni
In conclusione, i motivi per occuparsi di diritti umani sono molti: dalla gestione del rischio alla ricerca di vantaggi competitivi. Per questo è necessario dotarsi di una visione e un approccio di lungo periodo. È importante non limitarsi ad affrontare il tema solo in termini di compliance, ma darsi il tempo per integrare il tema nel modello di business e per porsi obiettivi di reale impatto per le persone e le comunità coinvolte dalle attività dell’impresa.