arte e tecnologie

Tutte le dimensioni del museo in tempi di pandemia: una bussola per educare e educarsi

Ogni museo è diverso dall’altro, singolare, unico e indeterminato. Alla continua ricerca di un modo di mappare il presente, inventa linguaggi e non si limita a usare tecnologie, i sostituti di presenza come sostituti di intelligenza e immaginazione. Ecco perché diventa uno spazio essenziale, in questi tempi di caos

Pubblicato il 04 Feb 2022

Fabio Fornasari

Architetto museologo, direttore artistico Museo Tolomeo, ricercatore associato IRPPS-CNR, Membro ICOM

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Il tempo presente ci consegna una realtà che se prima era complessa ora è immersa nel caos. Abbiamo bisogno di nuove guide, di un nuovo sistema di orientamento per fare del museo uno strumento utile per la società, per fare dell’inclusione non solo una materia di studio astratta ma una pratica che si esercita quotidianamente.

Il compito non è più solo quello di educare ma anche quello di educarsi: le due dimensioni si intrecciano inscindibilmente nella costruzione di una competenza che si costruisce nel tempo e ha bisogno di essere praticata per essere migliorata. Ha anche bisogno di incontrare altre competenze.

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Orientarsi

I nostri ambienti sono complessi e complesse sono le attività che si sviluppano al loro interno. Abbiamo bisogno di costanti indicazioni per poter comprendere dove siamo, riconoscere quale è il nostro obiettivo e seguire tra tutte le strade quella più utile per raggiungere il nostro risultato. Questa è l’attività di chi si occupa di orientamento e mobilità con ipovedenti e non vedenti ma che è alla base di qualsiasi altra persona che può farlo in autonomia. Il suo nome? Wayfinding.

Kevin Lynch se ne occupava già negli anni Sessanta ed è argomento nel volume “L’immagine della città”. Abbiamo bisogno di spunti sensoriali, di rendere sensibile il mondo.

Fare wayfinding al museo

Fare wayfinding al museo ha un significato preciso che si sviluppa intorno a ricerche degli anni Sessanta svolte dal nostro ambiente, che ci forniscono diversi livelli di informazioni, facilitano e abilitano le nostre capacità di orientamento e navigazione.

Queste informazioni sono formate da segnali visivi che l’ambiente ci presenta e sono mescolate con segnali mentali che formiamo nella nostra mente in base a ciò che vediamo e nei nostri ricordi. I segnali sensoriali giocano un ruolo chiave nel nostro orientamento e ci aiutano a creare mappature mentali degli spazi che attraversiamo. Ma fondamentali per chi fa ricerca è avere oltre alla chiarezza dei segnali visivi anche chiari i concetti intorno ai quali ragioniamo.

È quello che ci accade quando sottolineiamo un libro che stiamo leggendo: aggiungiamo un segnale sensoriale (visivo) a una parte del discorso per renderlo evidente, renderlo un segnale mentale. A questo serve fare le liste: ordinare in uno spazio che non è solo visivo.

Fondamentale quindi avere chiaro non solo lo spazio fisico che attraversiamo ma anche avere chiari i segnali mentali, facili da descrivere, chiaramente elencabili e molto evidenti e distinguibili. Perché ciò accada, devono essere salienti in contrasto con l’ambiente in cui si trovano.

I diversi modi di intendere il museo nella società

Ci sono diversi modi di intendere il museo nella società.

Forse ce ne sono tante quante sono i musei.

Prendiamone due, partiamo da due dichiarazioni in contrasto tra loro, che esprimono due sentimenti differenti verso il museo, verso il ruolo che deve ricoprire nella società.

Per comprendere quale ruolo ha il museo in questo momento storico particolare dominato da “verità” in crisi.

• “Il museo è il luogo di memorie a cui nessuno più importa”.

  • “Il museo è il luogo ideale da cui raccontare storie”.

Il primo modo di intendere il museo ce lo presenta come qualcosa di lontano da noi, come il luogo deposito di verità non più utili.

Il secondo pone l’attenzione sulla possibilità del museo di essere il centro per rispondere alla nostra necessità di inventare e di ascoltare storie. Storie che si appoggiamo su verità custodite all’interno dei depositi museali, che popolano le sale museali.

Il museo oggi ha iniziato una nuova avventura, risponde a un nuovo compito che gli ha consegnato la pandemia. Lo deve fare perché è luogo nella quale la parola “cura” ha un significato pieno e si accompagna al tempo, alla pazienza, alla capacità di rielaborare i propri contenuti all’interno di un rinnovamento di linguaggio che non è più solamente il digitale accolto acriticamente.

Costruire e sperimentare linguaggi

Costruire e sperimentare propri linguaggi, che non si limitano ad accogliere i linguaggi in uso altrove, in altri ambiti, ma si impegna a costruirne dei nuovi usando la dimensione immaginativa.

L’immaginazione è la capacità di dare forma differente al dialogo, al modo di parlare ai propri pubblici, alla possibilità di declinare i propri contenuti per sperimentare forme differenti di apprendimento.

Immaginazione

La nostra è una società che premia la conoscenza e vede con sospetto l’immaginazione. La conoscenza è vista spesso in antitesi all’immaginazione. La conoscenza è ancora spesso vista come la parte adulta alla quale il museo appartiene. L’immaginazione è ancora vista come la parte legata alla dimensione infantile, adolescenziale, che entra al museo nello spazio confinato del laboratorio didattico.

Anche grazie all’arte contemporanea, ai suoi artisti e ai suoi curatori, il museo sta cambiando in quanto museo e laboratorio tendono ad assimilarsi. Gli artisti ci mostrano che l’immaginazione ha il grande potere di espandere la conoscenza, di rendercela vicina e viva anche emotivamente.

Ma il passo non è ancora compiuto. Sono rare le mostre che propongono un percorso che si articola tra esperienza e conoscenza, tra lettura e creazione, tra assimilazione e sperimentazione.

Mostre che siano in grado di trattare le emozioni proprie e quelle del proprio pubblico durante la visita.

Social immaginativo

Spesso i musei usano i linguaggi e anche forme digitali per confermare la centralità del “catalogo delle opere”. Raramente lavorano sulla possibilità di offrire una esperienza di “ricerca” attraverso una esperienza immaginativa: entrare in contatto con le opere comprendendone i significati non attraverso lo studio dei concetti ma attraverso la sperimentazione applicata.

Tutto il 2020 e parte del 2021 ci hanno mostrato l’importanza dell’immaginazione applicata alla risoluzione dell’emergenza.

Abbiamo passato un lungo periodo nel quale i musei sono stati chiusi.

Al pubblico è stato possibile seguirne le tracce nella loro dimensione digitale. Al museo è stato possibile rimanere in contatto ai suoi pubblici grazie al digitale con differenti esiti.

Tutti i social sono stati coinvolti, da quelli che si limitano a comunicare per immagini e piccoli testi ai più complessi come Twitch Tv di Amazon.

Cosa abbiamo imparato da questa esperienza? Che non può sopravvivere la conoscenza senza l’immaginazione. Ma che l’immaginazione ha bisogno di competenza. C’è stato chi ha fatto meglio e chi peggio, chi con grande professionalità chi invece con pochi mezzi e poche energie. Ma in tutti i casi chi detiene la conoscenza ha dovuto immaginare nuovi modi per comunicare, per fare ricerca sulla comunicazione del museo. Ha sperimentato linguaggi che prima non erano stati neppure immaginato.

Il museo come spazio di apprendimento

Sì, lo possiamo dire: il museo è uno spazio di apprendimento che può esporre e fare sperimentare a tutte e tutti noi cosa significare abitare il nostro pianeta, provare emozioni verso il nostro pianeta. Questo lo può fare perché oggi ancora con più convinzione perché ha sperimentato lui medesimo il compito di doversi sperimentare nella difficoltà. Quindi è spazio di apprendimento e spazio che apprende dai suoi pubblici e dalla società.

Accessibilità e inclusione

Ogni museo ha un proprio modo di parlare di raccontarsi e di immaginarsi che definisce il proprio carattere. Oggi ha il compito di diventare accessibile e inclusivo.

È molto accesa la questione sulla comunicazione inclusiva.

Dobbiamo farlo per tutte e tutti o meglio per tutt* e per tuttə.

Personalmente continuo ancora a usare la formula ridondante che declina i due generi della lingua per un motivo semplice: gli ereader non leggono asterisco e schwa.

Un esempio di come si deve porre il museo verso la società: scegliere le vie più inclusive e spiegare le motivazioni delle proprie scelte. Un piccolo esempio delle possibilità che declina la grafia e l’inclusione.

Il museo custode di verità materiali

Crediamo. Ne siamo sicuri. abbiamo dato spazio alle nostre opinioni e ai nostri pensieri.

Abbiamo creato e dato spazio alle nostre convinzioni.

Verità

Il museo è un custode di verità che sono innanzitutto materiali, prove tangibili, testimoni oculari di ciò che ci è accaduto, ciò che è stato. Un quadro non è solo una immagine ma è un dato sensoriale materiale, fisico che è il risultato di una serie di combinazioni che hanno portato persone, materiali, elementi vegetali, chimica, pensieri a diventare testimone di quel momento, di quel periodo che è stato impiegato per produrre quell’opera. È il risultato di un processo che è stato portato avanti tra spinte immaginative e conoscenze, tra competenze manuali e di altra natura.

La cultura è la cosa che si fa cosa

Per questo motivo il museo ci può insegnare cosa siamo stati, come genere umano e cosa siamo stati.

Il museo è la cosa che fornisce la testimonianza materiale del nostro rapporto con la storia.

Il museo è un luogo che custodisce prove tangibili che contengono storie.

Ma per poterle riconoscere servono le vie di accesso, strade, percorsi che ci permettono di riconoscerle.

Il museo è un atlante che contiene un territorio di storie e racconti che chiunque può interpretare se ne ha gli strumenti.

Oggi rispetto a un tempo il museo tende a somigliare sempre di più al repertorio delle mostre.

Ci sono responsabilità differenti tra il museo e le mostre. Se c’è stata una differenza tra il museo e una mostra, una tra le altre, è il differente approccio scientifico al processo di costruzione del suo racconto.

La mostra sperimenta intorno al fare museo: sperimenta linguaggi, approcci e spesso procede per ipotesi. Il curatore pone una domanda alla collezione e attraverso la mostra indaga, fa ricerca.

In altre parole, una mostra è una opinione critica su un tema, una materia, un ambito scientifico. Un museo è il grande archivio dei contenuti, raccolti con rigore scientifico, con una origine che si è fatta enciclopedia per poter fornire il materiale per la costruzione di una conoscenza che è lontana dalla visione personale del curatore di una mostra.

Il museo è lo spazio della conoscenza e usa la mostra per immaginarsi nella società.

Insieme si espandono. L’immaginazione espande la conoscenza e la conoscenza sostiene l’immaginazione.

Il museo si educa osservando i propri pubblici

Pensieri fondamentali per comprendere dove siamo ora, di cosa ci occupiamo, dove ci interessa andare.

Indaghiamo la materia per costruire nuovi percorsi di navigazioni all’intorno e all’interno di essa.

Lo facciamo creando anche delle versioni immateriali, che però mantengono sempre una differente fisicità fatta di altri modi di entrare in contatto: metaforica o fisica si entra comunque e sempre in contatto con le cose di cui ci occupiamo.

Ma resta tutto all’interno di quel principio di indeterminazione che governa il nostro tempo.

Chi sta leggendo questo articolo, chiunque lo stia facendo ha ora ha in mano un telefono, uno smartphone, uno schermo di computer, una versione stampata cartacea oppure sono le onde sonore di un e-reader che gli stanno colpendo il timpano con una incisività maggiore se scrivo una T oppure accarezzo appena quando scrivo una E.

La cosa che non saprà mai chi scrive è dove accade tutto questo. Su quale sedia siete seduti, quali scarpe portate ai piedi mentre camminate. Se vedete o non vedete. Se chi legge questo testo sta ascoltando musica classica in sottofondo o se subisce il suono del traffico. Ma potrebbe anche essere che questa pagina possa restare lettera morta: nessuno mi sta leggendo e queste parole risuonano nel vuoto di questa pagina.

Non avremo mai completamente il controllo di tutto quello che facciamo.

Ipotizziamo e teorizziamo come e cosa è la realtà che ci sta intorno ma mai come in questo periodo ci è chiaro che non esiste una verità ma la costruzione della verità e il racconto della stessa. Il museo ha il compito di ascoltare e comprendere come si costruisce il racconto intorno ai suoi contenuti, perché questi sono i pilastri che sostengono la realtà.

Il museo apprende, si educa nell’osservazione dei propri pubblici.

Guardare in alto

Il museo ha una panoplia di strumenti informativi per documentarsi sulle varie realtà che gli stanno intorno. Gli servono per comprendere come raccontare in modo chiaro e semplice la complessità, permettere l’accesso a verità di base.

La sua struttura scientifica gli permette di raccontare il presente e di avere competenze predittive per le catastrofi future, per la futura apocalisse.

In fondo, per dirla con i contenuti di un film che ha successo in questi giorni, “Don’t look up” è necessario che il museo aiuti la società a mantenere lo sguardo verso l’alto, là dove sta ciò che ci attende. La scienza e la ricerca che ne è l’anima hanno questo compito: mantenere vivo lo sguardo verso la ricerca di risposte vere a domande vere. Qualsiasi scorciatoia consolatoria non è la risposta giusta.

I musei contengono i testimoni di questo, del secolo scorso, e di quello passato sulle conseguenze, sulle condizioni di vita che le scelte di vita di pochi hanno provocato.

Sono innanzitutto testimoni di una lotta contro la distruzione di tutte le civiltà.

I musei archeologici non sono semplicemente il luogo in cui si celebrano le vittorie e le gesta dei nostri avi ma il luogo dove si testimonia l’efferatezza delle guerre, delle distruzioni.

Per come le vediamo ora, i musei sono testimoni di continui attraversamenti di terre e di mari e non possono non ricordarci cosa accade oggi a chi oggi definiamo profugo e sta vivendo ora condizioni di vita inaccettabili per qualsiasi civiltà che si definisce tale.

Informazioni fredde

Le informazioni semplicemente esposte, presentate senza l’aiuto di un curatore che scrive il percorso all’interno della materia scientifica viva e vissuta, sono un oggetto freddo che alla fine provoca un sovraccarico informativo che porta a risultati opposti a quelli voluti, dovuti: sono sovrabbondanti non riusciamo a gestirle, non ce ne accorgiamo neppure, come tanta informazione che non fa più notizia e i suoi protagonisti che scompaiono dopo che avevano commosso ed indignato.

La narrazione è necessaria, raccontare storie, occuparsi di come fare arrivare i contenuti non nella sola dimensione materiale ma in una più concreta forma narrativa è necessario per mostrare al pubblico non solo oggetti testimoni di un tempo passato, ma ha anche il compito di mostrare che qualsiasi discorso è dimostrabile a partire da fatti tangibili e non solo dalle proprie paure che chiamano un pensiero semplicemente chiarificatore.

Il museo come compito videoludico

Lo dobbiamo fare con tutti gli strumenti affiancati gli uni agli altri. Il videoludico ad esempio. Il 27 febbraio 2016 per il Manifesto, Francesco Mazzetta scriveva che il “video gaming, esattamente come altri media narrativi come la letteratura o il cinema, innesca una forma di comprensione tramite le emozioni che sono suscitate in noi dall’identificarci con i protagonisti delle storie che leggiamo/guardiamo/giochiamo. Il videogioco può riuscire in tale compito addirittura meglio degli altri media perché è interattivo e il giocatore sente che almeno una parte di ciò che succede nella storia è diretta conseguenza delle sue decisioni”.

Ecco che nell’esperienza di visita di giovani studenti, l’intero museo può trasformarsi in un vero e proprio compito videoludico: assegnare a ogni ragazza e a ogni ragazzo un ruolo all’interno di una missione che si svolge all’interno degli spazi del museo, chiedendo alla fine a ognuno di parlare di come e perché c’è riuscita o meno, di quali strategie ha utilizzato, quali emozioni sono state innescate dal gioco.

Indipendentemente dal risultato ottenuto all’interno di esso, la possibilità di vedere con occhi meno disattenti l’ondata di umanità coinvolta sarebbe un successo incredibile e dimostrerebbe come i serious game non sono solo esperimenti estemporanei, ma hanno le potenzialità per trasformare tematiche impegnate in oggetti interessanti per l’industria videoludica.

Conclusioni

In conclusione, c’è il rischio che il Museo possa diventare la mappa di Borges, quella che lui immagina essere una mappa tanto grande da identificarsi con l’intero impero. “… In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero tutta una Provincia”.

Anche Umberto Eco, parlando della mappa di Borges e dice tra le altre cose che Ogni mappa uno a uno riproduce il territorio sempre infedelmente”.

Questa infedeltà è ciò che rende ogni museo differente dall’altro, singolare unico e indeterminato. Alla continua ricerca di un modo di mappare il tempo presente, che inventa linguaggi e non si limita a usare tecnologie, i sostituti di presenza come sostituti di intelligenza e immaginazione.

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