cultura e competenze

Tutti i divari digitali dell’Italia: ecco perché la tecnologia crea nuove disuguaglianze

Sappiamo che la tecnologia può essere uno strumento straordinario per accelerare l’inclusione sociale. Allora perché sta creando nuove disuguaglianze? Dove stiamo sbagliando? La sfida è allineare l’accelerazione della trasformazione digitale con l’acquisizione di competenze, non solo digitali

Pubblicato il 19 Apr 2022

Mirta Michilli

direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale

anziani soli

È indubbio che la pandemia abbia accelerato la trasformazione digitale del paese. E per l’uso dei media digitali ha accorciato le distanze tra giovani e anziani, tra uomini e donne. Ma sono rimaste gravi disuguaglianze sociali e territoriali, legate soprattutto ai bassi livelli culturali degli italiani e alla “questione meridionale”.

Anziani e poveri esclusi dal digitale, il dramma ignorato dal Governo

Il caso dell’identità digitale emblematico dei divari del Paese

L’esempio più efficace per descrivere le “due Italie” della trasformazione è il numero di identità digitali attivate. Siamo partiti da 4 milioni di Spid a dicembre 2019 e siamo arrivati all’attivazione di oltre 13,7 milioni di identità digitali a dicembre 2020. Ora abbiamo superato i 27 milioni. A fornire i numeri della digitalizzazione, che raggiunge il suo massimo storico proprio nel 2021, è il Dipartimento per la trasformazione digitale: “Nel 2021 sono state attivate quasi 12 milioni di nuove identità digitali SPID, per un totale di 27,4 milioni di utenze rilasciate. Il numero di autenticazioni tramite SPID è quasi quadruplicato nel 2021, raggiungendo quota 570 milioni rispetto alle 144 milioni del 2020. Nel 2021 oltre 4.500 enti pubblici hanno attivato l’autenticazione tramite SPID (+223% rispetto al 2020), mentre il numero di soggetti privati è pari a 77”.

Se non scomponiamo le cifre del totale, lo stato di avanzamento della trasformazione digitale sembra procedere di buon passo, anzi perfino con una significativa accelerazione. In realtà i numeri finali sono la somma di risultati assai diversi che, se scorporati in voci distinte, descrivono invece una profonda disuguaglianza e una parte del paese che procede con lentezza. Un recente contributo di Federico Cavallo e Marco Pierani ha proposto una diversa lettura dei dati partendo dall’ultimo rapporto Auditel Censis, analizzando gli effetti del divario digitale su alcune categorie di cittadini: Anziani e poveri.

Se ci concentriamo solo sullo Spid e rileggiamo i dati con il “Diciassettesimo rapporto sulla comunicazione, I media dopo la pandemia”, curato dal Censis (Franco Angeli, Milano 2021), il divario digitale che emerge è più evidente ed è impossibile ignorarlo. Quasi la metà della popolazione italiana, il 48,7%, ha attivato la propria identità digitale Spid, ma si tratta soprattutto di cittadini con un titolo di studio alto (61,6%), nella fascia di età 30-64 anni, che abitano nelle metropoli del Nord Ovest.

Chi non possiede lo Spid

Invece non possiedono lo Spid

  • il 67,9% dei cittadini tra 65 e 80 anni
  • il 64% dei cittadini con la licenza elementare e media
  • il 59,8% dei cittadini che abitano nel Sud e isole
  • il 56,1% dei cittadini che risiedono in centri da 10.000 a 100.000 abitanti

Osservatori.net propone un’analisi dei numeri più dettagliata, un approfondimento sull’uso dello Spid e un confronto sui sistemi di identità digitale in Europa. Dalla ricerca dell’Osservatorio Digital Identity della School of Management del Politecnico di Milano estrapoliamo solo qualche numero per completare il nostro quadro:

  • solo il 14% degli over 75 ha lo Spid
  • i grandi utilizzatori dello Spid (heavy users) sono solo il 14%
  • 6° posto dell’Italia in Europa per diffusione dei sistemi di identità digitali

La maggior parte dei possessori di identità digitale (71%) la usa poche volte l’anno o alcune volte al mese (medium users). Una parte non trascurabile degli iscritti è invece ancora “dormiente”, usano Spid solo sporadicamente o non lo usano affatto. Saranno presto degli analfabeti digitali di ritorno?

Dove e perché stiamo sbagliando

Questo esercizio di scorporare i numeri credo sia importante perché ci aiuta a capire dove e perché stiamo sbagliando. Sappiamo che la tecnologia può essere uno strumento straordinario per accelerare l’inclusione sociale. Allora perché sta creando nuove disuguaglianze?

Continuiamo a diffondere tecnologia senza preoccuparci delle competenze d’uso, senza aiutare le persone a comprendere come nuovi strumenti e funzionalità possano modificare abitudini e comportamenti. Immaginiamo di sostituire progressivamente tutti i vecchi telefonini mobili degli anziani con nuovi smartphone senza spiegare le nuove funzioni. Gli anziani continueranno a usare i nuovi device solo per telefonare, trovandoli meno funzionali, più complicati e con cariche meno durature. E chi si è già adeguato, senza sperimentare alcun vantaggio, cercherà di scoraggiare i ritardatari, sconsigliando ogni cambiamento.

La sfida della trasformazione digitale è appassionare le persone al cambiamento, proponendo esperienze concrete di innovazione in grado di migliorare la qualità di vita. Possiamo aiutare le persone a riscoprire il piacere di imparare. Dobbiamo riuscire a trasformare la sfida della riduzione del divario digitale in una straordinaria occasione per combattere anche l’analfabetismo funzionale o l’analfabetismo di ritorno in cui si trovano grandi percentuali della popolazione adulta.

Adulti con basso titolo di studio sono adulti con basse competenze funzionali, capacità di fare le cose, di accedere ai servizi, di partecipare. L’Italia ha quasi 13 milioni di adulti 25-64 anni con basso livello di istruzione. Oltre la metà della popolazione adulta ha bisogno di alfabetizzazione linguistica, numerica e digitale per aggiornare le proprie competenze.

La mancanza di un piano organico di formazione

L’Italia, anche nella trasformazione digitale, è penalizzata dalla mancanza di un piano organico per la formazione degli adulti, un tema che Tullio De Mauro considerava una priorità.

Dobbiamo ripartire da qui, per fare in modo che il fondo “Repubblica Digitale”, con uno stanziamento di 250 milioni di euro per la formazione digitale e il superamento del digital divide, raggiunga davvero l’obiettivo previsto dall’Europa, con il 70% di cittadini digitalmente abili entro il 2026. Cittadini digitalmente abili, non “dormienti”.

Come fare? Credo si debba incrementare la formazione diffusa e informale, con varie modalità di fruizione, flessibili e miste. Sviluppare oggetti e strumenti di apprendimento per una formazione agile, a portata di mano, quasi “tascabile”, per raggiungere chiunque e apprendere ovunque (anche soluzioni semplici come “I consigli di Samuele“). Nello stesso tempo bisogna rendere le istruzioni d’uso a dispositivi e servizi chiare e semplici, alla portata di tutti.

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