Il tema del fact checking sui social è molto dibattuto e si preannunciano mesi molto caldi all’orizzonte: se Elon Musk ha comunicato che su Twitter non verranno più moderate le notizie sul covid, altri social, come Meta e YouTube si muovono infatti sul versante opposto, annunciando maggiori investimenti nel contrasto alla disinformazione. Il tutto mentre sta per entrare in vigore il Digital Services Act, che prevede pesanti sanzioni nel caso di inadempienza alle norme sulla moderazione dei contenuti.
La controversa decisione di Elon Musk
Twitter ha annunciato che dal 23 novembre 2022 la moderazione sui contenuti che riguardano la disinformazione sul Covid non è più attiva.
La precedente politica, in tema Covid, prevedeva l’applicazione di regole rigide e specifiche per combattere le informazioni sanitarie “false”; i messaggi considerati fake, in tema di vaccinazione, venivano segnalati e rimossi e gli account sospesi dopo il quinto sollecito sul punto.
Questa scelta sembra rispecchiare in pieno l’idea che Musk aveva delle restrizioni sanitarie: “Dire alle persone che non possono uscire di casa e che se lo facessero verrebbero arrestate è fascista. Non è democrazia. Non è libertà. Ridate alle persone la loro dannata libertà” (così lo stesso Musk nell’aprile 2020, riportato da organi di stampa, tra cui Il Riformista, in un pezzo a firma di Carmine di Miro del 30 novembre 2022).
Musk davanti alla sfida più grande: la moderazione su Twitter
Le implicazioni della scelta di Musk sulla moderazione dei contenuti
Le implicazioni sono molteplici. In primo luogo, una riduzione dei costi: mentre altri players, come vedremo poi, hanno deciso di investire in fact-checking, Musk ha deciso per il Far West a costo zero.
Il problema del fact-checking in tema sanitario è delicatissimo: già su queste pagine abbiamo avuto modo di spiegare come solo in Italia, organi ufficiali – e addirittura l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi – abbiano diffuso fake news sul Covid (fonte: Open online).
Dato che il social network non è, tecnicamente, un servizio pubblico, non dovrebbe fare “due pei e due misure”.
In altri termini, non si capisce per quale ragione il semplice cittadino che esprima una propria opinione, per quanto errata, fuorviante, non condivisibile etc. debba essere bannato, mentre il massimo organo di un Governo che esprime opinioni personali errate, non suffragate da dati scientifici rimanga, a prescindere da tutto, immune da tali restrizioni.
Non è chiaro per quale ragione tale situazione si possa verificare – come si è verificata – nemmeno nel caso del servizio pubblico, ma questo è un altro discorso.
L’ideologia libertaria si è manifestata sia nel sondaggio – “referedum”? – promosso da Musk per riabilitare l’account di Donald Trump, sia per l’analoga operazione effettuata con il ripristino – sempre previo sondaggio – dei circa 62000 account in precedenza sospesi per violazione delle regole sulle fake news.
Sul lato business, se è vero che Twitter ha perso in termini di raccolta pubblicitaria nell’immediato, è anche vero che ha guadagnato nel recupero di una fascia di “esclusi” potenzialmente interessante sul piano economico e che ha tagliato pesantemente sui costi.
Ci si deve, quindi, aspettare una tensione tra il dato in uscita (ossia chi è migrato da Twitter per altri social), ed i risultati che il nuovo corso di Musk porteranno nel medio e nel lungo periodo.
La disinformazione corre sui social? Sì, ma attenti anche ai fact checker
Unione europea e moderazione sui social
Se negli U.S.A. lo scontro su Twitter è all’OK Corral, in Europa si gioca in punto di diritto.
Il Digital Services Act, che entrerà in vigore a partire dal 2023, determinerà anche regole nuove per i social network.
In particolare, le aziende con un numero di utenti superiore ai 45 milioni che operano come gatekeeper nell’offerta i servizi, dovranno garantire regole certe sulla moderazione dei contenuti – soprattutto per quanto riguarda odio online e contenuti illegali, su tutti la pedopornografia – e sul “disincentivo” alla disinformazione.
Il commissario europeo per il mercato interno, con delega all’implementazione del mercato digitale, Thierry Breton, non ha mancato di segnalare, direttamente ad Elon Musk, la necessita del rispetto della compliance imposta dal Digital Service Act in una call diretta del 30 novembre 2022.
“C’è un enorme lavoro da fare”, ha detto Breton a Musk, anticipando che l’UE effettuerà uno “stress test” presso la sede di Twitter all’inizio del 2023 per valutare la conformità della piattaforma social alle norme dell’UE.
Twitter, ha detto Breton a Musk, “dovrà implementare politiche utente trasparenti, rafforzare in modo significativo la moderazione dei contenuti e proteggere la libertà di parola, affrontare la disinformazione con determinazione e limitare la pubblicità mirata”[1],
Concretamente, si tratterà di comprendere quanto Musk vorrà tirare la corda con la Commissione europea, che in caso di infrazione delle regole UE ha strumenti efficacissimi per sanzionare in modo pesantissimo eventuali comportamenti non conformi a diritto.
Dall’altro, sul piano politico, è necessario valutare quanto l’imposizione di moderazione dei contenuti non si trasformi in censura, sovietizzando i social network.
Google e YouTube investono in fact-checking
Proprio mentre Musk annuncia che non farà più effettuare la moderazione dei contenuti, due colossi tech, ossia Google e YouTube, annunciano di adottare una politica del tutto diversa, quasi contraria, investendo in fact-checking.
Sarebbe più corretto dire, però, che investiranno circa 14 milioni di dollari in fact-checkers: ossia nell’IFCN (International Fact-Checking Network), che a sua volta ha lanciato il Global Fact Check Fund, a cui pare faranno riferimento 135 organizzazioni da 65 Paesi diversi, per combattere la disinformazione in oltre 80 lingue.
Sarà operativo nel 2023 e determinerà alcuni cambiamenti nelle interfacce di Google e YouTube (quest’ultima potrà, per esempio, inserire banner con la scritta “breaking news” nelle ipotesi di notizie rilevanti e “nuove”).
Nell’entusiastico comunicato stampa, Google fa sapere che cercherà di contestualizzare le notizie che verranno trovate dagli utenti, corredandole con articoli utili alla contestualizzazione, redatti da soggetti indipendenti.
L’indipendenza dei quali, però, sarà garantita solo dagli investitori, ossia dai committenti del servizio: come sempre, quindi, a decidere il contesto o la non falsità di una notizia sarà… chi paga.
Non bisogna dimenticare un dato: la guerra alle fake news non è, ancora una volta, un tema ideologico o di ricerca della verità.
È, come sempre, business: negli U.S.A. un utente su quattro sta utilizzando TikTok per informarsi, abbandonando Google e YouTube.
La scelta, quindi, è di posizionamento strategico sul mercato in contrasto al social cinese.
Conclusioni
Il mondo dell’informazione è sempre in bilico tra il Ministero della verità di Orwell (o la pravdatizzazione di stampo sovietico) ed il Far West della propaganda trasversale.
A decidere c’è sempre un solo oggetto: chi paga.
I social network non fanno differenza, anche se un elemento di novità, di estremo interesse, sia per il cittadino che per gli addetti ai lavori, c’è, ed è rappresentato dal Digital Service Act, ossia il nuovo regolamento europeo che per la prima volta pone regole a questo mercato in via diretta ed esplicita con un atto normativo non governativo.
Nei prossimi mesi ed anni l’applicazione concreta del Digital Service Act determinerà un equilibrio nel mercato dei social o una sua sovietizzazione.
Staremo a vedere, quindi.
Note
[1] https://www.reuters.com/technology/twitter-has-huge-work-ahead-eus-breton-tells-musk-2022-11-30/