Non si placa il dibattito pubblico sulle implicazioni che la controversa acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk potrebbe generare non solo nel breve termine per la sorte specifica di Twitter, ma anche in un orizzonte temporale più ampio destinato a mutare profondamente lo scenario futuro sul complessivo ecosistema digitale e dell’informazione.
Twitter, se Musk viola i diritti umani ci riguarda tutti: ecco perché
Il possibile effetto domino sull’ecosistema digitale
Si paventa, difatti, sullo sfondo una possibile reazione a catena in grado di provocare, da “effetto domino”, la ridefinizione delle policy e dei sistemi di moderazione predisposti per la condivisione dei contenuti pubblicati online, con il rischio di attenuare la tutela dei diritti umani, quindi ben oltre la prospettiva di un significativo calo dei ricavi conseguente all’abbandono massivo dei principali investitori della piattaforma di microblogging.
Due i fattori che pensano al momento su questi rischi:
- L’ansia di Musk di trovare nuove forme di ricavo, che lo hanno spinto a monetizzare anche la spunta blu, prima data solo ad account verificati come attendibili. Ossia equivale a dare più forza e visibilità a chi paga, non a chi se lo merita per il suo ruolo nell’ecosistema informativo. Tra le conseguenze immediate il trionfo delle fake news, come quella (“l’insulina è gratis”) che, partita da un account “spunta blu” parodistico dell’azienda farmaceutica Eli Lilly, ne ha causato il tracollo azionario. Non è un caso insomma che Musk abbia per ora sospeso il programma abbonamenti sulla spunta blu.
- L’ansia dello stesso Musk di tagliare i costi, con licenziamenti di massa. Il che sta rendendo più difficile – a quanto riportano i dipendenti in forma anonima su vari giornali americani – manutenere il sistema tecnico e di moderazione alla base di Twitter. Conseguenza: ancora più disinformazione e inaffidabilità generale del servizio. Ecco perché cominciano a circolare timori sul possibile collasso di Twitter con tutta il suo storico di dati e informazioni, anche di valenza critica come quelli di cronaca sulla primavera araba o la guerra Ucraina.
A riprova di ciò sembra inversamente crescere, ad esempio, la popolarità di “Mastodon” che proprio di recente, incrementando i propri iscritti al ritmo di quasi 500.000 nuovi utenti in meno di 2 settimane, si sta facendo strada come strumento (decentralizzato, open source, supportato tramite crowdfunding e privo di pubblicità) alternativo a Twitter.
L’intervento delle Nazioni Unite
Come prima accennato, sul versante politico, è di indubbio rilievo la lettera aperta dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani indirizzata a Elon Musk, nella qualità di neo amministratore delegato e proprietario di Twitter.
In particolare, dopo aver rievocato – con preoccupazione – la notizia appresa sul possibile licenziamento massivo degli esperti di Twitter (assegnati alle squadre aziendali interne in tema di diritti umani e di Intelligenza Artificiale) – anche se pare vi sia stata una successiva retromarcia rispetto a tale decisione assunta per “errore” – la lettera dell’ONU esorta espressamente Musk a “garantire che i diritti umani siano al centro della gestione di Twitter”.
Ad avviso delle Nazioni Unite, poiché la nota piattaforma di microblogging è ormai considerata una delle icone principali della “rivoluzione digitale”, a maggior ragione deve compiere uno sforzo ulteriore a presidio del mantenimento di un ambiente virtuale sicuro e inclusivo, assolvendo pertanto a un più incisivo ruolo di responsabilità connesso alla centralità comunicativa che Twitter assume in Rete mediante l’adozione di incisive e appropriate misure in grado di prevenire il rischio di violazioni cagionate alle libertà fondamentali degli utenti.
A tal fine, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite ha definito 6 principi fondamentali che dovrebbero essere recepiti nella nuova gestione di Twitter secondo standard effettivi di trasparenza che consentano, tra l’altro, di “comprendere meglio l’impatto dei social media sulla società”, con l’intento di proteggere la libertà di espressione in tutto il mondo, nonché salvaguardare la privacy individuale anche rispetto alle insidie di sorveglianza digitale che provengono dalle autorità governative per finalità politiche di controllo massivo degli avversari e degli oppositori interni, riducendo al contempo la dilagante diffusione della disinformazione nociva destinata ad amplificare in via esponenziale la lesività dei contenuti dannosi veicolati online.
Twitter diventerà megafono dei radicalismi?
Sul versante imprenditoriale, tenuto conto del tradizionale business di advertising online realizzato con successo consolidato dalle Big Tech, potrebbe invece venire meno l’attuale (apparente) gratuità del servizio di microblogging – finanziato dagli introiti pubblicitari generati come principali fonti di entrata di Twitter, almeno stando ad alcune ricostruzioni emerse sulle possibili strategie operative pianificate da Musk.
In particolare, un recente articolo pubblicato dal “The New York Times”, ipotizza, al riguardo, il progressivo abbandono degli inserzionisti (che investono notevoli risorse per incrementare i profitti dell’azienda e mantenerne in vita il suo storico “cinguettio”), come reazione di paura causata dalla dilagante disinformazione riscontrata all’interno della piattaforma (nonostante le rassicurazioni fornite direttamente in prima persona da Musk, escludendo qualsivoglia deriva informativa pregiudizievole in tal senso evocata).
A meno di ritenere che, in realtà, non sia proprio il prospettato esodo generalista di inserzionisti pubblicitari l’obiettivo più o meno celato in qualche modo concretamente perseguito mediante una strategia aziendale in grado di consolidare lo spazio di “nicchia” tradizionalmente occupato da Twitter nell’ecosistema comunicativo virtuale, anche a costo di mutare, in condizioni peggiorative di qualità informativa, il target di destinatari di riferimento come bacino ristretto di potenziali utenti, pur provenienti da contesti largamente eterodossi, fungendo così da “zoccolo duro” di opinioni faziose ed estremistiche che potrebbero, anche indirettamente, trovare terreno fertile proprio su Twitter. A ben vedere, infatti, secondo un’interessante lettura eziologica desumibile dalle sopracitate fonti, preso atto delle impari opportunità di crescita pubblicitaria per Twitter rispetto alle rivali piattaforme sociali (ove si manifestano differenti esigenze di advertising online che presuppongono la necessità di assicurarsi un’elevata soglia di iscritti, senza perdere pertanto l’integrale utenza generale del pubblico di utenti), potrebbe risultare persino più profittevole per Musk la scelta di rendere Twitter uno strumento comunicativo “elitario” su scala limitata, destinato a dare risonanza mediatica a gruppi più radicalisti, rappresentativi di segmenti di popolazione socialmente sottodimensionati, ma spesso economicamente solidi e fiorenti nella capacità di finanziare le proprie teorie anti-sistemiche e provocatorie, di natura complottistica o partigiana.
Twitter e il valore politico della spunta blu: perché Musk ora fa dietrofront su tutto
Peraltro, seguendo un simile ragionamento predittivo, sarebbe comprensibile anche la previsione di un canone mensile richiesto per ottenere la “spunta blu” come segno identificativo riservato agli utenti verificati, nell’ottica di acquisire una possibile contropartita compensatoria a fronte della perdita generalista degli introiti pubblicitari, con l’obiettivo di ridurre il “peso” del relativo impatto finanziario. Alla medesima finalità risponderebbe altresì l’ulteriore possibile addebito a carico degli utenti ipotizzato per la visualizzazione dei contenuti video, attualmente al vaglio del quartier generale di Musk tra le svariate revisioni dei servizi offerti da Twitter.
E se fosse questa la strategia di Musk?
L’incertezza sulle strategie di Musk
Diversamente opinando, è davvero ipotizzabile che uno degli imprenditori più ricchi del pianeta, dotato di riconosciute capacità aziendali e in possesso di una riscontrata lungimiranza “visionaria”, stia correndo il rischio (più o meno consapevolmente) di mandare in rovina Twitter soprattutto dopo aver investito decine di miliardi di dollari per il suo recente acquisto?
Di certo, è difficile sapere con certezza quali saranno le prossime mosse di Elon Musk e che cosa lo spinge concretamente ad agire verso una determinata direzione.
Sebbene nel suo messaggio di rassicurazione rivolto agli inserzionisti, Musk abbia esplicitato la volontà di creare, tramite Twitter, una “piazza digitale comune” ritenuta “importante per il futuro della civiltà”, cercando dunque di “aiutare l’umanità” di fronte alle insidie che anche i social media alimentano nella circolazione di contenuti violenti e polarizzati in grado di alimentare odio e divisione sociale, così da escludere che Twitter possa diventare “un inferno libero per tutti”, colpisce l’inciso del suo post secondo cui “oltre ad aderire alle leggi del territorio, la nostra piattaforma deve essere calda e accogliente con tutti”.
Parimenti emblematico è il riferimento al sistema della pubblicità personalizzata “fatta bene” per deliziare, divertire e informare. “Affinché ciò sia vero, è essenziale mostrare agli utenti di Twitter pubblicità il più pertinente possibile alle loro esigenze. Gli annunci a bassa pertinenza sono spam, ma gli annunci altamente pertinenti sono in realtà contenuti”.
Musk davanti alla sfida più grande: la moderazione su Twitter
Fa riflettere il passaggio testuale del post di Musk in cui si sottolinea che, “oltre” ad aderire alle leggi nazionali, l’obiettivo è quello di rendere la piattaforma “calda e accogliente con tutti”. Al riguardo, non sempre si riscontrano orientamenti univoci e condivisi tra i gestori delle piattaforme sociali, le autorità istituzionali e l’opinione pubblica su ciò che sia consentito pubblicare e veicolare online come legittima forma di libera opinione e autodeterminazione individuale nel rispetto delle norme vigenti. In altri termini, come è possibile selezionare in termini pratici i contenuti ammessi rispetto a quelli vietati? Di recente, ad esempio, è stata resa nota la notizia sulla causa intentata proprio da Twitter contro il governo indiano per opporsi agli ordini di rimozione dei contenuti pubblicati in violazione delle disposizioni legislative vigenti.
Conclusioni
Come farà quindi Musk a realizzare una “piazza digitale comune” in grado di “aiutare l’umanità” quando entrerà in rotta di collisione con gli Stati? Cederà alle eventuali “pressioni” politiche di paesi autoritari, anche a costo di ridurre il proprio volume di affari (laddove localizzato in tali contesti territoriali) oppure riuscirà ad opporre strenua resistenza senza riserve mantenendo fede a tali intenti?
Esistono molte questioni aperte, estremamente complesse e delicate che ancora oggi sembrano prive di adeguate risposte agli interrogativi posti, rendendo del tutto imprevedibile l’approccio strategico che Elon Musk seguirà nei prossimi anni.
Su tutto, resta ancora valido il dubbio se ha senso lasciare un luogo digitale così importante per il discorso pubblico nelle mani di una sola persona, senza alcun contraddittorio o contro-potere.