il caso

Uber Files, se i tassisti hanno ragione a temere il “mostro” digitale

Un’inchiesta di Guardian, Bbc e le Monde rivela che Uber avrebbe effettuato una pesantissima campagna di lobbying per espandersi ulteriormente. Sono gli Uber Files. Anche così certi colossi hanno fatto profitti penalizzando la classe media. Tassisti e non solo

Pubblicato il 14 Lug 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

taxi uber

I tassisti possono non essere simpatici a molti, ma a molti, a molti di noi – classe media – sono più simili di quanto questi “molti” sono disposti ad ammettere. Probabilmente. Schiacciati dall’ansia di profitto di alcune big tech, con la compiacenza dei Governi.

Si può leggere così lo scandalo Uber Files.

Un’inchiesta di Guardian, Bbc e le Monde rivela che Uber avrebbe effettuato una pesantissima campagna di lobbying per espandersi ulteriormente. A sostegno dell’ipotesi investigativa, un’enorme mole di materiale d’inchiesta, denominato Uber files. E i tassisti italiani, già in sciopero, hanno un motivo in più per insorgere.

Uber files: l’inchiesta

Le famose testate giornalistiche hanno messo in luce un articolato sistema di lobbying messo in opera dal cofondatore di Uber, Travis Kalanick, in Europa, per ottenere vantaggi politici e normativi a favore della piattaforma californiana.

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Negli Uber files si trovano elementi di indagine che porterebbero ad individuare attività di pressione e “persuasione” (corruzione?) su politici molto noti del panorama europeo, a partire dal Presidente francese, Emmanuel Macron.

Il Guardian, addirittura, arriva ad affermare che Macron avrebbe “aiutato segretamente Uber nella sua attività di lobby in Francia”.

Il Presidente francese non smentisce i contatti, ma nega ogni attività a favore di Uber.

Kalanick avrebbe avuto contatti anche con l’attuale Presidente statunitense Joe Biden, oltre che con Olaf Scholz, attuale Cancelliere della Repubblica Federale di Germania e con l’ex ministro delle finanze della Gran Bretagna, Geroge Osborne.

Ci sarebbero stati contatti anche con l’ex commissaria europea Neelie Kroes, che avrebbe addirittura intavolato trattative per essere inserita nel board di Uber prima della fine del suo mandato.

Uber avrebbe provato ad operare anche in Italia, attraverso il governo Renzi: l’ex premier però pare essere stato solo sfiorato dall’inchiesta, perché nessun elemento di indagine porta a poter sostenere contatti simili a quelli descritti per i politici francesi, tedeschi e inglesi.

Uber avrebbe ammesso “errori e scelte sbagliate”, sostenendo di essere “cambiata” dal momento in cui la vicenda sarebbe avvenuta, ossia il 2017.

 

Lo sciopero dei tassisti

Ornai da giorni i tassisti sono in sciopero per bloccare il disegno di legge “concorrenza”, che darebbe al governo ampia delega per regolare il mercato del trasporto pubblico di persone non di linea.

Il grido di battaglia è “Draghi, non te lo chiede l’Europa, te lo chiede Uber”: ovviamente l’inchiesta giornalistica ha infiammato ancora di più gli animi della categoria, già ampiamente provata dalla pandemia.

L’idea di fondo della protesta è che la normativa dovrebbe avere un iter parlamentare e non essere oggetto di delega al governo: questo perché i parlamentari dovrebbero essere più sensibili alla base dell’elettorato rispetto ai colossi delle piattaforme.

Se il materiale dell’inchiesta giornalistica fosse vero, i tassisti avrebbero ragione a sostenere che l’interlocutore governativo sarebbe più facilmente influenzabile da parte delle multinazionali in generale e da Uber e Lyft in particolare.

Il governo, allo stato, alle prese con una crisi politica che può portare addirittura al voto, non ha ritenuto di ritirare la norma contestata dalla totalità delle sigle sindacali dei tassisti.

Conclusioni

Le piattaforme hanno ottenuto enormi profitti negli ultimi anni e si sono rinforzate economicamente nel periodo pandemico, a scapito della cosiddetta middle-class, di cui i tassisti fanno parte.

La liberalizzazione selvaggia del settore può creare uno shock sistemico per i tassisti, prima che un decremento di reddito per i singoli, già alle prese – in particolare in alcune realtà – con il problema degli “abusivi”.

L’accordo siglato da Uber con IT Taxi, il più grande operatore di prenotazione del paese, ha innescato una miccia che rischia di deflagrare proprio sul disegno di legge “Concorrenza”, che potrebbe svantaggiare ancora i tassisti in favore delle piattaforme.

La crisi di governo, sullo sfondo, impatta anche su un modo di vedere l’economia italiana in prospettiva: quanto dovranno essere favoriti i colossi esteri e quanto dovranno essere compresse le fasce di mercato di pmi e professioni?

Questo governo non è parso amico dei professionisti, e le scelte economiche sono state “pagate” più dalle pmi che dalla grande industria. 

L’uso (o abuso) di algoritmi, che rischia di “meccacinizzare” i lavoratori della gig economy è solo un’aggravante.

Lo sciopero dei tassisti, letto all’inquietante luce degli Uber files, è un esempio di quello che potrebbe accadere tra non molto per agricoltori, trasportatori e professionisti.

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