GUERRA MEDIATIca

Ucraina, l’impatto della violenza Tv sui bambini

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i palinsesti televisivi hanno subito una totale riconfigurazione. Immagini brutali e violente vengono trasmesse a ogni ora del giorno. Ma quali sono le conseguenze della spettacolarizzazione mediatica del conflitto nei bambini? Ecco cosa dicono le ricerche

Pubblicato il 03 Giu 2022

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT

tv

In termini di comunicazione, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha costretto i media a una totale riconfigurazione dei palinsesti e a una riformulazione delle proprie agende. Ma stiamo dando la giusta importanza al sovraffollamento mediatico di immagini di brutalità e violenza, inevitabilmente connesse al conflitto, quando queste vengono date in pasto ad un pubblico di giovanissimi, per lo più bambini e adolescenti.

Che la guerra ucraina abbia catalizzato in poco tempo l’attenzione di tutti i media a nostra disposizione è un dato accertato ormai da più parti, tanto che sarà sicuramente oggetto di studio dei prossimi anni, l’analisi della loro influenza in termini, anche, di strategia militare.

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La spettacolarizzazione mediatica del conflitto e l’impatto sui bambini

Ma, se c’è qualcosa di nuovo in questo conflitto, questo è l’uso massiccio dei social dalle parti in causa e i social vantano un pubblico per lo più composto da giovani, è vero anche che per tutto il resto, nell’uso strumentale che viene fatto della televisione e di tutti gli altri media, di nuovo, in questo conflitto, c’è molto poco, eppure non mi sembra che non si stia dimostrando di aver imparato dal passato.

Le ricerche

Nel 2005, in seguito all’invasione dell’Iraq per la deposizione di Saddam Hussein iniziata nel 2003, viene pubblicato uno studio curato da Mario Morcellini e Tiziana Grassi sulle conseguenze della spettacolarizzazione mediatica del conflitto nei bambini. Leggendo il testo, scopriamo che uno studio di Telefono Azzurro e Eurispes aveva dimostrato già nel 2003 i rischi di esporre i bambini a una conoscenza del conflitto senza un filtro che intervenisse a spiegare il senso delle immagini di violenza scelte dall’informazione per la drammatizzazione dell’evento. Stando alla ricerca, su un campione di 5076 bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni, solo il 12 percento afferma di aver saputo del conflitto parlando con genitori, insegnanti e amici e parenti, la quasi totalità, invece, afferma di esserne venuta a conoscenza direttamente dai media (il 66,7% dalla tv).

Nonostante l’effetto traumatico prodotto dalle immagini, sei bambini su 10 intervistati affermano di non volerne parlare con nessuno, perché pensano di riuscire a superare il problema da soli o semplicemente perché il proprio obiettivo è quello di non pensarci.

È naturale dedurre, da questi dati, la difficoltà, da parte degli adulti, una volta innescato il processo di influenza dell’immaginario dei bambini da parte dei media, di intervenire per plasmarlo o cambiarlo. Proprio perché spesso ignari delle reali conseguenze inferte, che non vengono condivise.

Precedenti studi relativi all’influenza del trattamento mediatico del crollo delle Torri Gemelle, dimostrano altresì una corrispondenza tra l’esposizione di bambini e adolescenti ad immagini televisive drammatiche e la maggiore severità nella loro sintomatologia post-traumatica anche se non direttamente coinvolti nell’attacco. Per non parlare, ovviamente, dei bambini direttamente coinvolti nel conflitto, per cui la relazione è naturalmente oltre che maggiormente incisiva, del tutto più preoccupante.

Proteggere i bambini da immagini forti: le linee guida OMS

Per proteggere i bambini dall’influenza negativa dell’impatto di immagini forti nella loro crescita, l’Organizzazione mondiale della sanità propone delle linee guida che definiscono il numero di ore che i bambini dovrebbero trascorrere davanti a uno schermo. Secondo l’OMS i bambini fino a 12 mesi non dovrebbero avere alcun accesso agli schermi (“no screen time”), quelli tra i 2 e i 4 anni dovrebbe essere al massimo di un’ora al giorno. Restano fuori da questo calcolo, e dunque dalle restrizioni, il tempo trascorso in video (il “sedentary screen time”).

E poi ci siamo noi giornalisti, che, dal canto nostro, facendo parte dell’Ordine dei Giornalisti, ci impegniamo a rispettare La Carta di Treviso che dal 1990 pone l’accento sulla responsabilità che tutti i mezzi d’informazione hanno nella costruzione di una società che rispetti appieno l’immagine di bambini e adolescenti. Ma i bambini non sono sempre e solo davanti a programmi pensati per loro.

E contrariamente alle linee guida dell’OMS, una ricerca inglese condotta su 89.163 bambini dimostra che solo un quarto dei bambini piccolissimi, al di sotto dei 2 anni, evita totalmente di stare davanti a uno schermo durante la giornata, mentre solo il 35,6% dei bambini dai 2 ai 5 anni vi passa non più di un’ora al giorno.

Tutti gli altri non rispettano gli standard consigliati. Dati del 2017 ci dicono addirittura che i bambini tra i 3 e 4 anni trascorrono in media più di 15 ore a settimana in internet, circa 8 ore davanti alla tv e circa 7 davanti ai videogiochi. I numeri crescono con l’aumentare dell’età.

La situazione in Italia

Limitiamoci per un attimo al caso italiano. E alla nostra televisione. Dati Istat del 2020 ci dicono che «…nei casi in cui entrambi i genitori sono occupati, se ne prendono cura i nonni nel 60,4% dei casi quando il bimbo più piccolo ha 2 anni; nel 61,3% quando ha da 3 a 5 anni e nel 47,1% se più grande. Valori che superano il 65% nel caso del Mezzogiorno». Questo, oltre a dimostrare che i nonni rappresentano da sempre e sempre di più, il pilastro della famiglia italiana, ci dice anche che la maggioranza dei bambini italiani trascorre con i nonni molte ore del giorno, ogni giorno. Sempre l’Istat ci dice che la categoria degli anziani è quella più affezionata alla tv, che è accesa tutti i giorni, quasi tutto il giorno, nelle loro case per oltre il 93% dei casi. La programmazione televisva, che ne è perfettamente consapevole, ha, di conseguenza un taglio contenutistico mirato a questo tipo di pubblico, che non ha, di sicuro, le stesse esigenze ed è meritevole delle stesse attenzioni dei nostri bambini, che, loro malgrado, spesso si trovano davanti a quegli schermi, senza nessun filtro e senza esserne destinatari.

E così, formule ricorrenti della comunicazione di guerra di questo periodo, studiate per tenere incollato il pubblico alla tv, come la ripetizione ossessiva delle notizie, le continue risse, la spettacolarizzazione di nuovi esperti, la violenza delle immagini, e la loro continua messa in onda senza interruzione, non potrà essere priva di conseguenze per le nostre giovanissime generazioni. Il Telefono Azzurro ha preparato un appello a cui hanno già aderito molte istituzioni (tra cui l’ODG) per garantire una narrazione della guerra in Ucraina a tutela dei diritti dei minori.

Ma forse, in questa fase, le parole di raccomandazione non bastano, ed è giunto il momento delle regole.

Bibliografia

La guerra negli occhi dei bambini. Le immagini televisive dei conflitti, tra critica e proposta, Morcellini, M., Grassi, T. (a cura di), Pellegrini Ed. e Rai Eri, Cosenza 2005

“The nature of posttraumatic nightmares and school functioning in war-affected youth” Gerlinde C. Harb, Jon-Håkon Schultz, 2020, consultabile on line all’indirizzo: https://doi.org/10.1371/journal. pone.0242414

Guidelines on physical activity, sedentary behaviour and sleep

“Global Prevalence of Meeting Screen Time Guidelines Among Children 5 Years and Younger. A Systematic Review and Meta-analysis”, McArthur, RPsych; Volkova; Tomopoulos; et al, 2022

Children and Parents: Media Use and Attitudes Report, OfCom 2017 e 2012, https://www.ofcom.org.uk/

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