Nella battaglia per l’informazione libera, indipendente e di qualità, che sta alla base della costruzione della civile convivenza tra Stati, etnie, religioni, i video fake non possono e non devono avere diritto di cittadinanza. Ciò anche se essi vengono immessi nel circuito dei media da chi, nella guerra in Ucraina, sta dalla parte giusta, come è chiaro in questa vicenda nella quale ogni accenno all’equidistanza risulta essere, oggettivamente, un immorale cadeau a coloro che credono di poter ridisegnare i confini manu militari.
La morte della verità: i danni della guerra su informazione e democrazia
Bombe su Parigi (ma è un fake)
Mi riferisco a un video di propaganda diffuso dall’Ucraina (e al minimo interesse suscitato da questo fatto nel campo dell’informazione) dal titolo: “Fake Video showing Paris Under attack”
L’inizio è tipico dei film distopici: una scena tranquilla, ordinaria, sotto un cielo azzurro, con una ragazza sorridente che, sfruttando la prospettiva, si mette in posa per una foto con la Tour Eiffel contenuta tra le mani, tra la base e l’apice. Abbiamo visto tante volte la Torre di Pisa, o la Statua della Libertà, in analoghe rappresentazioni. In questo caso lo scenario muta d’improvviso: scoppi, urla, sirene, il pianto di un bambino, mentre il palcoscenico si allarga ed entrano in campo aerei che solcano il cielo a bassa quota, sganciando bombe che colpiscono i palazzi stile liberty del centro della Ville Lumière.
Il video ha la drammaticità del girato non professionale, certamente con un cellulare il cui possessore si trova, per caso e da un momento all’altro, proiettato in un tempo e in un luogo dove mai avrebbe pensato di potersi trovare. E che si tratti di Parigi, oltre che dalla Tour Eiffel in lontananza, si capisce perché l’imprecazione in sottofondo, mentre l’operatore improvvisato sta affacciato a una finestra, è quella tradizionale dei francesi: “Merde!”. Poi, su sfondo nero, la scritta: “Pensa solo se questo fosse successo in un’altra capitale europea. Combatteremo fino alla fine. Dateci una possibilità di vivere. Chiudete il cielo sull’Ucraina, o dateci aerei da combattimento. Se noi cadiamo, voi cadete”. Firmato, il presidente V. Zelensky.
Il fine (non) giustifica i mezzi
Il fine perseguito, dal punto di vista del Governo e dei cittadini ucraini, potrebbe esser considerato legittimo. Ma lo strumento scelto? No, per nulla! Giacché uno Stato che si professa democratico, e che combatte contro un nemico molto più forte per difendere questo status, dovrebbe andarci cauto. Ciò principalmente per due motivi: se è vero che l’Ucraina è stata oggetto di un attacco forse senza precedenti dal punto di vista della disinformazione, prima e durante l’invasione, di una riscrittura della Storia che mira addirittura a cancellarla come entità a sé stante rispetto alla Russia, dal punto di vista culturale, linguistico, politico e geopolitico, è altrettanto incontestabile che i suoi governanti e i suoi cittadini hanno da anni messo in evidenza la profonda differenza tra le due nazioni ex sorelle, presentando l’Ucraina come il baluardo ad Est della civiltà europea e occidentale. Ebbene, se questa diversità non è solo sbandierata per compiacere i destinatari del messaggio, certi metodi non possono trovare spazio in una narrazione del genere.
Sì, non sono fake news, ma sempre di fake si tratta: rumorosa propaganda volta a emozionare solleticando paure occidentali che al momento sono infondate.
L’altro motivo è che quella che io vedo come minimo quale una clamorosa caduta di stile del Governo ucraino potrebbe – a me questo è successo – rivelarsi controproducente, alienare simpatie e sostegno per altre richieste, tutte accolte, che tanto hanno contribuito, insieme alla strenua resistenza dell’esercito e delle milizie popolari ucraini, a trasformare un atteso e sperato blitzkrieg in una sorta di pantano, almeno finora.
Non mi riesce di immaginare, francamente, il massimo rappresentante di un Paese occidentale – lasciamo stare il passato e la famigerata smoking gun di George W. Bush – che in questo momento si muove su questo terreno, al di fuori e al di là dei canali della diplomazia e del diritto internazionale. Lungo questa china c’è davvero il pericolo di mettere in discussione i capisaldi della democrazia liberale, sulla cui adesione da parte di Kyiv si è verificato il divaricamento profondo tra la sua prospettiva futura e quella di Mosca.
Conclusioni
In un suo editoriale, il direttore di questa rivista Alessandro Longo esprime una certezza: “non sappiamo chi uscirà vittorioso dalla guerra, ma è già certo chi uscirà sconfitta: la verità”. Imputa poi questo risultato alla scomparsa dei media indipendenti sul fronte della guerra, il che provoca l’eclisse delle notizie affidabili, al cui posto si impongono “le versioni dell’Ucraina e quelle del Governo russo”. Non c’è dubbio a mio avviso, che la preoccupazione sia condivisibile, e la conferma arriva proprio dal video fake del bombardamento di Parigi.
E se davvero la situazione non dovesse evolvere in tempi ragionevoli verso un ritorno, appunto, agli strumenti canonici in uso tra gli Stati, l’allarme lanciato sulla sconfitta della verità, al di là degli esiti del conflitto, non può che ritenersi fondato.