Al centro del piano europeo di ripresa e resilienza, e del prossimo FORUM PA 2020 “Restart Italia” che è in programma dal 2 al 6 novembre, ci saranno le due grandi “transizioni” che rappresentano il futuro dell’Europa, ma anche del mondo intero: la sostenibilità dello sviluppo e la trasformazione digitale.
Il piano porterà in Italia un po’ meno di 209 miliardi tra prestiti e contributi.
La rivoluzione digitale e la sostenibilità finora non sono andate assieme (purtroppo)
Quando la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al momento del suo insediamento disse, nel suo discorso di investitura che “La trasformazione verde e quella digitale sono sfide indissociabili” se si vuole agire per la transizione verso un “pianeta sano”, l’affermazione ha suscitato più conensi che stupore. Ci è sembrato quasi scontato che queste due grandi trasformazioni delle nostre società e del nostro mondo dovessero procedere appaiate, quasi che l’una fosse legata all’altra da un nesso causale.
È un bias abbastanza comune: se due cose devono entrambe avvenire, ci viene naturale pensare che l’una porterà l’altra. Obiettivo di questo mio contributo è di esaminare un po’ meno ingenuamente questo nesso per dimostrare che se le due rivoluzioni sono entrambe auspicabili e necessarie, non è affatto detto che uno sviluppo più digitale voglia dire di default uno sviluppo più sostenibile. Per chiarire subito il mio pensiero affermo che il Green New Deal così tanto spesso invocato non è possibile, nella nostra attuale organizzazione sociale, senza una pervasiva e diffusa transizione digitale, ma che non è affatto detto che una transizione digitale non orientata aiuti automaticamente la sostenibilità dello sviluppo.
Per dimostrare questo assunto partirò dalla politica europea per il digitale, così come è descritta dai molti e significativi documenti pubblicati quest’anno, poi vedremo qual è l’effettiva sostenibilità del digitale e la sua impronta ambientale, perché è sempre valida la massima “medico cura te stesso”, cercherò poi di mettere in luce, aiutato da recenti studi, quali sono i pilastri perché il digitale sia fattore di sostenibilità. In conclusione vedremo insieme se e come la politica italiana, in questo momento così delicato, stia perseguendo questo positivo connubio e cosa stiamo facendo noi di FPA con il nostro percorso “Restart Italia”.
Serve il digitale per la sostenibilità: gli studi
I documenti europei per “plasmare il futuro digitale” parlano chiaro e ci dicono che la componente digitale sarà fondamentale per raggiungere gli obiettivi ambiziosi del Green Deal europeo e gli stessi SDGs dell’Agenda 2030. Le soluzioni digitali sono infatti potenti abilitatori per lo sviluppo sostenibile: possono sostenere l’economia circolare, supportare la decarbonizzazione di tutti i settori riducendo l’impronta ambientale dei prodotti del mercato europeo. Ad esempio alcuni settori chiave come l’agricoltura di precisione, i trasporti, l’efficienza energetica possono avere enormi benefici dalle soluzioni digitali per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che il Green Deal europeo si propone.
Gli fa eco il discorso della Presidente della Commissione sullo stato dell’Unione. Ha detto Ursula von der Leyen lo scorso 16 settembre:
NextGenerationEU è questo. Si tratta di plasmare il mondo in cui vogliamo vivere. Un mondo in cui l’economia riduca le emissioni, promuova la competitività, allevi la povertà energetica, crei opportunità lavorative gratificanti e migliori la qualità della vita. Un mondo in cui usiamo le tecnologie digitali per costruire una società più sana e più verde.
Anche l’interessante rapporto TWI2050 dell’International Institut for Applied Systems Analysis (IIASA), che si intitola proprio “The Digital Revolution and Sustainable Development: Opportunities and Challenges” è sulla stessa linea anche se comincia a vedere anche qualche problema in questo matrimonio tra verde e blu, per dirla come Floridi.
Leggiamo infatti che: le tecnologie digitali possono, a un ritmo molto più rapido che mai, aiutare (come abilitatori) la decarbonizzazione in tutti i settori (ad esempio, energia, mobilità e industria) e promuovere economie circolari e condivise, dematerializzazione, efficienza e risparmio di risorse ed energia, monitoraggio e conservazione dei sistemi ecologici e di altri sistemi terrestri, la protezione dei beni comuni globali e comportamenti sostenibili.
Tuttavia, questo non è un processo automatico e non avverrà da solo. In effetti, fino ad ora, è stato generalmente il contrario: le transizioni digitali degli ultimi decenni hanno perpetuato, o addirittura innescato, modelli di crescita ad alta intensità di risorse e gas serra. La tecnologia non è ancora stata mobilitata verso trasformazioni di sostenibilità. Pertanto, è necessaria un’inversione radicale delle tendenze attuali per ridurre i potenziali dirompenti della digitalizzazione e creare percorsi verso la sostenibilità.
I problemi che il digitale crea all’ambiente e all’equità sociale
Vediamo quindi meglio questi ostacoli che potrebbero rallentare o addirittura neutralizzare gli effetti positivi della trasformazione digitale verso il New Green Deal. Per chiarezza li classifichiamo da due punti di vista: il primo è dato dall’impatto delle ICT sull’ambiente, il secondo dai possibili “slippery slopes”, come li chiama il rapporto IIASA, ossia le chine scivolose che potrebbe portare lo sviluppo digitale ad esiti negativi e non previsti.
Le ICT non sono innocenti nel progressivo peggioramento dello stato del nostro pianeta e nella crescita delle emissioni di gas serra. Anzi. Attualmente l’insieme delle Tecnologie della Comunicazione e dell’Informazione producono il 4% dei gas serra e assorbono il 7% dell’energia, con un tasso di crescita che si avvicina al 9% annuo, derivato in larga parte dall’alto tasso di sostituzione in particolare degli smartphone. E non basta: i device elettronici anche a causa proprio del tasso di sostituzione, inquinano quando diventano e-waste, ossia rifiuti elettronici, il cui smaltimento è sì regolamentato, ma con norme spesso disattese. Inoltre sono imballati in packaging non sempre riciclabili e quasi mai biodegradabili. Ancora: per la loro fabbricazione si usano le cosiddette “terre rare” che in realtà non sono in sé rare, ma lo diventano per il lungo processo di estrazione e raffinazione, anch’esso fortemente energivoro.
Una parte importante dell’industria ICT sta operando una svolta green, ma gli effetti tardano a venire. La Commissione Europea, dal suo canto, ha posto come obiettivo per il 2025, tra i suoi sette flagship, di raddoppiare la produzione di semiconduttori in Europa, per produrre processori 10 volte più efficienti dal punto di vista energetico. Siamo fiduciosi.
Meno facilmente quantificabili sono i pericoli che potrebbero derivare da una digitalizzazione senza una governance politica adeguata. Il rapporto IIASA ne elenca quattro principali: “:
- le disuguaglianze (ad esempio, nel mercato del lavoro, nei sistemi educativi e nella divisione del lavoro a livello internazionale) all’interno della società potrebbero aumentare ulteriormente e ridursi le spinte alla coesione [rendendo più difficile il raggiungimento degli obiettivi 1- 4 – 8 dell’Agenda 2030: lotta alla povertà; educazione di qualità per tutti; piena occuopazione e lavoro dignitoso per tutti];
- il potere economico delle grandi imprese ICT potrebbe divenire per estensione (più) politico [rendendo più difficile il raggiungimento dell’obiettivo 16 dell’Agenda 2030: istituzioni forti per avere più pace e giustizia];
- la sovranità dei dati e i diritti civici potrebbero essere ulteriormente limitati e il monitoraggio dei cittadini e dei consumatori (con il cosiddetto “ranking sociale” già sperimentato in Cina) potrebbe essere rafforzato, soprattutto nelle società autoritarie e nelle società che non favoriscono la responsabilità dei cittadini [rendendo più difficile il raggiungimento dell’obiettivo 10 dell’Agenda 2030: riduzione delle disuguaglianze]
- le capacità di governance delle organizzazioni pubbliche potrebbero erodersi ulteriormente, poiché, ad esempio, è già molto difficile regolamentare le grandi imprese digitali ed essenzialmente impossibile negli ambienti virtuali, in particolare perché la conoscenza digitale è ancora molto limitata nella maggior parte dei governi e delle istituzioni pubbliche. [rendendo più difficile il raggiungimento dell’obiettivo 16, ma anche 17 dell’Agenda 2030: promozione del partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile]
La trasformazione digitale non è quindi di per sé garanzia di sviluppo sostenibile, ma, ed è la seconda faccia della medaglia, può esserne un fattore determinante in tutt’e due i versanti ora esaminati.
Se da una parte infatti si tratta di un insieme di tecnologie inquinanti, energivore e potenzialmente impoverenti il pianeta di materiali non rinnovabili, le ICT possono giocare un ruolo importantissimo per lo stesso raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.
I campi dove l’ICT può aiutare l’ambiente
La dimensione di questo articolo non ci permette di addentrarci negli aspetti più tecnici, ma basterà nominare alcuni campi in cui le ICT potranno ridurre notevolmente le emissioni CO2 equivalenti. In ordine di importanza:
- Smart grids per l’energia: che possono permettere il controllo della rete in forma bidirezionale e in presenza di molteplici generatori distribuiti, come sono generalmente quelli basati su energie rinnovabili. Le ICT costituiscono l’intelligena di queste reti che aumentano radicalmente l’efficienza energetica e rendono possibile la generazione distribuita.
- Efficienza energetica degli edifici: l’informatica può contribuire alla progettazione di edifici nuovi più efficienti, impiegando algoritmi che minimizzino i consumi energetici e involucri che sfruttino al meglio le condizioni ambientali e consentendo di integrare più facilmente pannelli solari e impianti geotermici. Elettronica e sensoristica possono essere impiegate per gestire al meglio i flussi energetici in nuove costruzioni, ma anche nel vasto parco degli edifici esistenti,con sistemi di illuminazione controllati o mediante le applicazioni tipiche della domotica.
- Efficienza energetica nei trasporti: in questo campo le applicazioni sono innumerevoli, dall’ottimizzazione del traffico alla sensoristica, dai veicoli elettrici alla gestione informatizzata delle flotte, alla guida autonoma o semi-autonoma.
Non sono da trascurare poi gli effetti derivati dalla riduzione della carta, dall’incremento dell’efficienza delle macchine nella manifattura, dalla riduzione degli spostamenti attraverso l’uso delle teleconferenze, ecc. Uno studio recente ha previsto una riduzione derivata dall’ICT di 7,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (pari a quasi il 15% del totale)
Come l’ICT può aiutare l’uguaglianza sociale
Dal punto di vista degli obiettivi di sostenibilità di carattere “sociale” è sostanziale il contributo della digitalizzazione per la realizzazione del Goal 3 dell’Agenda 2030 mirato alla promozione di salute e benessere per tutti.
- L’innovazione digitale per il settore medico contribuisce oggi alla costruzione di diagnosi sempre più tempestive e accurate, alla chirurgia robotica alla stampa 3D di protesi, alla telemedicina e alla teleassistenza, alla gestione più efficace dei sistemi sanitari.
- Altrettanto importante può essere il contributo della trasformazione digitale per il raggiungimento del goal 11, ossia per avere città più sostenibili, inclusive e sicure.
- Senza parlare poi del contributo del digitale (pensiamo solo ai MOOC e ai corsi online) al goal 4 per garantire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva per tutti.
Che fare per l’alleanza tra digitale e sostenibilità: il ruolo della politica
Insomma, a questo punto siamo confusi: il digitale che è così pervasivo nella nostra vita, l’infosfera che caratterizza le nostre relazioni, ma anche la nostra identità, le tecnologie che possono farci fare cose impensabili solo fino a qualche anno fa rendono più sostenibile il nostro sviluppo o dovremo pagarne le comodità con un veloce peggioramento della salute del pianeta, come per altro è stato sino ad ora?
Ovviamente a questa domanda, per altro meno ingenua di quanto possa sembrare, non c’è una sola risposta. O meglio la risposta o le risposte non possono che venire dalla politica.
Perché è la politica, la buona politica che deve avere la visione del futuro, deve immaginare il nostro Paese fra uno o più decenni per cominciare a costruirlo ora. Siamo davanti ad un bivio critico che deve scontare anche la velocità dell’innovazione che crea nuovi paradigmi tecnologici ben prima della creazione di norme guida e politiche, di fatto prima di qualsiasi consapevolezza pubblica.
In questo panorama restano eminentemente politici gli strumenti su cui possiamo contare per sciogliere la nostra confusione e annoverare senza indugio la trasformazione digitale come grande arma per uno sviluppo sostenibile che persegua giustizia ambientale e sociale.
Prendendo anche qui spunto dal rapporto 2019 dell’IIASA (leggetelo, vale la pena, così come è interessantissimo il rapporto 2020, sulle innovazioni per la sostenibilità) indico qualcuno di questi pilastri:
- il primo non può che essere l’educazione e l’istruzione che possa mettere in grado le persone di comprendere e dare senso e forma ai cambiamenti che la trasformazione digitale comporta; non si tratta (solo) di insegnare informatica, ma di creare consapevolezza critica;
- altrettanto importante è potenziare la ricerca e le reti di conoscenza che devono creare quella che il rapporto IIASA chiama “conoscenza trasformativa per integrare trasformazioni digitali e orientate alla sostenibilità, evitare i punti critici digitali e costruire quadri normativi per l’epoca della convergenza tra intelligenza umana e intelligenza artificiale;
- non si avrà però un vero riorientamento dello sviluppo se non cambiano anche le istituzioni pubbliche, da quelle politiche a quelle amministrative che, oggi come oggi, non sono affatto preparate a comprendere e governare le dinamiche digitali;
- in questo ecosistema d’innovazione deve esserci poi spazio per la sperimentazione, per le start-up, per ambienti creativi dove possano farsi strada anche idee non previste né prevedibili e poi devono esserci efficaci catene di trasmissione che possano portare il nuovo all’industria e alla politica;
- uno spazio questo che dobbiamo permettere di frequentare alle giovani generazioni su cui stiamo riversando un enorme debito sia finanziario sia ambientale e che devono impadronirsi del loro futuro;
- infine, e ci torneremo alla fine di questo articolo, è necessario ripensare una nuova governance globale che interiorizzi, molto più di quanto ora stanno facendo gli organismi sovranazionali, la trasformazione digitale come ambivalente strumento di pace di inclusione e di giustizia, ma anche di esclusione, di
Una nuova politica, una nuova amministrazione pubblica
Bene quindi non è vero che non sappiamo cosa fare. Ma lo stiamo facendo? La risposta non può che essere interlocutoria. Per ora questa politica lungimirante non si vede. Abbiamo di fronte scelte davvero epocali: fare il nostro dovere vuol dire avere il coraggio di scegliere e di orientare l’uso delle tecnologie, di individuare poche priorità su cui investire.
Per farlo dobbiamo però avere sia una politica sia un’amministrazione pubblica all’altezza del compito.
Per la prima è necessario un doppio rafforzamento: il Governo centrale deve saper disegnare una visione del Paese almeno al 2030 che sia ambiziosa e programmare azioni e progetti in coerenza con quella. Disegnare un Paese innovatore come titola il nuovo e interessante libro di Alfonso Fuggetta.
Ma altrettanto è necessario rafforzare i governi locali, i Comuni in primis, perché è solo nei territori e nelle comunità locali che il matrimonio tra sostenibilità dello sviluppo e trasformazione digitale diviene concreto: nelle strade a traffico intelligente, nella mobilità sostenibile, negli edifici energeticamente efficienti, nelle smart grid, nella telemedicina e teleassistenza, nelle scelte di tutti i giorni dei cittadini.
Più forza al centro quindi e più forza nei territori, ma non basta. Stiamo giocando una partita planetaria, dobbiamo pensare digitale, ma nello stesso tempo saper orientare il mercato perché l’interesse delle grandi aziende ICT non confligga con l’interesse di tutti, con un futuro giusto e inclusivo.
Il bene comune, non il valore per gli azionisti: così il capitalismo deve cambiare per essere sostenibile
Non solo le aziende ICT, ma tutte e in generale il capitalismo dovrebbero rimettere al centro il bene comune – e non più il valore degli azionisti, che può essere un mezzo e non il fine. Così si legge in un nuovo bellissimo libro dell’economista di Harvard Rebecca Henderson, Reimagine Capitalism in a World on Fire.
Bisogna reimmaginare il capitalismo, “principale causa dei disastri climatici”, dice Henderson. “Ora non funziona per la maggior parte della popolazione del pianeta”, aggiunge, riferendosi anche a diseguaglianze sociali crescenti.
Altrimenti ci ritroveremo come in quello straordinario cartoon di Tom Tom – messo in cima all’articolo – dove in un mondo devastato, tra bambini, un signore in business suit dice: “sì, abbiamo distrutto il pianeta, ma per un bellissimo periodo abbiamo creato molto valore per gli azionisti.
Alessandro Longo
Gioco di squadra, Italia, Europa e tutti i cittadini
L’Italia non può farlo da sola, serve una politica unitaria almeno a livello continentale. Le prese di posizione della Commissione europea e della sua Presidente vanno in questo senso, ma alle loro spalle ci sono le spinte, spesso egoistiche e sovraniste, degli Stati membri, ciascuno alle prese con instabili maggioranze interne da soddisfare mostrando forza invece che saggezza. E’ qui che si gioca gran parte della partita, ma non è una partita da cui possiamo sentirci estranei rimandando le responsabilità a Bruxelles.
Ciascuno deve fare la propria parte. Noi di FPA ci siamo così come c’è l’impegno di tutto il gruppo Digital360. Il prossimo FORUM PA, che abbiamo voluto intitolare “Restart Italia” e tutto il percorso di ascolto degli innovatori che stiamo facendo da marzo scorso in poi è dedicato a questo: ad aiutare la prorompente innovazione tecnologica a divenire innovazione sociale per uno sviluppo sostenibile e una maggiore giustizia sociale.
A questo tema in particolare dedicheremo uno dei nostri convegni di scenario.
Si svolgerà la mattina del 3 novembre con il titolo “Green new deal: verso un nuovo modello di sviluppo” e vedrà la presenza di vertici del Governo, dell’industria ICT, dell’Università, ma anche delle città e dei territori dove l’innovazione diventa vita di tutti i giorni. Lo coordinerò io stesso. Vi aspetto online.