La Previdenza è “il” tema che ogni Governo si trova sul tavolo dal primo giorno di insediamento. È uno tra i punti più complessi da gestire della politica pubblica. Pensare oggi a quello che dovrà avvenire tra trenta, quarant’anni, non è cosa semplice. Divisivo certamente e politicamente scomodo ma, allo stesso tempo, per chi si candida a guidare un Paese, elemento ineludibile per qualunque discussione volessimo fare nell’ambito delle politiche pubbliche.
Abbiamo tutti impresse le lacrime dell’allora Ministro Fornero, accusata di aver demolito il nostro sistema di sicurezza, la pensione. Senza ricordarci che la stessa fu chiamata insieme ad altri a risolvere situazioni prodotte da anni di Governi che nei decenni precedenti avevano sperperato a destra e a manca, cioè chiamata a risolvere un problema con azioni che nessuno aveva il coraggio di fare pur consapevoli della necessità di intervenire in maniera drastica su un sistema destinato al tracollo. Ma sembra non esser stato sufficiente. Siamo all’affanno, ci dicono che le future generazioni avranno pensioni da fame, che non c’è spazio per tutti, e inventiamo scale, scaloni, scalini, uscite anticipate, premi a taluni, ecc.
Insomma, la previdenza, la pensione, è da sempre terreno di conquista politica perché concedere o meno, influisce sul consenso, inutile negarlo. Ma perché avviene tutto ciò? Prima di tutto perché abbiamo dissipato tante risorse nel tempo con varie regalie varie, non possiamo certo dimenticare quando si poteva andare in pensione con pochissimi anni, anche se solo talune categorie, anche in questo caso discriminando i cittadini. Ma il tema è assai complesso perché dovremmo inserire nella discussione molti elementi: disequilibrio tra lavoratori attivi e pensionati dovuta all’allungamento delle aspettative di vita; alla mancanza di lavoratori e cioè di soggetti che versano al sistema che prima di loro altri hanno mantenuto, alla natalità che influisce anch’esso a creare problemi, e molti altri temi che non mi interessa analizzare oggi in questa occasione.
Doppia contribuzione
Possiamo però affermare che il nostro sistema accorpa in sé diverse storture e una di queste riguarda il titolo di questo articolo e cioè: la doppia contribuzione, in questo caso, dovuta dagli amministratori di società. Questo versamento aggiuntivo con conseguente iscrizione alla cassa di riferimento è dovuto quando si verificano determinate condizioni e cioè “… esercitare abitualmente una attività assumendone tutti gli oneri e i rischi, un imprenditore appunto…” e già questo presupposto potremmo considerarlo penalizzante, cioè chi produce deve pagare il doppio, ma non perché allo stesso tempo guadagna il doppio. Sembra assurdo ma è così!
Ovviamente siamo d’accordo sul principio solidaristico che la legge ha previsto, e siamo altresì d’accordo che chi guadagna di più deve pagare di più, ma non siamo d’accordo di dover pagare “due” volte perché siamo imprenditori. Tutti dobbiamo concorrere a sostenere la previdenza collettiva del Paese, che poi vuole dire sostenere anche quella del singolo. Tuttavia vorremmo rivederne l’intero impianto adeguandolo ai tempi.
Gestione separata
Nel 1995 arriva la Gestione Separata e nel 1996 l’obbligo di iscriversi, in presenza delle precondizioni previste, oltre che alla cassa di riferimento, commercianti, artigiani, forse altri, anche alla Gestione Separata duplicando così il proprio apporto. Insomma, il legislatore decide che, siccome tu sei un amministratore, cioè rappresenti l’impresa e magari ti sporchi le mani per farla funzionare, allora devi pagare il doppio. Un sistema premiale del tutto particolare! Lavorare di più non vuole dire necessariamente “guadagnare di più” e in particolare in un Paese dove il tessuto produttivo è fatto di migliaia di capannoni dove micro e piccole imprese, quotidianamente, producono la ricchezza della Nazione, tra l’altro dando lavoro a milioni di lavoratori.
La “doppia contribuzione” è un aggravio consistente di costi per l’azienda e la persona, in molti casi un elemento che mette in seria difficoltà la micro o piccola organizzazione, tenendo tra l’altro presente che la Gestione Separata ha il prelievo più consistente tra tutte le gestioni, anche se in presenza di doppia contribuzione sconta qualche punto percentuale facendo riferimento all’aliquota della cassa in cui si viene iscritti. Tuttavia non è questo che ammorbidisce il principio discriminatorio e vessatorio che anche in questa occasione ogni imprenditore ravvede.
Corte di Cassazione
Questa storia infinita continua per decenni, con contestazioni e interpretazioni, per arrivare al 2021 quando, una ordinanza della Corte di Cassazione, la nr. 1759/2021, introduce un nuovo principio interpretativo e cioè: laddove un amministratore sia impegnato solo nell’amministrare il controllo, assuma un dipendente, sia referente di clienti e fornitori, svolga insomma una mera attività di supervisione senza partecipare materialmente all’attività materiale produttiva, tutto ciò rientra nell’amministrazione ordinaria e come tale non è soggetta all’iscrizione.
Ovviamente il tutto rimane contorto se pensiamo a cosa sia una “attività produttiva e in particolare determinate attività” ma è già qualcosa. Se non fosse che tale sentenza, lascia all’INPS l’onere di dimostrare il contrario e cioè, che tu sia o meno escludibile in base a questi presupposti. Cioè, la stessa INPS che gestisce e incassa i quattrini, dovrà determinare se tu sei amministratore soggetto o meno coinvolto nell’attività, e se sei obbligato all’iscrizione. Insomma, uno strumento del tutto anomalo, per non dire infernale, che infatti spaventa e al momento, per lo più si continua a pagare per evitare problemi. Almeno questo è quello che emerge nella nostra categoria dopo un’indagine di qualche tempo fa.
Un dato importante da ricordare poi, nel ragionamento complessivo che dobbiamo tenere presente è che questa gestione, nata nel 1995, va considerata come una cassa di recente costituzione se parametrata agli anni lavorativi di ognuno di noi, pertanto non ha sicuramente il numero di pensionati che hanno altre gestioni. Potremmo forse sostenere, senza rischio di essere smentiti, che in questo momento, questa gestione, sostiene il sistema pensionistico nazionale o parte importante di esso. Gestione tra l’altro che sempre più coinvolgerà le nuove generazioni di lavori e lavoratori.
Al Governo, alla Ministra del Lavoro Calderone, dobbiamo pertanto proporre di intervenire in modo definitivo e chiaro su questo aspetto che considera ancora un socio di una impresa, che a fatica si mantiene, alla pari di un socio di una multinazionale che, attenzione, non pagherà la doppia contribuzione ovviamente. Insomma, un sistema che come al solito è squilibrato sempre verso il basso mai verso l’alto.
A queste riflessioni dobbiamo aggiungere, che il nostro sistema previdenziale si conferma un sistema discriminatorio. Cioè non si capisce perché, nel 2023, dobbiamo avere casse diverse e aliquote diverse. Chi paga 26 chi 24, chi 33, e diversa redditività a parità di versamenti. Tra l’altro chi versa nella GS subisce il pagamento di una aliquota aggiuntiva prevista per la ISCRO, quel sistema di supporto per il professionista in caso di malattie, perdite di lavoro, difficoltà varie, ecc. Tutela tra l’altro che per come è stata congeniata, è del tutto probabile, che in pochi riusciranno ad utilizzare se effettivamente lavoratori autonomi. Perché anche su questo elemento sarebbe necessario capire bene in questa GS chi è presente! Censire, codificare, suddividere, segmentare settori di questa gestione sarebbe una informazione molto utile per capire lo stato e valutare scenari futuri.
La proposta del Libretto Previdenziale
Perché i cento euro che verso come dipendente, sarebbero diversi da cento euro versati da amministratore, da commerciante, da artigiano? È una domanda che sarebbe interessante porre al legislatore in un’epoca in cui il lavoro non è più quello dei nostri padri, dove le carriere erano continue e stabili. Si iniziava e si finiva di lavorare magari sempre nello stesso settore, nella stessa azienda, per la stessa mansione, ecc. Tutto ciò non esiste più! Il lavoro è cambiato, la stabilità è oramai una chimera per molti e spesso per volontà degli stessi lavoratori; le carriere sono intermittenti e non sempre continuative. Si alternano momenti di intensa attività a momenti di precarietà quando non fermo effettivo del lavoro.
Altrettanto spesso lavorando in settori diversi nel tempo. Insomma, non solo i nostri ragazzi, non sono sicuri di averla una pensione, ma è facile che quand’anche ci arrivassero dovranno fare i conti con notevoli penalizzazioni. E non è detto che anche coloro che sono a metà carriera possano sentirsi del tutto sicuri di trovare la soddisfazione a cui ambiscono quando arriverà il momento di lasciare il lavoro. Tutto ciò prevede tra l’altro di aver versano anni a sufficienza per la specifica gestione, per addentrarci poi in diverse modalità, totalizzazioni, ricongiunzioni, ecc., insomma una elevata possibilità di vedersi consegnare una pensione esigua pur avendo versato molti soldi nell’arco della vita lavorativa.
Cosa servirebbe fare, ma ci vorrebbe tanto coraggio e onestà intellettuale, tra l’altro consapevoli che i benefici si potranno vedere solo tra molti anni e, per questo, dobbiamo tenere presente che il tema è spinoso politicamente. Possiamo dire che non è tra i più graditi.
È necessario rivedere il nostro modello previdenziale nella sua totalità e tutelare questo patrimonio che un Paese moderno, evoluto e democratico, deve poter mantenere e garantire. Per farlo si devono eliminare tutte le disparità che oggi il sistema presenta in termini di aliquote da pagare. Non ci possono più essere differenze tra lavoratori! Certo è giusto che ci siano sul piano economico e cioè chi guadagna di più deve contribuire maggiormente, ma allo stesso tempo, lo stesso, deve percepire di più e in particolare da oggi che siamo pienamente in un sistema contributivo, cioè prenderai in base a ciò che verserai durante l’arco della vista lavorativa, a differenza del precedente sistema retributivo che calcolava le pensioni sulla base degli ultimi cinque anni di attività e possiamo solo immaginare quanti hanno speculato su questo elemento e in particolare in determinati settori, seppur nella legalità.
Il nostro auspicio come categoria professionale, e sono certo che non siamo gli unici ad esprimerci in tal senso, sarebbe quello di vedere un giorno una “cassa previdenziale” unica, quantomeno per le attività soggette alla previdenza di Stato e cioè l’INPS.
Il Libretto Previdenziale è la proposta che vogliamo fare! Una cassa dove verserò i cento euro che mi spetta di versare. Senza differenze di aliquote, dobbiamo trovarne una che sia identica per tutti perché differenziare come avviene oggi si traduce in discriminazione per uno o l’altro attore, a scapito di quel presupposto solidaristico che la legge introduceva che è giusto e degno di un Paese civile. Una proposta che da anni, ciclicamente, riproponiamo al legislatore e che rifaremo anche all’attuale Ministra del lavoro Calderone che da professionista qual è sul piano professionale, bene sa cosa voglia dire doppia imposizione e differenze di aliquote. Fare chiarezza, uniformare, trovare nuovi modelli, consentirà di rivedere molti altri aspetti di un sistema che non è più adeguato ai tempi, che è giusto nei suoi fondamentali, ma necessità di una efficace revisione. Non ultimo potrà aiutare anche a snidare l’evasione previdenziale che si annida sempre dove c’è confusione e oggi sul tema previdenza veramente ne abbiamo molta.