In Italia abbiamo un grave ritardo per l’università online. Il fatto è tanto più grave se si considera che il gap metodologico didattico e infrastrutturale del sistema formativo italiano, rispetto all’innovazione digitale, è stato stimato dall’OCSE, già nel 2013, in 15 anni rispetto alla Gran Bretagna (Review of the italian strategy for digital school).
La diffusione dell’E-learning e dei Mooc è stata a lungo bloccata e inibita, all’interno degli Atenei pubblici italiani, da due fattori. Il primo e forse il più rilevante è di natura culturale. Gli strumenti tecnologici di apprendimento sono spesso ancora considerati, nell’opinione comune della classe dirigente (umanistica e non) del nostro sistema formativo, come un strumento di reificazione e alienazione della relazione didattica, quando non una strumento di asservimento di insegnanti e studenti, al “Grande Fratello” del mercato globalizzato. La nostra classe dirigente e nostri intellettuali “umanisiti” o “post-moderni”, sulla scorta del retaggio del “crocio-gramscianesino”, considerano ancora la tecnologia e i suoi strumenti come pericolosi corpi estranei da esorcizzare.
Il secondo fattore è legato alla storia specifica dell’innovazione digitale nel sistema universitario e formativo italiano ed è legato “all’ombra grigia” dei corsi di laurea erogati online dalle cosiddette “università “telematiche” private. Salvo rare eccezioni, si tratta, infatti, di esamifici virtuali che a fronte di pagamenti ingenti garantiscono lauree in tempi rapidi. Atenei “virtuali” che agiscono spesso vicino o oltre il limite della legalità (vedi a questo proposito una antica ma sempre valida nei contenuti inchiesta condotta con Maria Novella De Luca di Repubblica). La cattiva nomea delle “sedicenti” università on-line, introdotte dal decreto Moratti sulle università telematiche del 2003 ha gettato discredito, in Italia, su tutta la formazione abilitata dalla tecnologia, producendo in questo modo un grave danno alla modernizzazione e all’abilitazione digitale di tutto il sistema formativa, sia curriculare che della formazione continua. La scarsa serietà delle università telematiche ha per così dire “bloccato” per anni l’innovazione in questo settore e tuttora questo pregiudizio è molto diffuso tra i Rettori delle università pubbliche italiane (Rapporto Anvur 2013).
Lo scenario internazionale
A livello internazionale dopo la lunga stagione dell’E-learning e del Blended Learning, guidata tra il 1994 e gli anni 2000 da alcune Università di punta: la Open University in Inghilterra, l’Open Courseware Project dell’Mit o l’Universitat Oberta de Catalunya si è assistito a mutazione genetica nell’offerta digitale delle Università (un sintetica storia dell’E-elearning si veda Cross, Y., (2004) An informal history of eLearning). A partire dal 2008 l’innovazione digitale, infatti, si è concertata e diffusa in maniera virale in tutte le più prestigiose istituzioni mondiali con il fenomeno dei Mooc, mentre tra i “follower”, si diffondevano sempre più largamente E-learning e Blended learninig (Aspen Institute Italia, 2014, E-learning: la rivoluzione in corso e l’impatto sul sistema della formazione in Italia). I Mooc – rispetto ai corsi in E-learning e Blended Learing, rivolti fino a questa data solo agli studenti iscritti alle università erogatrici – offrono corsi o percorsi di formazione aperti e disponibili in rete, strumenti formativi disponibili per tutti gli interessati a prescindere dalla loro carriera accademica o professionale. Questo tipologia di corsi è pensata per coinvolgere un numero molto elevato di utenti: Massive On-line Open Courses. Si tratta di moduli formativi generalmente basati su video e attività interattive online sostenute dai corsisti (vedi anche su Agenda Digitale il mio La rivoluzione Mooc sulla didattica universitaria). Secondo una ricerca del Pew Internet & American Life Project (Lifelong Learning and Technology, 2016) sono ormai 10 milioni gli studenti, professional o i cittadini che hanno seguito un Mooc, o altre forme avanzate di E-learning e Blende learning, a beneficio della propria formazione accademica o continua. La parte del leone nel campo dei Mooc la fanno, a tutt’oggi, i corsi on-line erogati dai grandi consorzi di Università statunitensi: 5,6 milioni attraverso Coursera, consorzio privato fondato da alcuni docenti dell’Università di Stanford in California. Sempre a Stanford nasce anche la seconda piattaforma mondiale di Mooc Udacity che vanta 1.6 milioni di utenti; un milione di utenti ha il consorzio Edx fondato dall’Università di Harward e dal Mit di Boston.
L’innovazione viene dal basso: tra mille fatiche le Università italiane stanno diventando digitali a dispetto del Miur e dell’Anvur
In realtà in Italia l’innovazione digitale è riuscita a fatica a farsi largo egualmente ma si sta svolgendo in maniera spesso “inavvertita” dalla stessa classe dirigente del sistema universitario. Ad esempio, un indagine del 2012 di una ricercatrice del politecnico di Milano Maria Grazia Roberto, metteva in rilievo come l’offerta complessiva di formazione on-line degli Atenei, in varie modalità sperimentali o più generalizzate coinvolge circa l’92% degli atenei italiani e le università dotate di un proprio centro per l’E-learning risultano essere circa il 73%, mentre quasi tutti gli Atenei hanno Centri e-learning o offrono ai loro docenti i supporto di piattaforme on-line per l’apprendimento come Moodle o Blackboard. Sul totale delle università italiane, secondo quanto dichiarato sui siti delle università stesse, ormai solo 8 università non propongono formazione veicolata da metodologie ICT.
Se questi sono i dati del 2012 dobbiamo pensare che il dato del 2016 copra quasi il 100% degli Atenei, ovviamente in forma ancora sperimentale e poco riconosciuta dall’establishment accademico.
L’offerta formativa riguarda soprattutto le discipline tecniche, economiche e scientifiche. Ma anche le facoltà umanistiche stanno incrementando la propria offerta relativa alla formazione a distanza e all’e-learning nei Corsi di Laurea e nei percorsi di formazione postuniversitaria. L’innovazione quindi procede in Italia dal basso e attraverso un processo di disseminazione di buone pratiche per lo più non istituzionalizzate. Questi dati sono confermati anche da una recente ricerca svolta dal mio gruppo di lavoro presso l’Università degli Studi Milano Bicocca. In quest’Ateneo, come nella maggior parte di quelli italiani non sono presenti Corsi Laurea ufficiali in e-learning, (disponibili solo nel 30% degli Atenei) ma un progetto sperimentale di “Corsi” in Blended Learning e tuttavia come vedremo dai dati della ricerca che presentiamo le pratiche degli studenti e dei docenti sono cambiate radicalmente.
Il caso dell’Università degli Studi Milano Bicocca: l’innovazione è bottom-up
Analizziamo, ad esempio, quanto è frequentata la piattaforma e-learning di Ateneo dagli studenti: il 55,14% la utilizza un volta alla settimana, e più del 28,5%, tutti i giorni o quasi [1].
Quindi nonostante le difficoltà della struttura accademica a rispondere in maniera sistematica alle esigenze di digitalizzazione degli studenti, le risorse digitali, in questo caso la piattaforma Moodle messa a disposizione di docenti e studenti dal Servizio Elearing di Ateneo, sono molto utilizzate: vediamo come.
E’, infatti, diventata una pratica estremamente frequente l’utilizzo del Web per scaricare materiali prodotti o consigliati dai docenti. Lo scambio di materiali on-line, in particolare quelli creati dal docente, è un fenomeno che interessa moltissimi studenti. Lo praticano quotidianamente il 34,03 % degli intervistati e, se si sommano i tre risultati “molte volte al giorno” (12.63%), “quotidianamente” e “almeno una volta la settimana” (32,97%) si ottiene la rilevante percentuale dell’79,63%.
Allo stesso modo è un’attività molto diffusa la pratica di “cercare on-line” materiali di studio o articoli su indicazione del docente. Più del 66,42% degli studenti (sempre sommando i risultati i tre risultati “molte volte al giorno” 9.40%, “quotidianamente” 25,90% e “almeno una volta la settimana” 31,12%) esercita questa attività.
Ancora più diffusa è la pratica di cercare “autonomamente” materiale di approfondimento sui contenuti del corso, sul web in questo caso la somma dei tre risultati ammonta al 74,94%dei casi.
Da questi dati è evidente come la pratica da parte dei docenti di mediare la didattica attraverso la rete è sempre più frequente e l’utilizzo di “paper” e materiali disponibili on-line sia la normalità nelle pratiche didattiche dei molto atenei italiani, così come gli studenti svolgono sul Web gran parte del lavoro di ricerca autonoma di materiali didattici. Ormai è molto frequente da parte dei nostri docenti, anche, la richiesta di produrre documenti digitali o elaborati multimediali come “esercitazione” o come attività che fa parte integrante della valutazione degli esami di profitto. In questo caso la percentuale di utilizzo è sorprendentemente rilevante: il 32,16%. Il digitale è ormai entrato, per restare, nelle pratiche della didattica universitaria anche se in una modalità ancora poco formalizzata e che è ancora appoggiata molto sulle singole iniziative dei docenti piuttosto che su una programmazione diretta a livello di Ateneo.
Il ritardo da colmare rispetto all’Utilizzo dei Mooc e una possibilità di colmarlo il consorzio Eduopen
Secondo la stima della nostra indagine sugli studenti dell’Università degli Studi Milano Bicocca è ancora molto bassa, invece, la percentuale di studenti che seguono Mooc. Solo il 3%. In genere, poi, si tratta di Mooc stranieri e solo da poco in Italia è stato avviato presso la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) un ragionamento approfondito su come normare in Italia il fenomeno purtroppo ancora poco diffuso dei Massive Online Open Courses (Crui, 2015 e Limone, Poce, De Santis, 2016). Tuttavia anche in questo caso sempre dal basso e con scarsa attenzione dal Ministero, gli Atenei italiani si stanno attrezzando per dar corpo ad un’offerta italiana nel settore dei Mooc. E’ nato, infatti, per iniziativa del Centro Edunova dell’Università di Modena e Reggio Emilia diretto dal Professor Tommaso Minerva, il consorzio Eduopen piattaforma di progettazione ed erogazione creata da quindici Università pubbliche italiane (tra le quali Reggio Emilia, Venezia, Milano-Bicocca, Padova, Parma, Bari, Bolzano, Ferrara, Genova, Catania e il politecnico di Ancona). Il Consorzio nasce per offrire a tutti (studenti, lavoratori e interessati) e gratuitamente l’opportunità di seguire percorsi formativi digitali di alta qualità. Il portale è realizzato in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che ne ha sostenuto e finanziato l’avvio in collaborazione con i consorzi Cineca e Garr sulla piattaforma Open Source Moodle. Ad oggi, il catalogo, propone 70 corsi, già fruibili e riguardano discipline molto diverse tra loro, dalla matematica alla medicina, alle tecnologie didattiche e alle scienze umane. I corsi sono disponibili in modalità open e gratuita (licenza Creative Commons shareAlike).
Conclusioni
Le istituzioni universitarie italiane, rispetto a quelle internazionali sono, nella loro classe dirigente, ancora molto arretrate dal punto di vista della digitalizzazione dell’offerta formativa e hanno sicuramente una minore consapevolezza, rispetto alle concorrenti straniere, delle opportunità e delle prospettive di questa rivoluzione “necessaria” e ineludibile… . Tuttavia neppure le nostre Università potranno nel medio periodo evitare di adeguarsi alle pratiche e le attività di molti dei loro docenti e studenti che stanno innovando la “sostanza”, se non la forma, della trasmissione del sapere e delle ricerca anche nelle Università… eppur faticosamente si muove!
[1] I dati che presentiamo sono tratti dall’indagine sulla dieta mediale e sui profili di utilizzo delle nuove tecnologie di rete condotta dall’Osservatorio sui Nuovi Media dell’Università di Milano-Bicocca NuMediaBiOs. L’indagine, alla sua quarta edizione (Ferri et al. 2010, 2012, 2014), è stata realizzata nell’anno accademico 2014-2015 e si è basata su una indagine quantitativa sulla popolazione degli studenti iscritti alle lauree triennali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. All’indagine hanno partecipato 4937 studenti iscritti alle lauree triennali dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, un campione rappresentativo del totale della popolazione di circa 30.000 studenti.