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Uno, nessuno, centomila creator: ecco perché siamo tutti influenti nel mondo post-pandemia

L’attivismo su TikTok della gen Z contro l’anti-sindacalismo di Amazon e Starbucks, lo sciopero virtuale dei dipendenti Facebook per il caso George Floyd. Tutti noi, smartphone in mano, possiamo “influenzare”. Un estratto dal libro “Siamo tutti influencer” di Giampaolo Colletti (ROI Edizioni). In libreria dal 23 novembre

Pubblicato il 23 Nov 2022

Giampaolo Colletti

Giornalista e manager

influencer

Per avere successo non è sufficiente prevedere. Dobbiamo anche imparare a improvvisare.

Isaac Asimov

“Ora è tempo di affrontare la realtà. Il modello per il nuovo decennio non è più la routine che avevamo prima della pandemia, ma il tumulto e lo sconcerto. Tutto è permanentemente in attesa di revisione.” È lo straordinario attacco dell’Economist nella storia di copertina uscita nel dicembre 2021,[1] a pochi mesi dall’inizio del nuovo anno che avrebbe portato preoccupazioni e ansie legate ai venti di guerra che soffiano nell’Est Europa, al caro-prezzi e all’inflazione galoppante.

Ma facciamo un passo indietro, anzi, avanti. Nella torrida estate 2022 una notizia è rimbalzata nelle agenzie stampa di mezzo mondo, anche se ha fatto meno rumore in un Paese come l’Italia, distratto da una campagna elettorale che in quei giorni di metà agosto iniziava a consumarsi a suon di slogan e hashtag sotto l’ombrellone.

These TikTok creators won’t work with Amazon until it meets the demands of the Amazon Labor Union.

These TikTok creators won’t work with Amazon until it meets the demands of the Amazon Labor Union.

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L’attivismo della Generazione Z prende forma su TikTok

Un gruppo di una settantina di tiktoker americani, anagraficamente ascrivibili alla generazione z e con un seguito aggregato di oltre cinquantuno milioni di follower, ha deciso di fare fronte comune per un’azione senza precedenti. La notizia ha letteralmente fatto il giro del mondo e dei social. Di fatto il gruppo ha scelto di rifiutarsi di lavorare con Amazon fino a quando il colosso di Seattle non avesse soddisfatto le richieste dei sindacati. Così ha promosso una specifica campagna, “People Over Prime”: un impegno a non accettare i soldi della sponsorizzazione dell’azienda fino a quando non sarebbero state condivise le richieste dell’Amazon Labour Union.

La campagna è stata promossa dal collettivo Gen-Z for Change, coalizione di giovani creator e attivisti di TikTok. Il gruppo afferma che tutti i membri della campagna si rifiuteranno di lavorare fino a quando Amazon non soddisferà le richieste dei sindacati, incluso un salario minimo di trenta dollari all’ora, migliori condizioni di lavoro e l’interruzione di qualsiasi strategia antisindacale.

Ad aprile 2022, a Staten Island, per la prima volta un magazzino Amazon ha votato per la costituzione di un’unione sindacale, ma sono in corso ulteriori sforzi di sindacalizzazione in varie sedi in tutto il Paese. I creator, intervistati dalla testata americana Business Insider,[2] hanno dichiarato che TikTok si presta all’attivismo grazie al suo funzionamento e al suo algoritmo. Elise Joshi, tiktoker ventenne e direttrice della strategia presso Gen-Z for Change, ha affermato che il gruppo avrebbe deciso di prendere di mira Amazon dopo una precedente campagna a favore dei lavoratori sindacali di Starbucks. Infatti, soltanto a febbraio 2022, i creator avevano inviato più di 140.000 false candidature alle sedi di Starbucks: l’azienda era colpevole di aver licenziato i lavoratori che avevano promosso incontri sindacali. “È molto più facile spargere la voce su TikTok perché è più facile diventare virali e avere più persone che vedono i tuoi contenuti piuttosto che lavorare sulle piattaforme Instagram e Twitter”, ha dichiarato Connor Hesse, creator diciannovenne.

How Generation Z Will Change The World According To Experts | TIME

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Scendere in campo? Meglio in rete

Scendere in campo, o meglio in rete. Non è un caso isolato perché, per esempio, nel tempo dello smartworking esteso per via di un’emergenza sanitaria che fatica a essere superata anche lo sciopero diventa virtuale. È successo nel 2020 nell’headquarter di Facebook, dove alcuni dipendenti (di fatto diventati negli anni a loro volta veri e propri influencer negli ambiti professionali in cui operano) hanno manifestato contro la decisione dell’azienda di Menlo Park di non bloccare i messaggi dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump sulle mobilitazioni per la morte di George Floyd, uomo afroamericano assassinato durante un arresto il 25 maggio 2020 da un agente di polizia a Minneapolis, nel Minnesota, dopo la segnalazione di un commesso di un negozio che sospettava Floyd di aver pagato con banconote contraffatte. Metterci la faccia significa anche metterci la propria firma: così per la prima volta le persone di Facebook al lavoro da casa per via dell’emergenza da covid-19 hanno impostato il classico messaggio email “out of office” con una dichiarazione di protesta. “La decisione di Facebook di non agire su post che incitano alla violenza non riesce a mantenere la nostra comunità al sicuro”, ha dichiarato in un tweet Trevor Phillippi, designer dell’interfaccia di Facebook Messenger. “Mark ha torto e mi impegnerò nel modo più rumoroso possibile per fargli cambiare idea”, ha tuonato Ryan Freitas, manager che guida il News Feed. Il colosso di casa Zuckerberg all’inizio si è difeso sostenendo di non aver violato le proprie politiche, salvo poi fare un parziale dietrofront: “Riconosciamo il dolore che molte delle nostre persone stanno provando in questo momento, in particolare la nostra comunità nera”, ha scritto Mark Zuckerberg, annunciando una donazione di dieci milioni di dollari a gruppi impegnati per la giustizia razziale. La risposta automatica via email è diventata l’occasione per rappresentare le proprie istanze critiche anche nei confronti dell’azienda.

Content creator e influencer: così il digitale spinge a essere “creativi per forza”

Lo smartphone come la spada estratta dalla doccia

Questi due esempi, tra i tanti che hanno imperversato negli ultimi due anni, raccontano come oggi la mitologica spada estratta dalla roccia si sia trasformata in uno smartphone di ultima generazione costantemente connesso, che permette di essere in contatto in tempo reale non solo con amici, parenti, colleghi di lavoro o clienti, ma anche con una community allargata che ha una duplice faccia. Perché quegli stessi utenti fruitori di contenuti ne diventano a loro volta potenziali erogatori. Un Giano bifronte contemporaneo, inserito in una fase storica fragile e accelerata, figlia dell’iperconnessione senza soluzione di continuità, che può arrivare a generare effetti devastanti.

Infatti, siamo nel tempo della prevedibile imprevedibilità: l’Economist[3] se la cava con un gioco di parole nel tracciare gli scenari di questo decennio segnato da una forte accelerazione sulla digitalizzazione, da un’incertezza endemica e pervasiva e da un’indispensabile ridefinizione delle regole del gioco per mercati, aziende, lavoratori, professionisti, consumatori.

Le persone desiderano stabilità. Anche coloro che hanno compreso che non avrebbero mai più riavuto indietro le loro vecchie vite speravano in una nuova normalità. Ora è tempo di affrontare la realtà. Anche perché non si tratta di un’interruzione temporanea, determinata dallo stato di pandemia. È l’inizio di un modo di vivere completamente diverso: la maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana o, al limite, dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più come prima, come ha scritto Gordon Lichfield, direttore del mit Technology Review,[4] a pochi giorni dall’inizio della pandemia globale.

Conclusioni

Uno, nessuno, centomila creator in questo mondo in trasformazione. Una comunità nella comunità, una pletora di creatori di contenuti che diventano influenti anche perché fuori dal contesto. Con quei quindici minuti di notorietà che tendono a dilatarsi nel tempo a suon di post, tweet, storie, reel. Nel 2019 ha fatto il giro del mondo la campagna dell’ente del turismo neozelandese tutta incentrata sull’empatia. “Quando sei uno dei primi Paesi al mondo a vedere il sole ogni mattina, hai il tempo per dare un caloroso benvenuto a tutti. Da noi a te, benvenuto mondo.” Questo il messaggio legato alla campagna, accompagnato dall’hashtag #GoodMorningWorldnz.[5] Un progetto semplice, geniale, caldo, dirompente. Il lancio è avvenuto con un lungometraggio: giovani e anziani del villaggio ripresi all’alba in cima alla loro montagna sacra Hikurangi, ottanta chilometri a nord di Gisborne, uno dei primi posti al mondo a vedere l’alba. La campagna è navigabile su Newzealand.com e su Instagram. Ed è la dimostrazione plastica della pervasività dei social, oltre ogni ragionevole dubbio.

Note

  1.  “The new normal is already here. Get used to it”, The Economist, 18 dicembre 2021.
  2.  Samantha Delouya,“TikTok’s Gen Z creators discuss why they signed the ‘People Over Prime’ pledge refusing to work with Amazon until it meets labor union demands”, BusinessInsider.com, 18 agosto 2022.
  3.  “The new normal is already here. Get used to it.” cit.
  4.  Gordon Lichfield, “We’re not going back to normal”, mit Technology Review, 17 marzo 2020.
  5.  https://www.instagram.com/goodmorningworldnz/.

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