La guerra commerciale sui dazi tra Stati Uniti e Cina, iniziata più di 18 mesi fa nel periodo in cui il deficit commerciale americano aveva spinto la Cina a sfidare la supremazia tecnologica degli Stati Uniti, e seguita da 13 round negoziali, sembra aver registrato una prima schiarita.
Ma le nubi non sono del tutto dissolte, soprattutto sulla questione Huawei, e il conflitto sempre latente tra le due potenze potrebbe avere ripercussioni sulla crescita economica globale, sia in termini di rallentamento degli investimenti che di calo dell’export, minacciando paesi manifatturieri come Germania e Italia, entrati in una fase di stagnazione.
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Congelati gli aumenti tariffari di ottobre
La trattativa, giunta nella “fase uno” di un accordo commerciale, vede congelati gli aumenti tariffari dal 25% al 30% su 250 miliardi di dollari di beni cinesi importati negli USA e che sarebbero scattati nel mese di ottobre.
I mercati hanno accolto con entusiasmo la notizia pur archiviando la seduta sotto i massimi trattandosi di un accordo ancora parziale. Il vicepresidente cinese Liu He, a capo della squadra di negoziatori cinesi che è andata a trattare a Washington, ha invece definito l’incontro come “ricco di sostanziali progressi raggiunti in diversi ambiti”.
I dettagli dell’accordo, che saranno definiti nelle prossime settimane, non sono ancora noti ma comprenderanno l’acquisto di prodotti agricoli statunitensi per 40-50 miliardi di dollari che serviranno a Trump per recuperare consensi nell’area rurale del paese, l’avvio della liberalizzazione dei servizi finanziari con una road map per eliminare i limiti di proprietà da parte degli operatori stranieri, ivi inclusa l’attuazione di linee guida per evitare la manipolazione dei cambi, nonché i progressi sul contenzioso relativo alle proprietà intellettuali.
In aumento i dazi sull’elettronica cinese?
Sebbene non vi sia ancora l’ufficialità, sarà sospesa anche l’ultima tranche di export cinese non ancora tassata – circa 160 miliardi di dollari – e che riguarda pc, telefoni, tablet e videogiochi che colpirebbe in maniera indiretta Apple e altre aziende hi-tech statunitensi che producono, attraverso le catene globali del valore, in Cina.
Recentemente, il Dipartimento del Commercio statunitense ha inserito nella black list 28 entità cinesi, inclusi gli uffici pubblici per la sicurezza e i produttori di tecnologie per la sorveglianza Hikvision, SenseTime, iFlytek, Megvii Technology e Dahua Technology, accusati di violazione dei diritti umani contro le minoranze Uiguri.
L’amministrazione Trump si è riservata la possibilità di aumentare in futuro – molto probabilmente dopo le festività natalizie – i dazi sull’elettronica di consumo cinese, lasciando invece sospesa la questione legata al pacchetto di servizi targati Google ed offerti con il sistema operativo Android.
Il nodo Huawei
Il nodo Huawei, invece, resta fuori dalla “fase uno” e sarà oggetto di un processo separato. Nell’incontro non sono stati affrontati diversi temi, tra i quali quello riguardante gli aiuti del governo cinese alle aziende di stato per creare competitor globali nella robotica, nelle auto elettriche e, più in generale, in altri settori ad alta tecnologia.
Il cuore del problema è riassumibile nell’ascesa cinese nel settore hi-tech che, passo dopo passo, sta colmando il divario con gli Stati Uniti.
Il Council for Foreign Relations in un recente paper ha evidenziato come Pechino al momento non sia ancora in grado di pareggiare la capacità tecnica degli USA, ma nonostante ciò diventerà a breve una delle potenze leader nelle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale, robotica, 5G, biotecnologie e stoccaggio di energia.
Le ripercussioni sulla supply chain globale
L’incertezza economica provocata dalle minacce di dazi nei confronti della Cina, ed in ultimo dell’Europa, non ha fatto altro che far deflagrare la supply chain globale. Fitbit, ad esempio, ha annunciato la decisione di delocalizzare la produzione di dispositivi wearable fuori dalla Cina così da evitare l’impatto dei dazi sui beni importati dal paese asiatico, già a partire da gennaio 2020. La stessa azienda, al fine di garantirsi il mantenimento del posizionamento competitivo sul mercato e tutelare i propri margini di profitto, ha deciso di ridurre il prezzo dei suoi prodotti, potenziando i servizi digitali.
L’accordo verrà firmato presumibilmente a novembre quando il Presidente Trump incontrerà il Presidente Xi Jinping, al vertice di cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC).
L’esclusione dal tavolo delle trattative della questione Huawei, considerata dagli Stati Uniti come una minaccia per la sicurezza nazionale, dimostra quanta distanza vi sia fra i due paesi su un tema ritenuto cruciale.
Le mosse di Italia e Germania
Nel frattempo, in Italia, il colosso cinese ha commissionato uno studio alla società di consulenza EY che ha valutato l’extra costo di una eventuale messa al bando per gli operatori di 4-5 miliardi di euro.
Il governo tedesco, invece, ha stilato un nuovo “catalogo di sicurezza” che non escluderà Huawei dalla fornitura delle apparecchiature per le reti mobile 5G, prevedendo un apposito test di certificazione, eseguito dall’Ufficio federale per la sicurezza delle informazioni, che dovrà attestare il rispetto degli standard vigenti.
Una strategia molto simile a quella italiana introdotta dall’estensione del perimetro del Golden Power alla stipula di contratti o accordi per l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione delle nuove reti di infrastrutture tecnologiche (ivi compreso il 5G), che di contro risulta basata su una scelta di utilizzo completamente discrezionale da parte del governo.
Il tema dei dazi ha tenuto banco anche durante la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla Casa Bianca, cui è spettato il compito di rassicurare l’alleato atlantico e spiegare nel dettaglio la normativa sul Golden Power, ed in particolare l’esercizio dei poteri speciali sulle forniture di apparecchiature ai gruppi Tlc che operano in Italia.
Proprio di questi giorni un emendamento al decreto contenente la Golden Power, ora in fase di conversione in legge, ne prevede un rafforzamento: termini più lunghi per l’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, la necessità di una informativa più ricca dalle aziende al Governo, ampliamento di alcuni poteri speciali. Il potere di veto da parte dell’esecutivo viene esteso dalle “delibere” a “l’adozione di atti o operazioni” da parte delle società che detengono gli asset strategici.
“L’Italia è molto attenta, e lo sarà, alle esigenze di sicurezza nazionale e sottolinea l’esigenza di un’effettiva parità nel commercio internazionale e della salvaguardia della proprietà intellettuale”, ha detto Mattarella puntualizzando che sono necessarie “condizioni di accesso al mercato non discriminatorie” e che “non vi sia una sottrazione indebita delle tecnologie”. Il presidente Usa Trump si è detto “soddisfatto” di quanto fatto dall’Italia in questo ambito.
Infine, la nuova politica sulla quotazione dei certificati di deposito cinesi sul mercato interno, potrebbe incentivare aziende hi-tech della Cina a puntare a quotazioni primarie o secondarie sulle borse domestiche, riducendo così l’esposizione a potenziali rivali geopolitici.
Sul fronte digitale la strada si prospetta ancora lunga.