Negli ultimi anni, molte aziende sono arrivate a riconoscere che il loro successo futuro dipenderà dall’introduzione dell’intelligenza artificiale (AI) nel proprio business.
Le aspettative sono alte e tante organizzazioni impiegano ormai l’AI come nuovo fattore di crescita industriale e leva per la competitività e per conseguire benefici in termini di maggiore affidabilità/robustezza e di maggiore qualità e sicurezza, che di fatto si traducono poi in minori costi operativi e in maggiori ricavi.
Intelligenza Artificiale, dove va il quadro giuridico internazionale e i passi necessari
Intelligenza artificiale come nuovo fattore di crescita industriale e leva per la competitività
Anche l’ultima indagine dal titolo “The State of AI in 2020” condotta dal McKinsey Global Institute – che ha coinvolto oltre 2.300 partecipanti provenienti da vari settori e Paesi di tutto il mondo – sottolinea come oggigiorno le aziende utilizzino le tecnologie intelligenti principalmente come strumento per aumentare fatturati e profitti. A tal proposito, il 22% degli intervistati ha dichiarato che almeno il 5% del proprio EBIT (Earning before interest and taxes) conseguito nel 2019 può essere attribuito all’introduzione dell’AI nella propria attività. Inoltre, più della metà dei partecipanti alla survey ha affermato di essere in grado di ridurre i costi in varie aree, in particolare nell’ottimizzazione della gestione dei talenti, nell’automazione dei contact center e nell’automazione del magazzino. E tutto questo grazie alla tecnologia AI che aiuta, tra l’altro, le imprese ad affrancare e elevare la qualità del lavoro umano, liberando i lavoratori da compiti ripetitivi, onerosi e pericolosi, ad acquisire nuovi clienti, oltre a limitare i rischi e a migliorare l’efficienza in generale.
L’intelligenza artificiale, tuttavia, non serve solo per ottimizzare l’apporto del lavoro umano, ma anche per amplificare l’intelligenza umana, fornendo conoscenze contestuali provenienti da dati cui la mente da sola non potrebbe accedere e/o elaborare.
I dati: la materia prima di tutte le tecnologie AI
A dire il vero, il successo dell’intelligenza artificiale dipende proprio dai dati e nello specifico dalla loro usabilità. Contrariamente, in mancanza di dati utili e strutturati, per usare una metafora, sarebbe come avere a disposizione un’automobile senza benzina.
Sono, dunque, proprio i dati la linfa vitale, la materia prima di tutte le tecnologie AI. Però, sebbene molti di questi siano spesso già a disposizione delle aziende, le imprese, non di rado, faticano ad aggregarli e utilizzarli in modo efficace, così da poter generare valore.
Ancora oggi, in molte realtà, il passaggio dai dati grezzi alle informazioni è vincolata a operazioni poco standardizzate e ridondanti e alcune ricerche denotano un forte ritardo delle aziende nell’adattarsi alle esigenze informative attuali, sia nell’organizzazione che nelle tecnologie utilizzate.
Le infrastrutture IT aziendali sono pronte per l’adozione dell’AI?
Un recente sondaggio condotto da Forrester Consulting per conto di Redis Labs, che ha coinvolto 106 manager dell’Information Technology e decisori pubblici in Nord America responsabili di Machine Learning e AI, ha fotografato la situazione.
Secondo la rilevazione, oltre il 40% degli intervistati ha affermato che le infrastrutture IT adottate non soddisfano i requisiti per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale. Inoltre, il sondaggio riporta come il 41% dei rispondenti ritenga che i propri database non possano soddisfare i requisiti di sicurezza e conformità dei dati necessari.
Data strategy, perché è importante?
La principale sfida che le organizzazioni industriali, e non solo, devono affrontare oggi non è, infatti, la mancanza di dati bensì la capacità di rendere tali dati utilizzabili e in grado di abilitare le soluzioni di intelligenza artificiale a trarre valore dalle informazioni.
I dati, dunque, possono essere definiti come veri e propri assets solo se sono strutturati secondo i principi FAIR (Findable-Accesible-Interoperable-Reusable) suggeriti dalla Commissione europea. In caso opposto, difficilmente possono costituire un’effettiva risorsa da impiegare in attività analitiche efficaci in grado di favorire lo sviluppo del business e di contribuire al conseguimento del vantaggio competitivo.
Il primo step da compiere è quello di discriminare le informazioni utili da quelle che non lo sono, facendo quasi una sorta d’inventario dei dati e poi organizzarli secondo l’uso che se ne vuole fare al fine di conseguire l’obiettivo aziendale.
Fondamentalmente, nessun progetto di intelligenza artificiale può avere successo se non si conoscono bene i dati a disposizione e se non è supportato dalla definizione di una data strategy a livello aziendale, ossia di un chiaro processo in grado di acquisire, archiviare, gestire, condividere e utilizzare nel miglior modo possibile la mole di dati a disposizione.
Definire, dunque, una precisa strategia in tal senso rappresenta la chiave per usare bene l’AI e soprattutto per garantirne la sua scalabilità, altrimenti diventa impossibile fruire in modo profittevole di questa nuova tecnologia dirompente.
I cinque passi per impostare una strategia dei dati efficace
Sebbene ciascuna azienda abbia caratteristiche peculiari ed esigenze differenti, sono cinque i passi da seguire per impostare una strategia dei dati efficace:
- l’identificazione dei dati, per capirne il vero significato, indipendentemente da struttura, origine e posizione;
- il provisioning, vale a dire pacchettizzare i dati e renderli disponibili rispettando regole e linee guida sugli accessi;
- l’archiviazione che prevede la realizzazione di un’infrastruttura in grado di garantire l’accesso e l’elaborazione all’interno di tutta l’azienda;
- la fase di integrazione permette di spostare e combinare i dati memorizzati in ambienti diversi, fornendo ai vari team una vista unificata del dato;
- infine, c’è la governance per definire e comunicare policy, insieme ai meccanismi necessari per assicurarne un utilizzo efficace.
L’importanza di team multidisciplinari e personale qualificato
Non basta, però, mettere a punto solo una corretta data strategy; è fondamentale anche porre continuamente l’accento sulla creazione di capacità umane adeguate e coinvolgere i giusti talenti affinché possano collaborare in sinergia e unire le loro competenze per risultati ancora più profittevoli. È necessario, dunque, affidarsi a team multidisciplinari, che siano ovviamente dotati di varie figure specializzate come data scientist, ingegneri di Machine Learning, esperti di data visualization eccetera e funzioni aziendali legate alla produzione, al marketing, alle vendite, in grado, da un lato, di ipotizzare le opportunità di business, i casi d’uso, formulare i problemi e di validare le soluzioni; e, dall’altro, capaci di studiare i dati mediante specifici algoritmi e modelli di AI. Ciò richiederà investimenti in programmi di formazione aziendale e riqualificazione del personale orientati al data management e all’intelligenza artificiale.
Conclusioni
Solo, dunque, attraverso una corretta data strategy e investimenti in skill avanzate (data science, data analyst, IT Engineer eccetera) è possibile trarre preziose informazioni dai dati a disposizione, valorizzare pienamente l’immenso patrimonio informativo e abilitare il potenziale dei modelli di intelligenza artificiale con il fine di creare nuovi modelli di business e generare vantaggio competitivo sul mercato.
È ora necessario spianare la strada alle iniziative che possano aiutare le imprese a ottimizzare la gestione del patrimonio di dati a disposizione, dotarsi di figure di responsabilità, modelli organizzativi e infrastrutture efficaci. Incentivare una cultura aziendale legata alla conoscenza e alla corretta gestione dei dati, in modo tale che le aziende possano avviare una precisa strategia allineata alle opportunità di business e in grado di sfruttare le potenzialità dell’AI. Aiutare, dunque, il sistema produttivo a cogliere le opportunità legate all’innovazione, che è un driver fondamentale di competitività, e incrementare l’investimento nella formazione del capitale umano impiegato all’interno delle organizzazioni. D’altro canto, il sistema universitario dovrebbe mettere in atto un piano di incentivi così da aumentare il numero di iscritti alle lauree STEM (Science, technology, engineering and mathematics) e colmare il digital skill gap.