Di fronte alla dilagante diffusione della disinformazione “No Vax” legata al flusso di contenuti fuori controllo che incrementano la sfiducia delle persone alla ricerca – sebbene in stato di confusione – con sempre maggiore difficoltà, di fonti credibili e autorevoli da consultare, per combattere le fake news sui vaccini, le autorità politiche hanno deciso di passare all’azione, reclutando un “esercito di influencer”.
In particolare, secondo quanto riportato dal The New York Times, mentre la Casa Bianca sta pianificando una strategia comunicativa basata su un’inedita collaborazione con i personaggi più noti dei social, come Ellie Zeiler, diciassettenne con oltre 10 milioni di follower su “TikTok, (esperta di moda e lifestyle), nel frattempo in alcuni Stati le autorità politiche, nel seguire il medesimo approccio operativo, sono arrivate al punto di remunerare gli influencer locali fino a 1.000 dollari al mese per raggiungere il medesimo scopo: convincere gli “indecisi” superando la diffidenza massiva sugli effetti benefici della campagna di vaccinazione nella speranza di contenere la pandemia tuttora in una fase critica di crescita dei contagi, che va di pari passo al rallentamento del tasso di vaccinazione rispetto ai nuovi focolai registrati.
Le fake news sul vaccino diventano un business internazionale: i casi
Gli influencer per convincere i giovanissimi a vaccinarsi
Prendendo probabilmente spunto dalla moda del “selfie” “fai da te” che immortala, come trend da condividere via social, il momento personale della inoculazione, la politica cerca di correre ai ripari rivolgendosi alla community degli influencer come catalizzatori autentici di fiducia da proporre alle persone, di fronte alla crescente preoccupazione sulla diffusione della variante Delta, ulteriormente aggravata dalla corsa contro il tempo nella disponibilità dei vaccini ormai prossimi a scadere, che potrebbe vanificare un ingente mole di risorse destinate all’acquisto dei relativi lotti a causa del mancato utilizzo.
L’intento è quello di stimolare soprattutto la vaccinazione del target giovanile che, negli USA, registra una percentuale di inoculazione tra i più bassi: secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention meno della metà di giovani di età compresa tra 18 e 39 anni sono vaccinati, rispetto a più di due terzi della fascia anagrafica degli over 50 anni, mentre circa il 58% di quelli di età compresa tra 12 e 17 anni non ha ancora ricevuto alcuna iniezione.
Dopo una serie di tentativi di “moral suasion” provenienti da parte dell’establishment istituzionale rivelatisi del tutto vani e inefficaci, in una negativa spirale di progressiva perdita di credibilità e autorevolezza dei rappresentanti preposti alla guida di organi decisionale – da cui dovrebbero derivare le soluzioni dirette ed efficaci ai problemi esistenti – le autorità politiche hanno deciso di entrare (in)direttamente in azione nel “campo di gioco” in cui sembra proliferare, come principale problema, la proliferazione incontrollate di informazioni false e fuorvianti sui vaccini.
Dopo lo scontro con Facebook ritenuta dal Presidente Biden colpevole di determinare la morte di molte persone come conseguenza della dilagante circolazione di fake news, la Casa Bianca ha deciso di arruolare un vero e proprio esercito di oltre 50 influencer di Twitch, YouTuber per promuovere, all’insegna di hashtag e video in diretta streaming, la campagna vaccinale.
Influencer e vaccini: serviranno?
Una strategia del genere quali ulteriori effetti potrebbe determinare rispetto alle azioni, ritenute insoddisfacenti, già direttamente intraprese dalle piattaforme dei social network nel contrasto alle fake news?
Non si rischia un ulteriore amplificazione divisiva da “polarizzazione” ideologica che potrebbe in un certo senso incrementare gli effetti indesiderati da “Infodemia”, mandando definitivamente in “tilt” il sistema di rilevazione dei contenuti falsi attivato dalle “Big Tech” per combattere la disinformazione online?
Secondo quali requisiti dovrebbero essere scelti gli influencer preposti a tale strategia comunicativa?
Sarebbe considerato prioritario dare rilevanza al dato oggettivo del numero di followers, secondo un parametro di valutazione esclusivamente quantitativo, oppure verificare la concreta capacità, da parte dei “divulgatori” virtuali, di comunicare abilmente contenuti che presuppongono un background sanitario nella conoscenza di implicazioni scientifiche e fonti mediche?
Una guida alla comunicazione del vaccino contro il Covid-19 prodotta dall’Università della Florida, evidenzia la complessità dei problemi riscontrati, sottolineando che i fattori che portano le persone a vaccinarsi sono influenzati da un numero talmente significativo e variegato di sfumature della percezione individuale di scelte soggettive da risultare difficilmente classificabili per obiettivi del genere, al punto che solo “ in un mondo perfetto e senza limiti di risorse, avremmo l’opportunità di creare campagne altamente specifiche per ogni comunità e identità nel mondo. Il vaccino sarebbe contemporaneamente a disposizione di tutti e i nostri medici personali lo somministrerebbero e ci assicureranno della sua efficacia. Quel mondo non esiste”.
Prendendo atto di tali criticità, la guida formalizza una serie di principi comunicativi da utilizzare per la diffusione di messaggi in grado di stimolare, con modalità di interlocuzione trasparenza e dialogica, le “emozioni giuste” e “costruttive” con l’intento di convincere le persone a vaccinarsi, ben oltre la finalità di suscitare paura e vergogna che spesso tende a consolidare le proprie posizioni di diffidenza.
Il rischio di un effetto boomerang
Se, da un lato, gli influencer potrebbero aiutare a promuovere messaggi positivi – auspicabilmente accurati e performanti – sulla campagna di vaccinazione rivolta ad un vasto pubblico targettizzato in specifici profili di destinatari maggiormente recettivi ad ascoltare i consigli dei propri “idoli” virtuali, al contempo, però, dall’altro lato, il progressivo incremento delle interazioni sui relativi contenuti condivisi online potrebbe incentivare il rischio di una maggiore contrapposizione dialettica di tesi ingannevoli e opinabili favorite dalla dispersione di commenti personali che in qualche modo espongono a una maggiore disinformazione, come “effetto boomerang” di possibili controreazioni, attirando anche flussi di contenuti “No Vax”.
Le celebrità della rete sono veramente “messaggeri” attendibili e adeguati nella diffusione di informazioni sul Covid-19?
Chi risponde in caso di conseguenze negative?
La scelta di affidare alle “stelle” del web il compito di “convincere” le persone a sottoporsi alla vaccinazione secondo la logica del marketing virale, sembra indirettamente dimostrare il fallimento della politica, ormai ridotta a una valenza inerte di inconsistente intermediazione fuori dai giochi.
Nel rinunciare a esercitare il suo compito decisionale in nome del primato della legge, la politica si limita a delegare funzioni, per poi magari scaricare le relative responsabilità, in una prospettiva estemporanea di contingente frenesia che snatura l’essenza stessa dei poteri istituzionali senza la chiara definizione di una strategia in grado di fissare obiettivi da realizzare nel medio e lungo termine.