La situazione di crisi sanitaria mondiale che stiamo attraversando ci ha spinti a dover contemperare da una parte il profitto privato di chi ha concorso alla ricerca per lo sviluppo e la produzione dei vaccini e, dall’altra, l’interesse generale ad averne una disponibilità piena e tempestiva.
In questo bilanciamento, che peso ha il brevetto di un vaccino?
Sospensione dei brevetti sui vaccini anti Covid, no a scorciatoie: i nodi tecnici e giuridici
Permettere di brevettare un vaccino come se fosse una qualsiasi creazione innovativa, che rappresenta evidentemente la soluzione indispensabile di fronte a una pandemia mondiale, è una scelta molto chiara della comunità internazionale. Significa ammettere che il profitto egemone prevale sulla salute della comunità, ossia un’altra vittoria del cosiddetto mercatismo.
Poi, ulteriormente, ci sono le diffuse considerazioni dei soliti pasdaran del capitalismo moderno, in ordine al fatto che, senza la possibilità di poter sfruttare economicamente un’invenzione, gli investimenti privati nella ricerca potrebbero diminuire sensibilmente, perché, ed è giusto, il privato insegue il profitto, prima di tutto.
Beni pubblici, beni privati e beni comuni
Beninteso, non si vuol screditare il diritto di brevettare le invenzioni, ma solo riflettere sull’opportunità di inserire i vaccini in un paradigma normativo identico a quello in cui ricadrebbe un nuovo software o un’innovativa aspirapolvere. Con questo si intende dire che nella bilancia dei valori, il problema salute è equiparato a ogni altro problema della quotidianità. Da un punto di vista della normativa italiana, c’è da dire, è consentita l’espropriazione di brevetti per pubblica utilità (art. 141-143 del Codice della proprietà industriale), quindi un barlume di distinzione rispetto alla funzione sociale di alcuni beni c’è ma, forse, dentro al binomio pubblico-privato, questa possibilità appare sempre come una forzatura.
Infatti, tutti i nostri ragionamenti nascono da un presupposto per cui la proprietà è sempre stata identificata secondo un dualismo, quello che poi emerge anche dall’art. 42 della Costituzione, per il quale i beni sono pubblici o privati, e appartengono allo Stato, a enti o privati.
Cosa accadrebbe se, finalmente, si uscisse da questa duplicità, per inserire giuridicamente un nuovo tipo ti beni, i beni comuni? Ossia quei beni che sono strettamente connessi all’esercizio dei diritti, quei beni che per la loro funzione, non possono che appartenere alla comunità tutta?
Il progetto (dimenticato) di Stefano Rodotà
Se ci fosse nella nostra coscienza e nel nostro ordinamento (sic!) questa tripartizione, non dovremmo necessariamente contrapporre l’interesse pubblico al libero mercato, con buona pace di Keynes. Non si renderebbe necessario questo braccio di ferro costante fra i soggetti del mercato, o ci sarebbe ma senza che in gioco possano esserci i diritti fondamentali della comunità.
Ragionamenti sui beni comuni non sono certo nuovi nel nostro Paese, già nel 2007 fu istituita una commissione apposita in Parlamento, che porta il nome di una delle menti più brillanti del diritto, Stefano Rodotà il quale si era dato l’ambizioso obiettivo di un regime giuridico organico dei beni comuni, progetto poi di fatto abbandonato. Nonostante questo progetto rimase sospeso, la Cassazione nella sentenza n. 3665 del 2011 ne ha comunque speso il significato e il principio.
Porre l’attenzione sui diritti comuni non significa alimentare il pubblico ai danni del privato, ma piuttosto pensare ad un’alternativa rispetto a questo classico dualismo, un’alternativa in termini sociali e istituzionali. Significa sancire che l’individualismo debba, in certi ambiti, cedere il passo alla solidarietà. Significa pensare a una classe di beni e di diritti che, per loro natura, non possono sottostare alle leggi del mercato (tanto meno di quello finanziario). Questo implica evidentemente un cambio di rotta, sia per il nostro Paese, forte di trent’anni di privatizzazioni, sia per l’Europa che ha smesso di essere Comunità per essere Unione.
La sospensione dei brevetti sui vaccini, a cui hanno strizzato l’occhio da Biden a Draghi, non risolverebbe certo il problema della pandemia tout-court, perché ovviamente poi esisterebbero i problemi della produzione industriale, del know-how necessario e della filiera logistica. È evidente che il privato dispone di mezzi e risorse del tutto superiori a quelle pubbliche, questo proprio perché il pubblico ha smesso di occuparsene in maniera diretta. Piuttosto, si limita a sovvenzionare le ricerche (basti pensare che Pfizer-BioNtech, AstraZeneca, J&J hanno ricevuto circa 100 miliardi di dollari di denaro pubblico) per poi, comunque, pagarne il prezzo di acquisto.
Conclusioni
Il tema è quanto mai annoso, ma oggi più di sempre parrebbe aver inondato le discussioni nazionali e internazionali. In una situazione di difficoltà globale, dove il male è evidentemente comune, si è percepita una grande difficoltà nel dare risposte comuni. La pandemia ci ha messo di fronte a una realtà molto evidente, l’interesse privato e quello generale possono, in alcuni ambiti camminare insieme ma, in altri, diventano i due pesi di una bilancia, che si contendono l’ago. Ma chi è la bilancia? Evidentemente, non può che essere lo Stato o, a oggi, un ente sovranazionale. Nell’esercizio del suo imperium, lo Stato è chiamato costantemente a contemperare interessi contrapposti, magari tutti costituzionalmente garantiti, ma che in un determinato ambito risultano escludenti e si deve scegliere se far prevalere l’uno o l’altro. Basti pensare ai trattamenti sanitari obbligatori o, più banalmente, l’espropriazione della proprietà privata per interesse pubblico.
La pandemia ci ha insegnato tante cose, altre le ha solo evidenziate ulteriormente. L’Europa deve dotarsi di uno statuto giuridico dei Commons, deve tornare a essere una Comunità, con una presenza pubblica che tuteli i diritti fondamentali e tutti quei beni che sono strettamente collegati al loro esercizio. Che esista e si tuteli il mercato come luogo di relazioni umane, ma che si inizi a pensare che non tutto può essere oggetto di valutazione economica, che non tutto può essere obiettivo di speculazione. La salute pubblica, globale in questo caso, non può essere mercificata, non può risentire della disparità economica di persone e paesi, perché è un bene della comunità e, come tale, nei confronti del mercato non può e non deve essere oggetto, ma presupposto.