Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia per mezzo del Grande Ictus Mnemonico. “Per salvare uomini e umanidi dalla noia totale, dalla Sindrome della Noia Assoluta”, perché le memorie connesse fanno conoscere, fin dalla nascita, la vita futura di ciascuno, in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, con la base di copertura su un ricostruito antico bus rosso a due piani, è incaricata di rintracciare le pochissime memorie connesse che riescono ancora a funzionare. Non è ancora chiaro se poi devono distruggerle o, al contrario, utilizzarle per ricostruire tutte quelle che sono state annientate, se devono cioè completare il lavoro del dottor Mabiis o, al contrario, riportare la galassia a “come era prima”.
Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente, seconda in comando della Memory Squad 11, situazionava: “Colleghi la concentrazione di pensieri è straordinariamente alta, troppo alta per essere frutto di una sola mente umana, là, oltre questa piccola baia, ci sono memorie connesse, non di ultimissima generazione… direi… ma sono connesse!” Gli agenti sobbalzavano. Il bus rosso s’affannava nella discesa. Aggrimpiava le curve provocanti. Lo sterrato ansimante. Il villaggio sottostante. Quiete centenaria. Quiete assolta. Assolata. Assente. Assurda.
Benthan Morsi chiuse gli occhi e s’immerse. “Tre centimetri sopra ed io esisto, tre centimetri sotto e sono morta, scomparsa dalla faccia del pianeta, se arriva qualcuno e guarda io sono altrove, anche se arriva il mio sesto figlio, Crasel, quel ‘piccolo super curioso’ come lo chiama il suo terzo papà Astern, io non esisto, ma il piccolo super curioso magari infila una mano nel latte e mi scopre, immobile, pensa che io sia morta, magari si spaventa, e chiama Xini, il suo quinto papà, grande e grosso, o il primo, che lui chiama Tale, e lui gli risponde Quale, e ogni volta rido, e invece arriva Fansi, la sua prima mamma, è sempre la più pronta, quando eravamo giù in spiaggia, qui non c’è mai nessuno, mai nessuno in questo paesetto di merda, insistono perché fa bene stare nel silenzio, ma quale silenzio con i miei sedici fratelli e ventisei sorelle, di quale silenzio stiamo parlando, e in spiaggia i quindici nonni e nove bisnonni e i tre trisnonni, e i due bisavoli, non han visto l’onda lunga, sembrava uno tsunami, ma sulla costa ovest succede, onda anomala, come la chiamano, vengono anche i surfisti, uno sport antico, lo si fa ancora in costume dell’epoca, tanto fra tre giorni sono di nuovo in città, oddio non è che lì sia più tranquillo, il problema sono i miei quattro compagni e le sei compagne di vita, dopo secoli siamo tornati al clan, è l’unico che funziona, protegge, dà lavoro, dà felicità, insomma quanto basta, non proprio tutta, la morale ce la facciamo noi, come dicevo alla rete di meditazione l’altro giorno, ‘pensate che c’è stato un momento, circa tre secoli fa, che la famiglia ideale, quella sostenibile, la chiamavano così, che la famiglia sostenibile, dicevo, cosa dicevo?, a sì dicevo, dicevo che era pensata di massimo tre persone, ma l’idea è durata poco’, sempre questa voglia di fissare il futuro, la scienza statistica ci ha rovinato, non puoi predire il futuro, tutti a urlare sì che lo puoi predire, è la noia assoluta predirlo, è come avere la morte in vita, ma questa, la morte, la puoi predire, con le memorie connesse, tutti a dire ‘grandi le memorie connesse, un imbecille il dottor Mabibis che le ha volute staccare’, appunto, urlavo io, la morte, quella sì che la puoi prevedere, ci sarà sempre, ecco che la puoi prevedere dunque, non sbagli proprio, non c’è nessuno che ci scommette contro, me lo dice sempre Pernil, la centonovanunesima mia prima cugina, ride come una matta, e ripete che se vince la scommessa che la morte non è sicuro che arrivi, anche solo una volta, già anche solo una volta, e sottolinea solo, allora vince tutto, incassa la vita per sempre e tutti i soldi puntati da tutti gli abitanti della galassia sul fatto che la morte prima o poi comunque arriva, soldi che poi sono solo virtuali, già non esistono più, chissà com’era quando esistevano i soldi, tutti proprio tutti avranno puntato sull’ovvietà della certezza della morte certa, ho pensato, e se invece tutti avessero puntato sulla fine della morte, insomma sulla vita eterna, dio la retorica della vita eterna, che tanto è un desiderio di sempre, forse di tutti, mia cara cugina in quel caso vincono tutti e tu non vinci nulla, se non proprio la morte, appunto, e neppure un soldo, neppure virtuale, se no perché avrebbero inventato la vita eterna dopo la morte, e così avrebbero vinto tutti, perché tutti hanno visto il dopo della vita, dicono che si vede, che bisogna vedere il dopo, il dopo, sì il dopo, che insistono che bisogna credere che esiste, ma io qui sotto sto delirando, sto proprio delirando, ma se non lo faccio qui sotto, quando sono morta per tutti, quando posso farlo?, là fuori sono tutti troppo impegnati ad esserci, ad esser vivi, ad annoiarsi mortalmente, qui sotto invece è così fondamentale non esserci…”
Il bus rosso si accucciava nell’ombra. L’agente Xina Shaiira acquattava. Il respiro del mare. Là in basso. La sabbia intrigante. I cespugli complici. L’ingresso diffidente. La vetrata scostante. Il varco insinuante. Il bagno postulante. Xina Shaiira apriva la finestra. La brezza instupidita.
Il latte tremò. Le memorie connesse evaporarono. L’agente Xina Shaiira si sedette sull’asse. Attese la vista. Di Benthan che si mosse.
Di Bethan che emerse dalla vasca.
(115 – continua la serie. Episodio “chiuso”)
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