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Videogiochi, da “male assoluto” a terapia: ecco come usarli

I giochi, e di conseguenza anche i videogiochi, avrebbero capacità terapeutiche e di prevenzione per i disturbi o i disagi psichici. Esaminiamo alcuni studi e sperimentazioni per avere un quadro della situazione

Pubblicato il 01 Feb 2022

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria

L’Oms riconosce ufficialmente la dipendenza da videogiochi: quali sono i rischi

Del ruolo virtuoso dei videogiochi, dopo anni di discredito, si è cominciato a parlare nel 2014, quando uno studio pubblicato dall’America Journal of Play metteva in evidenza il rapporto proficuo tra il gaming e il potenziamento di memoria, attenzione, percezione, capacità decisionale in situazioni stressanti. Oggi, in tempi di isolamento da Covid, tornano in auge le loro capacità terapeutiche e di prevenzione per i disturbi o i disagi psichici.

Psicologia, quando i videogiochi ci aiutano a vivere meglio

Lockdown, videogiochi e salute mentale

I videogiochi, secondo il rapporto dell’America Journal of Play, “istanziano in modo naturale ed efficace molti principi che psicologi, neuroscienziati ed educatori ritengono fondamentali per l’apprendimento, ma gli effetti sono molto più ampi. In effetti, è stato dimostrato che alcuni tipi di giochi commerciali migliorano le abilità percettive e cognitive di base. Questi effetti sono tanto significativi da essere usati per scopi pratici come la formazione di chirurghi e la riabilitazione di individui con deficit percettivi o cognitivi”.

Più recentemente, uno studio della Science Foundation Ireland Research Centre for Software, che raccoglie esperti dalle Università e dagli istituti di tecnologia di tutta l’Irlanda, è andato oltre. Pubblicato nella rivista JMIR Serious Games, l’articolo “Gaming Your Mental health: A narrative review on mitigating depression and anxiety symptoms via commercial video games” individua nei videogiochi un valido strumento di cura da affiancare alle terapie tradizionali per chi soffre di ansia e depressione. Durante i vari lockdown dovuti alla pandemia, il gaming ha dimostrato di essere una soluzione fondamentale per chi ha avuto o ha un accesso limitato alle strutture fisiche per la cura di queste patologie.

D’altra parte, il rapporto del Common Sense Census, “The Role of Media During the Pandemic: Connection, Creativity, and Learning for Tweens and Teens” (basato su un sondaggio online su un campione rappresentativo a livello nazionale di 1.318 giovani (età 8-18) degli Stati Uniti realizzato dal 7 maggio al 3 giugno 2021), analizza come preadolescenti e adolescenti hanno utilizzato i media di intrattenimento durante i periodi di chiusura: per migliorare la loro salute mentale, rimanere socievoli e creativi, continuare ad apprendere, anche al di fuori della scuola. Pur essendo il rapporto focalizzato sui social media, esso ci dice anche che il 70% degli intervistati ha usato i videogiochi con altri per connettersi, per stare insieme, per combattere la solitudine, e non c’è dubbio che ciò abbia contribuito a mitigare i disturbi da ansia e depressione nei ragazzi. Dunque, i videogiochi come prevenzione e come cura.

I videogiochi come cura

Ad avvalorare e rafforzare il ruolo virtuoso dei videogiochi interviene ora un articolo di Wired, nel quale Monet Goldman, terapista matrimoniale e familiare, racconta di come, partendo dalla propria esperienza personale, si sia incamminato su un percorso che lo ha spinto fino al punto da inserire i videogiochi (alcuni, ovviamente) nella terapia da somministrare ai propri pazienti collegati, per ragioni risapute, da remoto. Secondo Goldman, i giochi on line, multiplayer e per singoli, possono essere curativi. L’ha compreso in primo luogo partendo da sé stesso, dalla sua condizione di recluso causa Covid che cercava, con lo yoga, la meditazione, di stare meglio, senza tuttavia non riuscirci. Il rimedio? I videogiochi, che lo hanno risollevato tanto da chiedersi se era il caso di estendere l’esperimento ai suoi assistiti via schermo. Ha quindi chiesto a due bambini, collegati per una seduta, quale fosse il loro gioco preferito, e ha cominciato a giocarci insieme a Brookhaven, “un gioco di ruolo ambientato in una città frenetica. Presto i bambini si sono guidati con entusiasmo l’un l’altro nello spazio di gioco, dimenticando la loro timidezza”. Oggi, Goldman offre consulenza a bambini, adolescenti e adulti, incorporando un mix di gioco e terapia della parola.

“I videogiochi hanno quel modo di catturare l’attenzione e mantenerla”, che può essere il primo passo per aiutare i pazienti a controllare i pensieri angoscianti, afferma Aimee Daramus, psicologa clinica. Nel suo lavoro con adulti affetti da ansia, depressione e schizofrenia, Daramus usa i videogiochi come ponte verso altre abilità di coping. Se qualcuno è sopraffatto da pensieri intrusivi durante una sessione, giocare a un videogioco per alcuni istanti può aiutare a ridurre l’ansia. A quel punto, spiega Daramus, una strategia che punta sulla consapevolezza diventa molto più accessibile al paziente.

Geek Therapy

Ma già da 10 anni è attiva Geek Therapy, un’organizzazione senza scopo di lucro, presieduta da Josué Cardona, che sostiene l’uso dei videogiochi in terapia. L’associazione ha allargato il proprio campo d’utilizzo dai giochi ai videogiochi. Secondo Cardona, il tipo di gioco, per intervenire quasi sempre su ansia e depressione, dipende dal cliente: da quelli che preferisce, dalla sua condizione del momento: “Ci sono alcuni giochi che sono molto aperti, mediante i quali hai l’opportunità di viaggiare ovunque e fare quello che vuoi. Alcuni pazienti sono assaliti dall’ansia quando c’è da prendere una decisione e quindi anche nel prendere parte a un gioco nel quale bisogna farlo necessariamente. L’esperienza è contenuta e in uno spazio molto sicuro, in un ambiente in cui possiamo controllare diverse variabili e affrontare queste preoccupazioni”.

Come affrontare la possibile dipendenza da videogame

Un problema affrontato è quello della possibile dipendenza, specialmente per i bambini. Al punto che di recente la Cina, ma anche la Germania e l’Australia, hanno approvato delle norme, (molto draconiane, com’è d’uopo, quelle cinesi) per limitare il tempo di gioco dei bambini. Pure l’OMS classifica la dipendenza dai video giochi come una patologia. Tuttavia, secondo uno studio dell’anno scorso, il disturbo sarebbe limitato al 3% dei giocatori a livello globale.

Parlando, tuttavia, di demonizzazione dei videogiochi, non si può non fare cenno a quella categoria particolare che comprende quelli violenti, ritenuti pericolosi per la loro presunta capacità di instaurare tentativi di emulazione, soprattutto da parte degli adolescenti. Perché presunta? Uno degli ultimi studi a riguardo, della dr.ssa Agne Suziedelyte della “City, University of London”, ha analizzato i periodi successivi all’uscita di videogiochi ritenuti violenti, come Call of Duty o Battlefield. In sostanza, sembra non ci siano prove che la violenza nella realtà aumenti, ma è plausibile, e questo non è certo un bene per la loro salute mentale, che bambini e ragazzi diventino più agitati.

Conclusioni

In conclusione, i giochi, e di conseguenza anche i videogiochi, avrebbero capacità terapeutiche e di prevenzione per i disturbi o i disagi psichici. D’altra parte, tali attività hanno lo stesso impatto, su bambini o adulti, di tutte quelle azioni che consentono alla mente di astrarsi dai pensieri, dalle preoccupazioni. Chi, come me, ama il calcio, o meglio il pallone, considerato perciò come gioco e non come sport agonistico e magari professionistico, sa bene cosa significa trovarsi con quell’oggetto sferico tra i piedi. Quanto benessere e senso di libertà possa scaturire da un semplice scambio anche tra estranei, quasi che tutta la pesantezza della nostra mente si trasferisse magicamente alle estremità degli arti inferiori e da lì al pallone. Come accadeva, in tempi ormai lontani, con flipper e calcio balilla, dove il movimento era addirittura limitato al massimo. Transitando da questi ai giochi mediati dal video, l’effetto benefico, evidentemente, non subisce flessioni.

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