I videogiochi hanno a volte una connotazione negativa, uno stigma sociale che declassa gli appassionati di esperienze videoludiche a persone affette da dipendenza. Tuttavia oggi siamo immersi nel processo inevitabile della convergenza digitale di diversi mondi virtuali, al cui interno troviamo non solo i videogame, ma anche il metaverso e la realtà aumentata e molto altro ancora.
Questo inarrestabile flusso di tecnologie, rivolte per lo più all’ambito dell’intrattenimento, si scontra con il tradizionalismo conservatore, pronto a etichettare come violenta e ostile qualunque novità.
Facendo un bilancio, però, i videogiochi rappresentano l’evoluzione dei giochi tradizionali, a cui sono state semplicemente applicate tecnologie all’avanguardia. Il videogioco non è sinonimo di gaming disorder e dipendenza, anche se può esserci un utilizzo disfunzionale dei videogame. Ma nessuno studio autorevole, al momento, conferma che siano i videogiochi a provocare disagio psichico.
Videogiochi e stigma sociale: gli studi smentiscono i pregiudizi
Con i videogame online si introduce anche un nuovo punto di vista: la condivisione dell’esperienza videoludica tra giocatori. Un modo di vivere delle esperienze in comunione senza essere fisicamente vicini.
Ma non tutti interpretano positivamente il fenomeno. E sul banco degli imputati si trova sempre lo stesso titolo, Fortnite. Giudicato come il videogioco più diffuso nel mondo, programmato con l’obiettivo di dare dipendenza attraverso “sofisticati meccanismi psicologici”, è additato come la “causa di ogni male nei giovani”. Ma la domanda da porsi è se siamo sicuri che Fortnite sia così.
Sulla bocca di tutti affiora la parola “dipendenza”: ieri era lo stigma di chi abusava di sostanze, oggi di chi si siede davanti al Pc. Il gaming disorder però non è determinato dal videogioco, ma dal giocatore. L’errore ricade sull’utilizzo a briglia sciolta che se ne fa, un po’ come accade con gli smartphone relegati a babysitter per i bambini.
Infatti, la percentuale di adolescenti con dipendenza da videogiochi oscilla tra lo 1,96% e il 3% di chi gioca, che rappresenta un dato veramente molto basso [1].
Dipendenza da videogiochi, male riconosciuto: ecco come e perché
Numerose ricerche hanno riportato che i ragazzi che hanno questa forma di dipendenza spesso vivono delle situazioni familiari o lavorative conflittuali che li portano a ricercare un’isola felice. Si tratta di persone che preferiscono evitare le situazioni negative o complicate e che oltretutto fanno spesso uso di sostanze d’abuso. Una realtà che viene riportata anche nel mondo del videogioco, utilizzato in modo anomalo ed eccessivo, come plausibile risultato di una strategia disadattiva di coping. Di fondo vi è la frustrazione provocata dalla scarsa realizzazione dei propri bisogni motivazionali (competenza, autonomia e socializzazione) all’interno di costellazioni familiari e sistemiche.
Fatta questa doverosa precisazione, non si vuole negare che alcune difficoltà psicologiche individuali possano accompagnarsi a un uso disfunzionale dei videogame. Eppure, ancora adesso, non è assodato in modo sicuro che siano proprio questi a causare disagi psichici.
Le ricerche scientifiche
Già negli anni ’90 si sono diffusi i primi dubbi e preconcetti che hanno permesso allo stesso tempo di scavare in profondità con ricerche scientifiche per comprenderne gli effetti sulla psiche. Oggi numerosi studi hanno dimostrato come questo medium elettronico riesca a ridurre alcuni dei sintomi di disturbi psicologici come il post-traumatico da stress [2], grazie anche alla sua forte influenza pro sociale e alla sua funzione da cassa di risonanza per un contatto con le proprie emozioni.
James McGonigal, game designer e direttore della ricerca e sviluppo del settore giochi dell’Institute for the Future di Palo Alto in California, ha dimostrato come i videogiochi riescono ad accrescere il benessere e a migliorare le relazioni, influendo sui nostri comportamenti e favorendo le capacità di crescita personale. I benefici sono riscontrati anche con l’autismo: bambini tra i 7 e i 12 anni, dopo 10 settimane in cui hanno giocato a “Secret Agent Society”, hanno riportato un miglioramento significativo della prosocialità, mai avuto prima malgrado le terapie [3].
La validità terapeutica dei videogame
Altre interessanti ricerche sono legate all’ascendente positivo dei videogiochi sull’umore, con giochi come il famosissimo Pokémon Go o videogame casual come Bejeweled 2, Bookworm Adventures e Peggle 2. L’Università della East Carolina ha dimostrato che con soli 20 minuti di gioco persone affette da disturbo depressivo maggiore hanno osservato una riduzione dei sintomi, suggerendo un impatto consistente del gaming sul tono dell’umore e presentando il videogioco come potenziale risorsa nell’ambito clinico [4].
Ad ulteriore dimostrazione della validità terapeutica è stato recentemente pubblicato un documento sul rapporto tra “Adolescenza e videogame”, presentato da AltraPsicologia [5] che permette di comprendere la cultura “corretta” intorno ai videogame. Infatti il documento è entrato nella relazione finale della Commissione Gioco del Senato italiano.
Conclusioni
I toni allarmistici che ogni tanto esplodono contro l’ambiente videoludico, specialmente con titoli a livello di Fortnite, Call of Duty o Grand Theft Auto, non trovano riscontro con i risultati scientifici. Gli studi, infatti, prendono in considerazione le problematiche connesse ad un uso improprio, ma non ne trascurano le importanti potenzialità positive.
Come per tutte le cose della vita, bisogna abbracciare una visione equilibrata, basata su evidenze comprovate e che consenta di valutare al meglio ciò che abbiamo tra le mani. Bisogna limitare e gestire gli eventuali disagi legati ad un utilizzo disfunzionale, soprattutto in ambito giovanile. Inoltre, occorre trarre il massimo giovamento possibile da uno strumento che tutti considerano un’arma a doppio taglio, ma che è semplice intrattenimento.
Bibliografia
- Bertinat, Candoni, Ciulli, Del Fante, Lazzeri, Nicolucci, Vinchesi, 2022. ↑
- Kessler. H., et al. (2018). Reducing intrusive memories of trauma using a visuospatial interference intervention with inpatients with posttraumatic stress disorder (PTSD), Journal of consulting and clinical psychology, 86(12):1076-1090, DoI: 10.1037/ccp0000340. ↑
- Beaumont R, Walker H, Weiss J, Sofronoff K. (2021). Randomized Controlled Trial of a Video Gaming-Based Social Skills Program for Children on the Autism Spectrum. J Autism Dev Disord. 51(10):3637-3650. ↑
- Alloway, T. P., & Carpenter, R. (2021). Gotta catch ‘em all: Exploring the use of Pokémon Go to
enhance cognition and affect. Psychology of Popular Media, 10(2), 178–186. ↑ - Bertinat, S., Candoni, L., Ciulli, T., Del Fante, E., Lazzeri, M., Nicolucci, V., Vinchesi, C., (2022).
Adolescenti e Gaming. Retrieved on 8.12.2022. ↑