la risposta

Videogiochi, ecco perché Calenda sbaglia – parola di chi li insegna all’università

In risposta a un tweet dell’ex ministro Carlo Calenda, un docente universitario di Teoria e Critica delle Opere Multimediali e Interattive ci spiega perché oggi, a sessanta anni dal primo esperimento, il videogioco può essere considerato uno tra i più importanti veicoli di cultura, creatività ed educazione

Pubblicato il 03 Nov 2018

Marco Accordi Rickards

Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Università degli Studi “Link Campus University”

gacha game

Gentile Carlo Calenda, oggi apprendo da un noto social network che in casa sua i giochi elettronici “non entrano”. Il motivo? Li considera “una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento”.

Senza alcuna velleità polemica, ma semplicemente in coerenza al mio ruolo di docente universitario che, da circa un decennio, si occupa di quelli che lei chiama “giochi elettronici”, mi sembra doveroso e utile al pubblico dibattito ribattere alle sue argomentazioni, esponendole con il massimo rispetto e riguardo le mie forti perplessità.

L’evoluzione del videogioco

Tanto per cominciare, il cosiddetto “videogioco”, o gioco elettronico, è a tutti gli effetti un medium che ha ormai diversi decenni, risalendo al 1958 il primo esperimento in tal senso, quel Tennis For Two del fisico statunitense William Higinbotham che, per il videogioco, ha il ruolo che per il Cinema ebbe il celebre treno dei fratelli Auguste e Louis Lumière che nel 1896 arrivava in stazione correndo pericolosamente verso lo schermo e atterrendo i necessariamente impreparati spettatori. Come il Cinema, nel tempo, è cambiato e cresciuto, evolvendosi, così ha fatto il videogioco, che da molti anni a questa parte non è più un mero passatempo che si esaurisce nell’abbattere nemici e totalizzare il punteggio più alto.

Oggi il videogioco è molto più che un semplice gioco davanti a uno schermo, ma un’autentica opera interattiva, che fa uso di tutte le forme di linguaggio e comunicazione umane, fondendole insieme grazie al quid pluris dell’interattività, che coinvolge il fruitore nell’esperienza immaginata e realizzata dagli autori.

Ciò vuol dire che il suo “gioco elettronico”, oggi, è uno strumento poliedrico e vibrante: a volte mette in scena un grande racconto corale western che omaggia Clint Eastwood e Sergio Leone (Red Dead Redemption 2, opera che per contenuti e forza narrativa ha da insegnare a parte del cinema e persino della letteratura), altre volte si ferma a narrare il vero racconto del dramma di una famiglia che perde il suo bambino, affetto da una grave forma di leucemia (That Dragon Cancer, che ha devoluto il suo incasso in beneficenza). Con tutte le doverose sfumature intermedie: esistono opere di puro svago, mentre altre, indipendenti, fanno satira politica contro Donald Trump; alcuni videogame diventano sport elettronici, altri ancora vengono invece ideati e realizzati con fini didattici o terapeutici. Il discorso sarebbe lungo e articolato, ma credo che il punto sia già evidente.

Il valore economico e culturale dei videogiochi

Vede, dottor Calenda, il punto è sempre intervenire forti di preparazione, documentazione e corretta informazione, valori che mi sembra lei abbia sempre espresso e dimostrato con i fatti, come testimonia il suo importante curriculum. Per questo spiace leggere, proprio da lei che si propone come una delle voci nuove del progressismo italiano, da lei che ha avuto il dicastero dello Sviluppo economico, un attacco così gratuito e – me lo permetta – un po’ disordinato al medium videoludico e, conseguentemente, alla sua industria.

Perché immagino che il nostro ex Ministro allo Sviluppo economico sappia fin troppo bene che l’Italia, come ben certifica AESVI, l’associazione di categoria dell’industria del videogioco italiana in Confindustria, fattura 1,5 miliardi di euro annui, posizionandosi tra i più importanti mercati europei, e che sempre più donne e uomini trovano lavoro in questo settore, cercando anche di far crescere il settore del game development, cioè degli studi e team che creano produzioni videoludiche destinate al mercato globale. Lei che, per posizione politica, storia personale ed età anagrafica, è necessariamente vicino ai settori della cultura, dell’innovazione e ai giovani, non dovrebbe scrivere che i giochi elettronici non entrano in casa sua, ma dovrebbe anzi spalancare le sue porte a uno dei più importanti e pervasivi veicoli di cultura, creatività e – perché no – educazione dei tempi contemporanei (vedi una raccolta di studi sui benefici cognitivi, psicologici, sociali dei videogame).

Istituzioni come gli atenei dove insegno (Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Link Campus University) o il VIGAMUS di Roma, il secondo museo del videogioco in Europa e primo e unico in Italia, di recente chiamato a testimoniare la sua esperienza dal Parlamento europeo, testimoniano i lunghi e sofferti passi che il medium ha compiuto sulla strada della legittimazione.

Ci aiuti almeno lei che viene dalle più prestigiose frontiere dell’innovazione. Vedrà che il videogioco saprà sorprenderla, e in esso scoprirà non solo un invito alla lettura e al gioco intelligente e consapevole, ma anche un fortissimo e poderoso motore per avviare tanti fruttuosi ragionamenti.

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