PSICOLOGIA DEL GAMING

Videogiochi: una palestra per la mente e l’anima



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I videogiochi come ambiente di crescita e scoperta di sé. La ricerca neuroscientifica dimostra il potenziale del gaming nel migliorare le funzioni cognitive, l’empatia e le competenze relazionali

Pubblicato il 30 gen 2025

Elena Del Fante

Psicologa digitale e del Gaming, comitato scientifico Video Game Therapy, Founder Play Better, Assegnista di ricerca Università Milano-Bicocca, Campionessa eSport Call Of Duty: Black Ops 3



videogaming

Sin dai suoi albori, il gioco è stato una pratica interspecie fondamentale per esplorare, apprendere e crescere. I videogiochi, nati con lo sviluppo delle nuove tecnologie, rappresentano una forma di gioco multidimensionale estremamente utile e valida per sperimentare le proprie emozioni, costruire la propria identità e coltivare nuove relazioni.
Il videogioco, in un certo senso, spalanca prospettive inedite sul benessere e sull’apprendimento, configurandosi come strumento in grado di ampliare le conoscenze e le competenze. Per questo la psicologia trova in questo settore un campo di indagine privilegiato: più che studiare i videogiochi in sé, ciò che interessa è capire come gli individui si comportano, pensano, scelgono e provano emozioni durante il gaming (da “gaming”, ovvero l’atto di videogiocare).

Approfondiamo dunque i benefici del gaming da alcuni punti di vista, come quelli cognitivi e quelli socioemotivi, presentando esempi di interventi e realtà innovative come la Video Game Therapy® e l’associazione Play Better, che utilizzano il gaming in chiave supportiva e trasformativa per il benessere umano.

Oltre i pregiudizi: il mito della violenza nei videogiochi

Quando parliamo di videogiochi, il dibattito pubblico tende spesso a focalizzarsi sui presunti rischi, come l’associazione con comportamenti violenti o aggressivi. Ne è la dimostrazione le ultime dichiarazione del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che attribuisce ai videogiochi la capacità di rendere le persone violente.

Tuttavia, la letteratura scientifica contemporanea non supporta una relazione causale diretta tra l’uso di videogiochi e l’insorgere di comportamenti violenti. Come evidenziato da Ferguson (2015) e Przybylski & Weinstein (2019), metanalisi rigorose hanno mostrato che altri fattori, come un ambiente sociale sfavorevole, traumi pregressi o difficoltà psicologiche preesistenti, sono variabili ben più determinanti nello sviluppo di comportamenti aggressivi.

Non solo, come recentemente evidenziato anche dallo studio di neuroimaging condotto da Lengersdorff et al. (2023), i videogiochi violenti non solo non sono correlati a comportamenti violenti, ma non hanno effetti negativi sull’empatia umana per il dolore, né riducono la reattività emotiva alla violenza. Questo ulteriore studio ha messo in discussione l’idea che l’esposizione a contenuti violenti nei giochi possa desensibilizzare i giocatori, dimostrando che non vi è una diminuzione nell’empatia per il dolore o un’alterazione nelle risposte emotive alle situazioni violente.

Al contrario, i videogiochi potrebbero configurarsi come uno spazio sicuro per esplorare certe dimensioni del Sé, favorendo anche una canalizzazione di eventuali impulsi aggressivi in un contesto sicuro e controllato, come quello videoludico. Inoltre, sebbene alcuni studi abbiano riscontrato un temporaneo aumento dell’attivazione fisiologica durante l’esposizione a contenuti violenti, tale effetto è ritenuto a breve termine e non traducibile in un aumento dei comportamenti aggressivi nel mondo circostante (Kowert & Quandt, 2016).  La ricerca neuroscientifica non solo smentisce questa relazione, bensì sottolinea la necessità di superare i pregiudizi e riconoscere e studiare il potenziale positivo del gaming, in quanto strumento ottimale per favorire lo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dell’individuo in molti contesti della sua vita quotidiana, dalla scuola agli ospedali (Granic, Lobel & Engels, 2014).

Le basi per una palestra per la mente con i videogiochi

I videogiochi risultano essere dunque un ambiente virtuale idoneo in cui poter sperimentare comportamenti senza conseguenze “reali”, provare emozioni in modo vicario e, più in generale, vivere modi di essere, configurandosi a tutti gli effetti una palestra coinvolgente per la mente.

L’ambiente sicuro, accattivante e protetto stimola il giocatore a sperimentare senza il rischio di conseguenze tangibili nella vita quotidiana, rendendolo un contesto ottimale per l’apprendimento. Utilizzando un approccio Learning by doing (Dewei, 1938; Hackathorn et al., 2011), i videogiochi favoriscono la plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta a nuove esperienze ed esigenze (Bavelier et al., 2012; Wu et al., 2012).

Attraverso l’esposizione e l’interazione attiva con l’artefatto videoludico, il giocatore apprende in modo pratico e immediato, stimolando abilità cognitive, emotive e socio relazionali. In questo contesto, un ruolo cruciale è rivestito dal concetto di agency che, come sottolineato da Bandura (2001), si riferisce alla capacità dell’individuo di essere agente attivo, nonché decisore e responsabile delle proprie azioni. Nei videogiochi, l’agency si manifesta nella percezione di controllo che il genitore ha sulle proprie azioni in-game, risultando così fondamentale per l’apprendimento, migliorando il senso di autoefficacia e la motivazione a perseguire durante il gioco.

In questo senso, i videogiochi riescono particolarmente bene a stimolare la motivazione intrinseca, favorendo l’instaurarsi di uno stato immersivo molto particolare, definito Flow. Il flusso, così come definito da Csikszentmihalyi (1990), si riferisce a quello stato di assorbimento soggettivo che si verifica quando siamo perfettamente coinvolti in un’attività e, più precisamente, quando siamo in “perfetto equilibrio” tra le sfide e le nostre abilità affrontarle. Questo stato psicologico non solo favorisce la motivazione e incoraggia un miglioramento continuo delle abilità, alimentando un circolo virtuoso di apprendimento e crescita personale, ma favorisce la sperimentazione di un senso di benessere totale.

Il videogiocatore può così modellare l’ambiente di gioco in base alle proprie preferenze e necessità, attraverso un approccio user-centred offerto da una vasta gamma di generi, meccaniche e titoli videoludici, con stili e dinamiche uniche che riflettono lo stile di personalità del giocatore. La scelta del genere di gioco, infatti, può riflettere aspetti psicologici individuali. Ad esempio, ricerche indicano che i giocatori con una personalità più aperta all’esperienza tendono a preferire giochi di ruolo complessi e l’esplorazione dei mondi virtuali (Timmermans et al., 2017) al contrario, chi ha una personalità più conservatrice, potrebbe preferire giochi che richiedono abilità specifiche e sfide ben definite, come quelli d’azione, dove il controllo è più evidente (Klimmt et al., 2009). Questo dimostra come la personalizzazione dell’esperienza di gioco sia non solo un mezzo per migliorare il coinvolgimento, ma anche un riflesso delle inclinazioni e dei tratti psicologici dell’individuo.

Queste scelte non riguardano solo una preferenza estetica fine a se stessa, ma determinano un’esperienza sicura, valida e personalizzata che fornisce la base attraverso cui è possibile avviare un percorso di apprendimento, miglioramento e di cura (come la Video Game Therapy)

I videogiochi come palestra cognitiva

Il giocatore, per poter vivere appieno l’esperienza di gaming, deve prima di tutto imparare e conoscere, nonché padroneggiare, gli strumenti che ha disposizione per poter giocare in modo efficace. Questo implica che l’utente sia in grado di interagire e dialogare con l’artefatto videoludico, sviluppando così una buona coordinazione oculo-manuale, per rispondere efficacemente agli stimoli visivi presentanti sullo schermo, e che rende i movimenti e le sequenze di movimenti appresi automatici, ovvero che abbia una memoria procedurale consolidata.
Utilizzando differenti paradigmi noti come l’UFOV (useful field of view task) e il MOT (multiple object tracking), oltre a misurazioni neuropsicologiche e di neuroimaging, differenti studi neuroscientifici hanno evidenziato come l’esperienza videoludica sia in grado di indurre cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello, migliorando abilità cognitive fondamentali come l’attenzione, la memoria di lavoro, la flessibilità cognitiva e la cognizione spaziale (Del Fante et al., 2024; Choi et al., 2020, Bediou et al 2019; Sacco et al., 2022). In particolare, i titoli interattivi ad alta intensità, che richiedono attenzione e monitoraggio continuo, favoriscono un significativo miglioramento in molte abilità cognitive definibili “core functions”.

Contrariamente alla visione comune, che considera i videogiochi piuttosto come una distrazione anziché una risorsa, molte ricerche dimostrano che il gaming possa stimolare l’attenzione, in particolare nei titoli in cui è necessario rispondere in modo efficace a più stimoli contemporaneamente, come avviene negli sparatutto o nei giochi di strategia in tempo reale (RTS). In questi generi videoludici, i giocatori devono monitorare costantemente l’ambiente circostante, rispondere rapidamente e correttamente agli stimoli visivi e sonori e, nel caso di videogiochi multiplayer (i.e., modalità in cui si gioca con altri utenti) coordinarsi anche con il proprio gruppo, mantenendo un costante livello di concentrazione.

Numerosi studi, a partire da Green e Bavelier (2003) e successivamente da molti altri studiosi, hanno evidenziato come i videogiocatori abituali siano più performanti in compiti di attenzione selettiva, alternata e di attenzione divisa. Con attenzione selettiva intendiamo la capacità di focalizzarsi su uno stimolo rilevante, ignorando quelli non pertinenti al compito (e.g, il nemico rispetto al compagno di squadra). L’attenzione divisa implica mantenere il focus su più compiti non interferenti (e.g. ascoltare un messaggio uditivo mentre si osserva un oggetto), mentre quella alternata consiste nel passare rapidamente tra diversi elementi dello schermo del videogioco (e.g, stato di salute, radar, munizioni, nemici). Secondo Lobera (2014), il gaming può accelerare la cognizione visuo-motoria, essenziale per attività che richiedono decisioni rapide, con i videogiocatori esperti che mostrano una maggiore abilità nell’orientare e focalizzare l’attenzione su stimoli rilevanti, ignorando efficacemente quelli irrilevanti.

Questi miglioramenti sono particolarmente significativi in termini di palestra cognitiva, soprattutto nel caso di persone con difficoltà o deficit cognitivi in alcune abilità, fra cui proprio l’attenzione. Infatti, oltre al “potere coinvolgente” di tale medium nel mantenere l’aderenza terapeutica ed evitare così i drop-out, i videogiochi risultano strumenti ideali per il trattamento di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD).

I videogiochi possono consentire alla persona di migliorare la gestione delle risorse attentive e le difficoltà a mantenere il focus, consentendo così di trasferirle nella vita quotidiana. Altresì, studi come quello di Franceschini e colleghi (2013) hanno evidenziato come gli sparatutto sembrano migliorare network sottostanti all’abilità della lettura, favorendo miglioramenti in termini di velocità di lettura e di decodifica del testo.

Altri miglioramenti cognitivi offerti dal gaming, particolarmente utili in ottica di riabilitazione neurocognitiva, riguardano la cognizione spaziale, ossia la capacità di orientarsi nello spazio, memorizzare e aggiornare costantemente la propria posizione, anche senza punti di riferimento evidenti. Giochi come Super Mario World o Tetris, e in generale titoli esplorativi, stimolano le abilità visuospaziali e la memoria episodica, favorendo la creazione di mappe mentali allocentriche e il ricordo di eventi specifici contestualizzati in un arco temporale e spaziale preciso. I videogiochi risultano strumenti in grado di stimolare la plasticità ippocampale con l’aumento della materia grigia (Clemson & Stark, 2015; Kuhn & Galinat, 2014; Sacco et al., 2022), migliorando la cognizione spaziale e risultando strumenti efficaci per la riabilitazione di deficit mnestici, come quelli post-ictus o in condizioni cognitive compromesse o degenerative, come il Mild Cognitive Impairment (MCI) o l’Alzheimer (Del Fante et al., 2021; Sacco et al., 2022).

Palestra emotiva e relazionale

Nonostante i tanti pregiudizi legati alla asocialità che il videogioco potrebbe indurre, il gaming offre anche l’opportunità di connettersi con altre persone – anche non fisicamente presenti – e di incrementare tutte le abilità emotive implicate nella costruzione di relazioni con l’Altro. Lo studio di Del Fante e colleghi (2024) sull’interazione sociale nei videogiochi multiplayer online ha messo in evidenza che, anche in assenza di una presenza fisica, gli utenti possono sentirsi profondamente connessi e presenti con gli altri semplicemente interagendo tramite chat vocale. Questo senso di connessione virtuale, noto anche come presenza sociale come coniato anche dal gruppo di Giuseppe Riva o di Shared-attention, ha portato a un miglioramento significativo delle performance e dell’apprendimento, misurato attraverso tecniche come l’elettroencefalogramma (EEG). Questo suggerisce che, nonostante la distanza fisica e il non vedersi vis-à-vis, ma interagendo con l’altro attraverso un avatar, risulta possibile sperimentare una connessione emotiva e sociale che influisce positivamente sul rendimento individuale. Altresì, esistono molti titoli videoludici da una forte componente narrativa che coinvolgono l’individuo in storie emotive e nella scelta fra azioni con conseguenze importanti da un punto di vista emotivo. Ciò stimolerebbe l’empatia, le competenze relazionali e l’intelligenza emotiva, oltre che il decision-making.

Sulla base di queste fondamenta, il gaming sta entrando sempre più in differenti ambiti, come l’educazione, la formazione, la riabilitazione e la terapia. Sebbene siano diffusi approcci che trasformano la terapia in forma ludica, utilizzando i principi della gamification, approcci come la Videogame Therapy (VGT) e l’associazione Play Better portano avanti il principio cardine del videogioco commerciale come strumento di benessere psicologico e relazionale, in cui il gaming trova sempre più spazio nelle ASL e scuole di alta formazione in tutta Italia.

Per un approfondimento esaustivo del protocollo psicologico VGT, nonché di casi pratici di applicazione, si rimanda la lettura al manuale “ Video Game Therapy: teoria e pratica clinica “(Bocci, Del Fante et al. 2024; UTET) e all’articolo Videogiochi e salute mentale: applicazioni cliniche della Video Game Therapy – Agenda Digitale del fondatore dell’approccio Francesco Bocci.

In conclusione, considerando questo e molto altro noto in letteratura scientifica, risulta sempre più evidente oggi giorno le potenzialità del gaming per il benessere dell’essere umano, poiché è solo nel gioco che l’individuo può scoprire ed essere davvero se stesso ( Winnicott, 1991).

Bibliografia

Bandura, A. (2001). Social cognitive theory: An agentic perspective. Annual Review of Psychology, 52, 1-26. https://doi.org/10.1146/annurev.psych.52.1.1

Bavelier, D., Green, C.S., Pouget, A., & Schrater, P. (2012). Brain Plastici y Through the Life Span: Learning to Learn and Action Video Games. «Annual Review of Neuroscience,» 35(1), pp. 391-416

Bediou, B., Seitz, A. R., & Dehaene, S. (2019). Video games and cognitive abilities: A review of the evidence. Frontiers in Psychology, 10, 1091. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2019.01091

Bocci, F., Del Fante, E., Ferrari, A., Micalizzi, A., & Sarini, M. (2024). Video Game Therapy®: Teoria e pratica clinica. UTET Università.

Csikszentmihalyi, M. (1990). Flow: The psychology of optimal experience. Harper & Row.

Del Fante, E., Sarasso, P., Barbieri, P., Piovesan, Villa, M.C., F., Ronga, I., Sacco, K. (2024) Virtual social interaction in a multiplayer-online video game increases implicit learning. «Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking». https://www.liebertpub.com/doi/10.1089/cyber.2023.0336

Del Fante, E. (2023). Aspetti psicologici legati ai titoli videoludici. In J. Ie russi, D. Filosa, & S. Franchi (a cura di). The game. Aspetti giuridici e socio-economici dell’industria videoludica. La Tribuna, Piacenza.

Del Fante, E., Vadda, D., Ghiggia, A., Ronga, I., Sacco, K., Geminiani, C.G. (2021). Let’s Play MindTheCity!: a virtual navigation 3D-videogame for enhancing spatial memory. XXIX Congresso Nazionale SIPF – Psicofi siologia e Neuroscienze Cognitive, Palermo, Italy.

Ferguson, C. J. (2015). Do angry birds make for angry children? A meta-analysis of video game influences on children’s and adolescents’ aggression, mental health, prosocial behavior, and academic performance. Perspectives on Psychological Science, 10(5), 646-666. https://doi.org/10.1177/1745691615592234

Franceschini, S., Gori, S., & Facoetti, A. (2013). Video games and learning: The effects of action video game play on the reading abilities of dyslexic children. Research in Developmental Disabilities, 34(4), 1190–1199. https://doi.org/10.1016/j.ridd.2013.01.025

Lengersdorff, L. L., Wagner, I. C., Mittmann, G., Sastre-Yaguë, D., Lüttig, A., Olsson, A., Petrovic, P., & Lamm, C. (2023). Neuroimaging and behavioral evidence that violent video games exert no negative effect on human empathy for pain and emotional reactivity to violence. eLife, 12, e07842. https://doi.org/10.7554/eLife.07842

Lobera, J., Perea, M., & Gómez, P. (2014). The effect of action video games on the improvement of cognitive and visual-motor skills. Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts, 8(3), 348–352. https://doi.org/10.1037/a0034814

Granic, I., Lobel, A., & Engels, R. C. M. E. (2014). The benefits of playing video games. American Psychologist, 69(1), 66-78. https://doi.org/10.1037/a0034857

Przybylski, A. K., & Weinstein, N. (2019). Violent video game engagement is not associated with adolescents’ aggressive behaviour: Evidence from a registered report. Royal Society Open Science, 6(2), 171474. https://doi.org/10.1098/rsos.171474

Sacco, K., Ronga, I., Perna, P., Cicerale, A., Del Fante, E., Sarasso, P., & Geminiani, G. C. (2022). A virtual navigation training promotes the remapping of space in allocentric coordinates: Evidence from behavioral and neuroimaging data. Frontiers in Human Neuroscience, 16, 693968. https://doi.org/10.3389/fnhum.2022.693968

Winnicott, D.W. (1991). Playing and reality. Psychology Press, London-New York.

Wu, S., Cheng, C.K., Feng, J., D’Angelo, L., Alain, C., & Spence, I. (2012). Playing a first-person shooter video game induces neuroplastic change. «Journal of Cognitive Neuroscience», 24(6), pp. 1286-1293.

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