reati digitali

Violenza sessuale in rete: è ora di renderla perseguibile



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Un caso di abuso sessuale su una piattaforma di gaming online in Inghilterra apre il dibattito sulla sicurezza nelle piattaforme di realtà virtuale. È tempo di rivedere le legislazioni esistenti e considerare la responsabilità delle aziende tecnologiche

Pubblicato il 17 gen 2024

Marco Cartisano

Studio Polimeni.legal



Tracciamento digitale contro la pedopornografia

È recente la notizia che la Polizia del Regno Unito ha aperto un’indagine su di un presunto caso di violenza sessuale in danno di una ragazza di sedici anni da parte di gruppo di adulti durante un’esperienza offerta da un software di gioco online.

L’indagine è stata avviata in quanto, sebbene la vittima non avesse riportato conseguenze fisiche, il trauma subito è stato considerato dagli investigatori come paragonabile a quello di chi subisce violenza sessuale; stando alle parole di un ufficiale della polizia britannica «C’è un impatto emotivo e psicologico sulla vittima che è più a lungo termine di qualsiasi lesione fisica».

Di cosa parliamo quando parliamo di realtà virtuale

Le aziende sviluppatrici di questi software consentono all’utente di accedere a un ambiente virtuale creando un proprio “avatar” e svolgere tutta una serie di attività che vanno dal gioco, al fitness, agli incontri con altri utenti; la differenza con le piattaforme esistenti da tempo sta nell’utilizzo accessori hardware quali occhiali (per la cosiddetta realtà aumentata) ovvero specifici visori che permettono di immergersi totalmente in ambienti creati ad hoc.

Naturalmente, l’ambiente è virtuale, ma le interazioni sono reali con il concreto rischio che i cybercriminali trovino un nuovo spazio di azione.

Per esempio, attraverso queste piattaforme è possibile commettere atti illeciti quali molestie, stalking, minacce, frode mediante phishing, riciclaggio di denaro con le criptovalute, furto d’identità e del proprio avatar, inoculazione di malware e truffa impersonando noti influencer.

Le piattaforme di realtà virtuale possono anche essere pericolose in quanto criminali informatici, mediante tecniche di ingegneria sociale, potrebbero indurre gli utenti a trasferire fondi, al riciclaggio o a sottoscrivere contratti fraudolenti.

Le altre possibilità possono essere la diffusione di materiale pedopornografico (e gli altri reati connessi) e il cosiddetto grooming, ossia l’adescamento di un minore anche tramite la rete.

Perseguire una violenza sessuale perpetrata in rete

Dal punto di vista squisitamente giuridico e tenendo conto della normativa attualmente in vigore in Italia, sarebbe possibile perseguire un tale reato?

Partiamo dal dato normativo, ossia dall’art. 609 bis c.p. che punisce, con la reclusione da sei a dodici anni «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autoritàcostringe taluno a compiere o subire atti sessuali» nonché chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona»; la norma, al comma terzo, prevede un’attenuante nei casi di minore gravità.

Nel nostro caso, tuttavia, si tratterebbe di violenza sessuale di gruppo che è punita con la reclusione da otto a quattordici anni, e, essendo il fatto compiuto su minore di anni 18, ma maggiore di anni 14, si applicherebbe l’aumento di pena fino ad un terzo.

Violenza sessuale, cosa dice la giurisprudenza

Per specificare meglio cosa si debba intendere per violenza sessuale, viene in soccorso la giurisprudenza secondo cui «Ai fini della definizione di atti sessuali di cui all’art. 609-bis c.p., non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l’atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato e idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell’individuo nella prospettiva dell’agente di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale. »

Fra l’altro, la S.C., in un’ottica di massima tutela della persona offesa ha (in tema di tentativo punibile) statuito che «E’ configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. »

Allo stato dell’arte, il dato normativo e giurisprudenziale (almeno in Italia) non consentirebbe di perseguire tali atti compiuti online, in quanto il dato materiale (corporeità sessuale) deve essere concomitante con la libertà di autodeterminazione della vittima e l’appagamento sessuale dell’aggressore: in buona sostanza, nel caso in esame, verrebbe a mancare il requisito oggettivo della condotta incriminatrice; al limite sarà possibile contestare la condotta di adescamento se si provasse che utenti dietro agli avatar hanno carpito la fiducia della minore attraverso artifici, lusinghe o minacce per commettere reati a sfondo sessuale.

Trattandosi di reato di pericolo, non è necessario che il minore venga poi materiante abusato, avvero che fornisca proprie immagini sessualmente esplicite poiché «L’atto rilevante ex art. 609-undecies cod. pen. deve essere volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce. Ne consegue che non è necessario che l’adescamento vada a buon fine. E costituisce lusinga idonea a carpire la fiducia del minore qualsiasi allettamento – fatto di frasi adulatorie, parole amiche, promesse o finte attenzioni – con cui l’agente cerchi di attrarre la persona offesa al proprio volere, onde indurla a commettere uno dei reati indicati dall’art. 609-undecies cod. pen. »

Responsabilità delle software house

Dal punto di vista di civilistico i produttori di queste piattaforme potrebbero essere ritenuti responsabili per l’omesso controllo, tenendo anche conto di eventuali policy adottate a tutela dei minorenni e delle procedure finalizzate a segnalare alle Autorità Competenti qualsiasi forma di abuso su minore.

Tuttavia, anche qui si tratta di un campo assolutamente nuovo in attesa che si formi la giurisprudenza al riguardo.

Conclusioni

La questione non è semplice, data l’oggettiva differenza fra un’aggressione sessuale fisica e quella virtuale; tuttavia, la chiave sta nel considerale le big tech corresponsabili dei fatti che limitino la libertà sessuale degli utenti, come anche ha dichiarato Katherine Cross, esperta di crimini informatici, secondo cui «Una legislazione più efficace richiederebbe alle grandi aziende di avere team dedicati alla sicurezza. Affinché l’ambiente online e virtuale delle piattaforme sia sicuro, è fondamentale attribuire la responsabilità di queste situazioni prima di tutto alle aziende, piuttosto che ai singoli utenti».

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