Sono elettori tutti i cittadini. Così inizia uno degli articoli più conosciuti della nostra Carta Costituzionale, ovvero l’articolato che sancisce il diritto di voto a suffragio universale dal 1946 in Italia. Meno di 30 anni più tardi sarebbero nati i primi processori e personal computer.
L’Italia non è stata certo tra i primi paesi a istituire tale diritto, si pensi alla Nuova Zelanda che già nel settembre del 1893, più di 50 anni prima dell’Italia, presentava uno Stato sociale molto avanzato con diritto di voto a suffragio universale, ben inteso che la Nuova Zelanda all’epoca non era ancora completamente indipendente, in quanto colonia britannica.
La partecipazione democratica: un indicatore della salute della democrazia
In questi anni uno degli indicatori principali per misurare la partecipazione dei cittadini alla res publica, il grado di funzionamento di una democrazia e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni è stata l’affluenza alle urne, che queste siano per rinnovi delle amministrazioni nazionali, ragionali o locali. La percentuale di partecipazione alle urne è utile anche per comprendere meglio la ratio e l’esito delle decisioni delle successive policy.
L’incidenza dell’astensionismo nelle recenti elezioni internazionali
Prendiamo il caso del Regno Unito in cui, durante le votazioni per il referendum per la Brexit del 2016, l’ago della bilancia non è stata tanto la quantità di voti per il leave (52% dei votanti) quanto invece il numero degli astenuti (per lo più tra i 18 e 24 anni) pari a circa 28% dei cittadini. Se andassimo ancora più a fondo noteremmo la vittoria del Remain nelle grandi città: da Londra a Liverpool passando per Manchester. Ci si potrebbe chiedere se questo è accaduto solo perché nelle città ci sono fasce più ampie di popolazione giovane o anche per la difficoltà logistica di votare altrove (fonte: UK votes to leave the EU, BBC).
Si pensi ancora alle elezioni americane del 2016, che hanno consegnato la vittoria al candidato del partito Repubblicano, in cui hanno votato solo il 59,2% dei cittadini (percentuale calcolata come partecipazione al voting eligible population-VEP, al netto del sistema dei c.d. Grandi elettori). Dunque quasi la metà dei cittadini americani non ha partecipato affatto alla scelta tra i candidati dei due grandi schieramenti politici americani (fonte: the American Presidency Project, UC Santa Barbara).
Inoltre circa il 14% dei non votanti hanno dichiarato di avere avuto difficoltà di sovrapposizione di agende con un 8% che ha dichiarato di essersi trovato lontano dalla propria residenza nelle giornate elettorali. Sono percentuali influenti che si aggiungono al 25% che ha invece dichiarato di non apprezzare alcuno tra i due candidati (fonte: Pew Research Center).
Il calo della partecipazione alle urne nei principali paesi industrializzati
Analizzando, convenzionalmente dal 2000 alle ultime elezioni, l’affluenza alle urne per le Nazionali dei principali paesi democratici e industrializzati, secondo i dati forniti dall’Università di Oxford, noteremmo un generale calo importante come nel caso dell’Italia (dal 81% al 64%) Stati Uniti (dal 86% al 71%) o più lieve come in Francia (80% al 74%) Germania (79% al 77%). Ci sono però anche Paesi in crescita come il Regno Unito (dal 59% al 67%) Canada (dal 61% al 62%).
La crescita della partecipazione nelle nazioni tecnologicamente avanzate
Se però tra gli Stati prendessimo in considerazioni alcuni tra quelli più avanzati tecnologicamente con un forte anima digitale, saremmo di fronte a uno scenario diverso. Noteremmo delle crescite corpose, come in Sud Corea (dal 57% al 77%) ed Estonia (dal 58% al 64%), o contenute ma importanti come in Svezia (dal 80% al 84%).
Il ruolo del digitale nel rafforzamento della partecipazione democratica
Vediamo dunque quali esempi virtuosi legano il digitale alle votazioni e quali possono essere le spinte alla partecipazione democratica dei cittadini, sia perché legittima maggiormente i vertici politici (con conseguente stabilità) sia per sottolineare la loro responsabilità verso la stessa cittadinanza. Già con il 2030 Digital Compass: the European way for the Digital Decade del 9 marzo 2021, la Commissione europea ha presentato gli indirizzi per la trasformazione digitale dell’Unione.
Tra gli obiettivi rientrava anche quello di garantire entro il 2030 servizi pubblici online siano completamente accessibili a tutti anche attraverso il voto elettronico. In Italia, al momento, nel dicembre 2023 c’è stata una simulazione di voto online non collegata ad alcun evento elettorale reale solo per gli italiani residenti all’estero ma con nessun esito concreto ne valutazione di impatto (al netto del rapporto finale del Ministero dell’interno) discussa successivamente.
L’esperienza dell’Estonia nel voto elettronico
L’Estonia, al netto della popolazione ed estensione ridotte rispetto a Stati Membri quali Francia-Italia-Germania, ha costruito negli anni un sistema di partecipazione digitale alle elezioni molto efficace portandola, nelle elezioni del 2023, ad una partecipazione digitale maggiore (51% del totale) rispetto a chi si è recato alle urne per votare “in cartaceo”. L’Estonia, dal 2005, offre ai propri cittadini tramite la piattaforma i-Voting, la possibilità di votare online attraverso l’identificazione con l’ID elettronico e un passaggio a due fattori. Resta a oggi l’Unico Stato membro che alle elezioni Europee 2024 consentirà ai propri cittadini il voto elettronico.
Sicurezza e veridicità del voto digitale
In relazione alla sicurezza e veridicità, il codice sorgente dell’applicazione di voto è pubblico e di continuo vengono effettuati audit e controlli sul sistema basti pensare che ogni elettore può controllare – a 30 minuti dal voto – se il suo voto è arrivato correttamente all’urna. Nei vari anni sono state introdotte delle modifiche da parte del Parlamento estone, come la possibilità di cambiare (fino alla chiusura) la propria preferenza di voto (che non significa votare due volte), sistema questo che permette anche di non poter conteggiare prima della chiusura dei seggi i voti. Chiaramente ogni “ordine” di voto è criptato e anonimizzato.
Un altro esempio vicino a noi, benché non sia membro UE, è la Svizzera un cui sono stati introdotti e poi estesi progetti pilota ai Cantoni di Basilea Città, San Gallo e Turgovia in occasioni di votazioni federali. La Svizzera è però in fase di analisi di impatto, gradualmente ha concesso solo a parte della popolazione di votare online e man mano aumento la percentuale, già la stessa Ginevra averebbe preso in considerazione questa soluzione.
Il futuro della democrazia nell’era digitale
Creare e implementare un sistema di voto elettronico non è un esercizio che può esaurirsi nella settimana elettorale ma – e l’Estonia ne è l’esempio – è un percorso che migliora di anno in anno nelle varie tornate elettorali. Le risorse impiegate nel rafforzare il processo elettronico di votazione (in Estonia sono stati finora circa 30 milioni, in Italia nel 2023 solo un milione, al netto che sia stata solo un’esercitazione) dicono molto e da questo si può partire.
I problemi e i rischi del voto digitale restano noti e comprensibili, ma una scelta per riportare gli elettori alle urne è necessaria. Certo è che l’astensionismo non è collegato alla sola difficoltà (logistica e non) di recarsi al seggio ma a tanti altri fattori, cominciare però a creare dei binari efficaci nell’attesa è il miglior metodo per preparare il terreno alle sfide democratiche che attendono, soprattutto l’Occidente, nei prossimi anni.