I tempi sembrano maturi per un riconoscimento europeo dei whistleblower, quegli individui (dipendenti o consulenti) che segnalano presunti illeciti di cui sono testimoni sul luogo di lavoro.
La proposta di direttiva europea sui whistleblower
Su questo tema la Commissione europea ha di recente presentato una proposta di direttiva che verrà ora sottoposta a consultazione pubblica per poi essere vagliata dal Consiglio e dal Parlamento, con l’obiettivo di approvarla prima della fine di questa legislatura, nella primavera 2019. Benché perfettibile, la proposta di direttiva della Commissione europea va considerata un atto rivoluzionario se si pensa che solo fino a pochi mesi fa Bruxelles, di fronte ai richiami del Parlamento di Strasburgo e alle pressioni della società civile, negava di essere competente in materia di protezione dei whistleblower sulla base di una rigida interpretazione dei trattati Ue.
La protezione dei whistleblower nei Paesi Ue
La direttiva potrebbe colmare una grave lacuna: attualmente sono pochi gli Stati membri che proteggono con efficacia (nel settore pubblico e in quello privato) i whistleblower da ritorsioni, mobbing e licenziamenti facili. Si va dai casi virtuosi di Irlanda e Paesi Bassi, che hanno messo in campo norme esemplari, passando da Francia e Italia (che ha una legge sul whistleblowing dallo scorso dicembre 2017, approvata anche grazie alla campagna di Riparte il futuro e Transparency International Italia) con legislazioni più che migliorabili, fino a Germania, Finlandia, Spagna e Portogallo, totalmente prive di una normativa in materia.
Perché tutti contro i whistleblower
Le resistenze a introdurre questo pezzo di legislazione non sono mancate e non verranno meno: i whistleblower infatti portano alla luce illeciti che danneggiano la collettività ma giovano ai corrotti e a chi occupa le poltrone del potere, dei vertici aziendali e della Pubblica amministrazione. E spesso pagano in prima persona per il loro gesto: gli si rende la vita lavorativa (e talvolta anche personale) impossibile, vengono licenziati e incontrano molte difficoltà nel trovare un nuovo lavoro, perché nessuno vuole mettersi in ufficio uno che “porta guai”. Addirittura, i whistleblower corrono il rischio di essere denunciati e condannati penalmente, per esempio per violazione di segreti industriali come è successo ad Antoine Deltour quando ha portato alla luce la vicenda LuxLeaks (l’affaire che legava centinaia di multinazionali al governo del Lussemburgo con accordi segreti di elusione fiscale).
Il contenuto della proposta di direttiva europea
È proprio la vicenda di Antoine Deltour che ha contribuito a rilanciare la campagna per la protezione dei whistleblower sostenuta da oltre 90 organizzazioni (sindacati, ONG, associazioni, gruppi di giornalisti) mobilitati in tutta Europa, portando la Commissione a riflettere sull’opportunità di introdurre una legislazione comunitaria per difendere i segnalanti. Il caso Deltour è servito a ispirare alcuni contenuti della proposta di direttiva, come il riconoscimento della libertà di espressione del whistleblower (un diritto umano riconosciuto dall’Unione europea, prima ancora di essere un diritto civile) e, inoltre, la protezione per chi segnala abusi di legge per i quali sussista un rilevante interesse alla pubblicità della notizia anche se non si tratta di reato. Infine, importante è anche l’estensione della protezione al whistleblower che segnala alla stampa o alle ONG, e non soltanto internamente all’azienda o presso l’autorità giudiziaria (questo potrebbe avvenire in due casi: innanzitutto, se il segnalante, dopo aver riferito internamente e poi alle autorità competenti, non ha ottenuto risposta; successivamente, se il whistleblower non può riferire internamente o alle autorità competenti in ragione della natura della segnalazione).
Prevenire corruzione e illegalità
Va detto che la proposta di direttiva non rappresenta un compromesso al ribasso: molti contenuti sono apprezzabili e rispondono concretamente alla necessità di prevenire corruzione e illegalità incoraggiando chi le segnala sul posto di lavoro. Il testo affronta alcuni tra i temi più spinosi mostrandosi ben più coraggioso di quanto hanno fatto la gran parte delle legislazioni degli Stati membri. In aggiunta agli aspetti “post Deltour” vanno senza dubbio menzionati l’introduzione della protezione per il whistleblower che segnala in buona fede un fatto che poi si rivela infondato (anche il whistleblower può trovarsi in una situazione di asimmetria informativa del resto); ma soprattutto, il riconoscimento che il whistleblowing è importante per il giornalismo investigativo e che le segnalazioni dei whistleblower servono a creare un’Europa in cui ci sia una informazione libera e attiva.
La direttiva Ue e quella italiana
L’iniziativa legislativa europea, qualora approvata, contribuirebbe a migliorare le legge di tutela dei whistleblower da poco approvata in Italia. Per esempio, mentre la nostra norma era rimasta più che timida in materia di segnalazioni nel settore privato, con il testo dell’UE si applicherebbe a tutte le aziende con più di 50 dipendenti (a differenza di quanto accade ora laddove è prevista solo per le grandi aziende dotate di sistemi di compliance e alle quotate); la categoria dei soggetti meritevoli di protezione si estenderebbe ai lavoratori part time, ai consulenti, ai volontari etc., e in generale a chiunque segnala nell’interesse pubblico; infine, le autorità riceventi le segnalazioni sarebbero obbligate a dare conto al segnalante dello status di avanzamento dell’indagine originante dalla sua segnalazione. Quest’ultimo punto potrebbe sembrare irrilevante ma è invece fondamentale, perché spesso un whistleblower non segnala temendo di non essere preso in considerazione dal sistema.
I margini di miglioramento
Nonostante gli innegabili meriti della bozza predisposta dalla Commissione europea, non mancano dubbi e perplessità che ci auguriamo saranno oggetto di proposte migliorative nel corso dell’iter di approvazione. In particolare, non è chiaro quale sarà il trattamento della confidenzialità: sembrerebbe inclusa nel testo, ma poi altrove si richiama la necessità di non oltrepassare i limiti imposti dalle leggi dei singoli Stati membri. Il rischio è che non vengano in alcun modo prese in considerazione le segnalazioni anonime, come già accade in Italia, a Malta o in Ungheria, compromettendo gli scopi stessi della direttiva. I 27 non devono avere la possibilità di rifiutare tout court le segnalazioni anonime dalla loro legge nazionale; andranno inoltre previsti canali interni di segnalazione che garantiscano l’anonimato.
La bozza di direttiva inoltre prevede sanzioni in caso di segnalazioni dolose e vessatorie, che entrerebbero in contraddizione col fatto che il whistleblower non è tenuto a rivelare notizie in “buona fede”. Ancor meno opportuno è menzionare nel testo la diffamazione e la calunnia, reati peraltro già previsti dai codici nazionali e pertanto già punibili, correndo il rischio di spaventare in via preventiva chi intenda segnalare.
Inoltre, viene demandata agli Stati la responsabilità di indicare eventuali risarcimenti e misure cautelari a vantaggio dei segnalanti. Oggi le normative nazionali sono spesso molto tiepide su questo punto: sarebbe bene arrivasse un’indicazione chiara e netta da parte di Bruxelles.
Allargare gli ambiti di competenza
Ma andrebbero anche allargati gli ambiti di competenza presi in considerazione dalla direttiva, considerato che l’Unione Europea estende le proprie prerogative ai diritti dei lavoratori tout court, agli accordi di libero scambio commerciale, ad alcuni aspetti del settore bancario non relativi alla fiscalità, alla libertà di movimento, immigrazione e asilo, alla cooperazione giudiziaria, agli affari esteri, all’energia diversa da quella nucleare.
I prossimi passi
La bozza di direttiva verrà ora sottoposta a consultazione pubblica e i pareri dovranno arrivare entro il 4 luglio: quando l’anno scorso la Commissione annunciò che si sarebbe occupata di protezione dei whistleblower, lanciò una consultazione che ebbe una straordinaria partecipazione di pubblico: arrivarono oltre 5mila commenti, la maggior parte dei quali provenienti da privati cittadini e non come di consueto da organizzazioni della società civile, istituzioni o aziende. Un coinvolgimento così massiccio fa ben sperare, perché dimostra la sensibilità dei cittadini europei in materia di lotta alla corruzione e all’illegalità.
La mobilitazione della società civile
Non meno significativa è stata la mobilitazione della società civile organizzata, che per la prima volta ha visto unite oltre 90 sigle, a livello nazionale o paneuropeo, provenienti da esperienze molto diverse: si va dai sindacati che radunano quadri e dirigenti ai collettivi di giornalisti d’inchiesta, dalle grandi Ong che si occupano di trasparenza e anticorruzione ai sindacati di base. Anche Riparte il futuro sta dando il suo contributo alla campagna europea e per questo ha appena rilanciato la sua petizione per chiedere a Parlamento e Consiglio di esprimersi presto, in modo che la bozza di direttiva non resti un’occasione sprecata e possa diventare legge (e poi essere successivamente ratificata dagli Stati membri) entro la fine di questa legislatura. C’è tempo fino ad aprile 2019 per far sì che non sfumi questa straordinaria opportunità di proteggere concretamente chi – segnalando corruzione, frodi, ruberie, illeciti – contribuisce a fare dell’Europa un continente più giusto.