Cosa sono gli open data: tra trasparenza e pubblica amministrazione
Il concetto della trasparenza, e più in generale la disciplina del rapporto dialogico tra Pubblica Amministrazione e cittadino, in Italia nasce con la Legge n. 241/1990.
Da quel momento, essa è diventata corollario del principio di buona amministrazione costituzionalmente garantito dall’art. 97 Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.”
L’avvento della digitalizzazione nell’attività amministrativa conferisce nuovi significati al concetto di trasparenza e molte sono le norme che conferiscono all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione un ruolo strategico nell’ambito dell’azione amministrativa, come ad esempio l’art. 12, D. Lgs. n. 82/2005:
“Le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle imprese di cui al presente Codice in conformità agli obiettivi indicati nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione di cui all’articolo 14-bis, comma 2, lettera b).” o l’art. 11, D. Lgs. n.150/2009 che prevede: l’”accessibilità totale (…) delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione”.
Open data e disponibilità dei dati pubblici
In particolare con riferimento ai dati il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005), prevede il principio di “disponibilità dei dati pubblici ” (enunciato all’art. 2, comma 1, e declinato dall’art. 50, comma 1) che consiste nella possibilità, per soggetti pubblici e privati, “di accedere ai dati senza restrizioni non riconducibili a esplicite norme di legge ”(art.1, lett. o) e riprende il concetto di formato aperto ( un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi) e quelli di dato di tipo aperto, codificando nel nostro ordinamento molti dei requisiti che abbiamo visto emergere nell’esperienza internazionale:
l) sono disponibili secondo i termini di una licenza o di una previsione normativa che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalista commerciali, in formato disaggregato;
2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera l- bis),sono adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;
3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione salvo i casi previsti dall’articolo 7 del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, e secondo le tariffe determinate con le modalità di cui al medesimo articolo.
Gli Open data e i Big data
Sin qui abbiamo analizzato le caratteristiche e la legislazione che interessa gli Open data ma questa disamina sarebbe sicuramente parziale se non si ponesse il problema del raffronto del dato pubblico ed aperto rispetto all’altra grande categoria di dati, sempre più l’attenzione delle cronache: i Big data.
Big data è il termine usato per descrivere una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi di analisi specifici per l’estrazione da essi di ulteriore valore in termini informativi.
Il progressivo aumento della dimensione dei dataset è legato alla necessità di analizzare contemporaneamente un unico insieme di dati, al fine di estrarre informazioni aggiuntive rispetto a quelle che si potrebbero ottenere analizzando dei data set parziali e separati, anche se cumulativamente contenenti la stessa quantità totale di dati.
Un esempio possono essere le analisi condotte per sondare gli “umori” dei mercati e dei consumatori: esse richiedono l’individuazione delle tendenze principali della società in un dato momento storico e vengono effettuate attraverso l’analisi e l’incrocio del fiume di informazioni che viaggiano e transitano attraverso Internet.
I Big data rappresentano, dunque, l’interrelazione di dati provenienti potenzialmente da fonti eterogenee: non soltanto, quindi, dati strutturati, come quelli presenti nei database, ma anche non strutturati, come immagini, email, dati di geo-localizzazione o geo-referenziati, informazioni prese dai social network o addirittura dai download anche se parziali e non completato ecc..
Sicuramente gli Open data sono un sotto insieme dei Big data ma profondamente diverse sono le finalità e gli utilizzi che caratterizzano queste due grandi categorizzazioni dei dati:
- i Big data vengono raccolti anche l’insaputa dell’interessato al fine di profilare i gusti e le tendenze dei cittadini e vengono utilizzati a fini privatistici e di analisi del mercato,
- gli Open data sono dati pubblici raccolti nell’ambito dell’azione delle PA, essi devono essere disponibili, riutilizzabili, e vengono messi a disposizione della comunità per incentivare la partecipazione alla gestione della cosa pubblica.