La domanda che si pongono i giuristi riflettendo sull’intelligenza artificiale è se le macchine potranno sostituire gli uomini nel processo di interpretazione/applicazione del diritto e quindi formulare decisioni per la soluzione di una controversia o stipulare un contratto.
Un ambito di interesse per i notai, che per svolgere alcune delle loro funzioni possono contare sull’AI: è importante però mantenere i professionisti al centro del processo decisionale.
AI e funzione notarile, il contesto
Il dibattito si è oggi arricchito con l’AI Act, che regola con un approccio basato sul rischio i sistemi d’intelligenza artificiale immessi sul mercato e che coinvolgono gli utenti all’interno dell’UE. Sul fronte della tutela dei cittadini tre norme sono particolarmente rilevanti. Occorre assicurare che ci sia sorveglianza umana (art. 14); che venga garantita la trasparenza dei sistemi di IA in modo da comprenderne il funzionamento (art.13); che sia assicurato il diritto alla motivazione dei singoli processi decisionali in favore degli interessati (art. 86).
Il nuovo DDL, presentato in bozza dal Governo l’8 aprile 2024 e denominato Norme di principio in materia di intelligenza artificiale, mira a stabilire principi chiave per l’impiego dell’AI, in linea con l’AI Act. Il DDL, composto da 5 capi e 25 articoli, affronta diversi temi che impattano sull’ordinamento nazionale e delinea ruoli e responsabilità delle Autorità nazionali per la sorveglianza e la regolamentazione dei sistemi di AI. In particolare intende disciplinare i principi in materia di ricerca, sperimentazione, sviluppo, adozione e applicazione di sistemi e modelli d’intelligenza artificiale e promuovere la trasparenza e l’impostazione antropocentrica stabilita a livello europeo.
Con specifico riguardo all’attività del notaio, l’ambito di applicazione riguarda, in primo luogo, i fatti riportati dalle parti o ricavati dai documenti durante l’istruttoria; in secondo luogo, il diritto, cioè l’estrazione della regola dai vari formanti dell’ordinamento (leggi, giurisprudenza, prassi interpretative); infine, la costruzione della regola contrattuale, interrogandosi su come essa sarà a sua volta interpretata, stante la complessità della realtà sociale, economica e giuridica e la difficoltà di cristallizzarla all’interno di un patto o regolamento contrattuale.
L’interpretazione delle norme
Certamente, oggi, l’interpretazione e applicazione notarile non è più una mera applicazione esterna all’enunciato legislativo il cui processo formativo si era inesorabilmente chiuso con la promulgazione della legge, una appendice incapace di incidere sul contenuto volitivo del legislatore. Oggi è da cogliersi come ultimo momento del processo formativo della norma, un momento che è interno e non esterno a quel processo. La più affinata consapevolezza giuridica avverte oggi che il comando legislativo diventa norma solo grazie al contributo dell’interprete/applicatore. Il testo legislativo non è affatto realtà autosufficiente, ma, al contrario, ha compiutezza solo con l’interpretazione.
Se abbandoniamo per un momento le lenti deformanti che portiamo per abitudine sui nostri occhi, ci si disvelano nitidamente le ragioni per le quali nella cultura giuridica contemporanea è tramontato il mito montesquieviano del giurista “bocca della legge”. La polisemia (sincronica e diacronica) dei testi legislativi ma anche del lessico comune, e l’autonomia semantica del testo legislativo fissato nella scrittura (che rompe il legame iniziale con l’intenzione dell’autore e le circostanze economiche, sociali e culturali della sua produzione) conferiscono al testo legislativo o alla interpretazione del fatto un potenziale di significato che non è esaurito da nessun uso attuale, ma esige di essere continuamente e costantemente filtrato dal contesto.
Il contesto del fatto da regolare e l’interpretazione delle disposizioni prima facie applicabili interagiscono in una relazione di circolarità: l’elaborazione di una clausola contrattuale deve fare riferimento a tutte le circostanze rilevanti per la specificazione di un’astratta previsione normativa, ma la selezione delle circostanze rilevanti dipende a sua volta dalla comprensione della norma raggiunta dall’interprete.
L’interpretazione del giurista deve cogliere i significati normativi in termini appropriati a ogni situazione applicativa. Interpretazione e applicazione sono momenti separati ma inscindibili di un processo unitario: un enunciato prescrittivo non può esser compreso se non in funzione della applicazione a un caso concreto. Come osserva Mengoni, in ogni situazione applicativa l’interpretazione di un enunciato normativo conduce alla creazione di una “nuova” regola, non si tratta di pura applicazione del diritto esistente. Queste riflessioni dovrebbero rendere evidente che un’interpretazione stabile della realtà socio-economica, fatta da un algoritmo, appare una aporia, una contraddizione in termini, poiché la realtà è mutevole per la sua stessa natura.
L’intelligenza pone i problemi, la tecnologia li risolve. Tutto questo rende evidente come, in una realtà applicativa così complessa, la utilitas del notaio, un giurista terzo, caratterizzato dalla imparzialità (espressa nella sua collocazione istituzionale di pubblico ufficiale); dalla indipendenza (da ogni altro potere) e dalla neutralità (che deriva dalla sua estraneità alle scelte successive alla conclusione del contratto). Il notariato come categoria professionale rappresenta quindi una infrastruttura funzionale non solo alle esigenze di documentazione affidabile, ma anche alla tutela preventiva dei diritti delle persone e produttrice dell’esternalità positiva derivante dalla costruzione di ordinamenti privati idonei a reggere nel tempo ed al vaglio giudiziale, in caso di contenzioso.
Decisione negoziale robotica e le nuove frontiere professionali
Se vogliamo comprendere pienamente le potenzialità e possibilità di una interazione tra diritto e informatica occorre portare alla luce l’esigenza che il notaio (e più in generale il giurista) ha tutti i giorni nella sua officina di comprendere ed interpretare i fatti della vita quotidiana (spesso di incerta significazione); poi gli enunciati normativi, così come sono letti ed applicati nella prassi giudiziaria, amministrativa e notarile; infine, costruire insieme alle parti la lex contractus, adeguando le categorie tradizionali agli interessi dei cittadini, e non costringendo quelli nel letto di Procuste degli schemi concettuali ereditati dalla tradizione.
Se il diritto fosse come la geometria, fatta di assiomi e teoremi, o se consistesse semplicemente nella applicazione di una regola data, o nell’effettuazione di un calcolo, o nella riproduzione del già deciso, il trasferimento di dati in un algoritmo sarebbe assai agevole.
Ma se, come da tempo va ripetendo Nicolò Lipari, il più significativo indice di qualificazione della giuridicità nel tempo presente consiste nel passaggio da uno ius positum ad uno ius costantemente in fieri e l’essenza dell’attività del giurista risiede nell’interpretazione, quindi nella valutazione di fatti e di enunciati normativi, la riduzione di questa attività ad un algoritmo capace di risolvere i problemi mi pare un tema assai più complesso.
Relativamente alle decisioni giudiziarie esistono al momento tecniche automatizzate ma solo in funzione predittiva delle decisioni, e nel caso Eric Loomis, condannato a sei anni di reclusione sulla scorta dello score attribuito da un algoritmo di valutazione del rischio di recidiva, la Corte suprema del Wisconsin nel 2016 ha chiarito che l’algoritmo non può essere l’unico elemento su cui fondare una decisione di condanna. Mi parrebbe una posizione da condividere. Gli algoritmi non sono mai neutrali, visto che dipendono dai dati che si sceglie di introdurre, e mai immuni dal pregiudizio, perché sono scritti da esseri umani con valori e pre-comprensioni che passano dal programmatore alla macchina.
La decisione negoziale diventa robotica quando vengono coinvolti gli algoritmi, in forma di software gestito dal computer. L’idea di una macchina che, al posto del notaio, possa “ricevere” la volontà delle parti e tradurla in un atto pubblico parrebbe esporsi a diverse considerazioni critiche: oltre al problema del rapporto tra macchina e precedenti di prassi giudiziaria e notarile, non sempre uniformi, vi è quello del potere di chi progetta l’algoritmo in base ad un accordo inter-soggettivo, la questione di quale sia la dottrina giuridica rilevante per la macchina, la determinazione dei criteri che dovrebbe utilizzare la macchina per la qualificazione di fatti problematici o nell’interpretazione di clausole generali e principi normativi.
A nessuno può sfuggire che le informazioni immesse nella macchina incorporano un alto tasso di soggettività, in quanto filtrate dall’intelletto umano attraverso un atto interpretativo, storicamente condizionato. Spostando le decisioni, dal notaio al programmatore dell’algoritmo, assistiamo semplicemente al passaggio del potere interpretativo da un uomo a un altro uomo, poiché dietro alla decisione negoziale robotica sta pur sempre un soggetto umano.
I limiti all’utilizzo della IA in ambito negoziale
La (assoluta o relativa) immodificabilità dei passi eseguiti dal software, possono implicare rilevanti problematiche sia per la soluzione di eventuali vizi genetici del contratto, sia per la gestione degli ulteriori eventi che possono modificare nel tempo i presupposti fattuali che hanno indotto le parti alla conclusione del contratto e che troverebbero soluzione, in un ambiente non algoritmico, ad esempio con una mediazione del conflitto da parte del notaio persona fisica.
Tre fronti critici
A questo si aggiungono tre fattori problematici che emergono quando la realtà̀ umana e fattuale si devono necessariamente incrociare con la rigidità̀ degli algoritmi:
- gli errori umani del programmatore nell’impostazione delle condizioni che attivano i programmi auto eseguibili, che obbligano le parti, in una logica di buona fede nell’esecuzione del contratto, ad una successiva pattuizione che, in sede negoziale, riconduca il sinallagma contrattuale alle originarie pattuizioni (quando è ancora contrattualmente possibile);
- gli errori (volontari o accidentali) dei c.d. oracoli, cioè di quelle entità qualificate esterne all’infrastruttura nella quale opera l’algoritmo (es. una banca dati di dottrina e giurisprudenza) alle quali le parti delegano la verifica delle condizioni di legalità ed efficacia del contratto;
- in termini più̀ strutturali, ma non meno rilevanti, la presenza di una asimmetria informativa o di un gap di conoscenze tecniche che rendono talvolta molto complesso all’utente medio l’accesso consapevole alla fruizione degli strumenti di IA di cui, soprattutto nei mercati finanziari ed assicurativi, gli utenti finali rischiano di essere “vittime”.
Ai suddetti temi problematici è strettamente connessa la responsabilità del professionista per i danni eventualmente derivanti dalla scelta dei sistemi di IA utilizzati nel caso concreto, nel caso siano imputabili allo stesso. Quello che al momento mi pare realizzabile, sul terreno notarile, è un contratto che si formi interamente in ambito informatico, così che il notaio e le parti si muovano in una sorta di percorso vincolato in cui ad ogni passaggio siano chiamati a risolvere un problema o a fornire una qualificazione di un fatto.
In un simile modello la macchina potrebbe essere chiamata non solo a svolgere la funzione di veloce e documentato ausiliario, così da semplificare il processo decisionale, ma anche di vigile osservatore delle decisioni e operazioni compiute nell’intera formazione del regolamento negoziale. In definitiva, la decisione negoziale robotica o automatizzata è un utile portato dell’evoluzione tecnologica, purché appunto rimanga in un ruolo sostanzialmente servente e sostitutivo di operazioni umane meccaniche o ripetitive in quanto caratterizzate dalla non necessità di valutazioni o di scelte in senso lato discrezionali: ciò che riconduce il robot che decide nel contratto al ruolo di esecutore di istruzioni, le più semplici possibili.
Sebbene la millenaria tradizione del notaio come prestigioso “custode del diritto” sia messa a dura prova dalla introduzione dell’IA, credo che anche a seguito del progresso tecnologico resterà centrale il ruolo del notaio sia come professionista sia come pubblico ufficiale conservando egli la piena responsabilità finale del testo contrattuale. Per il complesso di ragioni che ho cercato di esporre, credo infatti che sempre al notaio debba spettare l’ultima parola sull’interpretazione della legge, sulla valutazione dei fatti e sulla costruzione di qualsiasi contratto, atto o provvedimento.
L’IA come supporto e non come sostituto
L’intelligenza artificiale si configura, dunque, come uno strumento di supporto al lavoro del notaio, non come un sostituto, per assisterlo nello svolgimento della sua funzione e persino per rafforzarne i valori tradizionali di indipendenza e imparzialità, a condizione che i Notai conoscano le regole di funzionamento e che le Associazioni nazionali di categoria svolgano un ruolo attivo di predisposizione di protocolli e linee guida sull’utilizzo degli algoritmi. Per risolvere le questioni poste ai giuristi dalle applicazioni di intelligenza artificiale probabilmente non bastano nuove regole legislative, è forse necessario un nuovo approccio, occhiali nuovi per comprendere il nuovo contesto. Il diritto e i giuristi non possono certamente impedire la diffusione di nuove tecnologie, ma devono anzi favorirle e governarle, senza dimenticare, tuttavia, che la funzione del diritto resta quella di fornire agli uomini regole per convivere pacificamente.
Al cospetto di sentieri ancora in parte sconosciuti (macchine capaci di ragionare e decidere) la saggezza induce a non ritirarsi per timore né ad inoltrarsi alla cieca, bensì munirsi di una bussola (cioè una adeguata consapevolezza culturale della complessità dei problemi) per assumere il corretto orientamento ed iniziare ad esplorare.
La decisione negoziale robotica è un arduo e grave tema, non possiamo nasconderci. Un tema/problema che il giurista affronta con timore e sospetto. E perciò è necessario interrogarsi insieme, ascoltare le voci più diverse, e poi scegliere risolutamente con coraggio e lungimiranza e percorrere il cammino dettato dalla nostra convinzione.
La lezione che viene dal passato, quando in molti casi una scienza giuridica colta e consapevole ha avuto un ruolo salvante per la società, secondo una tradizione antica ed egregia fatta di coraggio ed equilibrio, induce a ritenere che anche le complesse questioni poste dall’innovazione tecnologica verranno affrontate e superate.