Non ci sarà una sfilata per presentare la nuova collezione autunno-inverno di regole e strategie nel mondo degli appalti pubblici, ma sicuramente siamo in tanti ad auspicare cambiamenti importanti per la conclusione di un anno importantissimo. Il PNRR ci consegna tanti soldi da spendere, ma sapremo farlo? Norme e strumenti devono andare di pari passo con la portata degli investimenti che abbiamo di fronte e stiamo senza dubbio parlando di un volume di denaro senza precedenti.
C’è un motore da rimettere in movimento, inceppato dalla incapacità di cogliere le innumerevoli opportunità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, dall’adozione di nuovi modelli di business sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che sociale, dalla messa in cantiere di grandi opere pubbliche in grado non solo di creare occupazione, ma di dare lustro e slancio all’ingegneria e al genio creativo italiano.
Lo scenario italiano
In Italia la crisi dovuta all’emergenza sanitaria ha avuto effetti devastanti, con una riduzione del PIL 2020 pari al 8,9% rispetto all’anno precedente, a fronte di una media europea del 6,2%. Ma il punto più dolente è che questa contrazione si è innestata su una situazione già estremamente fragile, se si considera che l’incremento del PIL in Italia nell’ultimo ventennio è stato caratterizzato da un tasso di crescita inferiore dalle 4 alle 6 volte rispetto ai paesi più performanti quali Germania, Francia e Spagna. Verrebbe allora quasi da dire sotto voce come questa pandemia, se non avesse portato tanta sofferenza, rappresenti una enorme opportunità che abbiamo da cogliere, perché senza di essa avremmo sempre una situazione in forte contrazione ma nessun Recovery Fund da spendere.
La Pubblica Amministrazione gioca un ruolo fondamentale, soprattutto nel campo dell’innovazione digitale, se pensiamo che oltre il 30% degli investimenti previsti dal PNRR sarà destinato alla digitalizzazione dei suoi processi. Ma la PA gioca un ruolo fondamentale anche negli altri pilastri del Piano come la transizione ecologica, la mobilità sostenibile, la sanità e i servizi sociali. Si sente spesso dire, ed alla lunga si finisce per crederci, che questa sia l’ultima occasione che abbiamo per costruire davvero un paese importante. Ecco, forse vale la stessa cosa per gli appalti pubblici.
Senza controlli è a rischio la concorrenzialità
L’attuazione del PNRR dovrà essere supportata da un nuovo contesto normativo, coerente, integrato e possibilmente aggiornato (il riferimento alla assoluta urgenza dell’approvazione del Regolamento di attuazione del Codice degli appalti è intenzionale). Vanno benissimo le indicazioni fornite dalla Linee Guida ANAC, ma auspichiamo la fine delle dispute di giuristi e tribunali in merito alla loro cogenza o meno. Occorrono, ed in fretta, istruzioni chiare e non ambigue per i funzionari che si occupano di appalti pubblici, perché le disparità di comportamento fra gli enti esistono, sono evidenti ed hanno come unico risultato quello di far governare la giurisprudenza, di aumentare il numero di contenziosi e, conseguentemente, rallentare i tempi aggiudicazione.
L’impatto del Decreto Semplificazioni sul Codice appalti
Non possiamo continuare ad essere il Paese delle deroghe. Viviamo oggi in un periodo di regime derogatorio imposto al Codice degli Appalti dal nuovo Decreto Semplificazioni (Decreto Legge 31 maggio 2021, n. 77). Fra le altre novità apportate dal Decreto e valide sino a giugno 2023, si prevedono all’art. 48 norme inerenti azioni di semplificazione in materia di affidamento dei contratti pubblici, rese esecutive con riferimento alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNRR. Se per l’affidamento di lavori pubblici sono previste novità interessanti, come ad esempio l’ammissibilità dell’affidamento di progettazione ed esecuzione dei relativi lavori anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica, per i servizi e le forniture gli interventi si limitano ad una maggiore flessibilità nell’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando (art. 63, D.Lgs. 50/2016) che, come più volte ribadito sia dal Codice che da numerosa giurisprudenza, è una procedura che consente di derogare ai principi di concorrenzialità delle gare, potendosi in determinate condizioni negoziare l’appalto con pochi o anche un solo concorrente anche per importi superiori alla soglia di rilevanza comunitaria.
La transizione digitale nel Decreto Semplificazioni: che cambia per PA e imprese
Il nuovo DL Semplificazioni ammette il ricorso a questa procedura quando l’urgenza di appaltare (evidentemente sempre per cause dovute a circostanze imprevedibili non imputabili alla Stazione Appaltante) sia giustificata dal rischio di “compromettere la realizzazione degli obiettivi o il rispetto dei tempi di attuazione di cui al PNRR”. Ora, se per certi versi l’intenzione della norma è comprensibile, dall’altro pensando all’ammontare dei fondi in gioco – 191,5 miliardi coperti con il PNRR, senza considerare i 30 miliardi del Fondo complementare alimentato con lo scostamento di bilancio in cui dovranno confluire i progetti “esclusi” dal Piano – non è difficile temere che una grossa quota di questi fondi possa essere appaltata senza ricorrere a procedure competitive. Giova osservare a riguardo che i tempi delle procedure competitive sono stati ormai ridotti davvero all’osso grazie agli strumenti di e-Procurement e spesso sono anche inferiori al tempo che i funzionari pubblici spendono per trovare giustificazioni fondate per ricorrere a procedure meno competitive quali appunto la negoziata di cui all’art. 63.
In conclusione, va benissimo tale approccio purché sia accompagnato da m che minimizza, evidentemente, l’insorgere di situazioni di urgenza e soprattutto da adeguati controlli. Qui non si scherza più, anche perché la spesa sarà tanto più produttiva quanto più questa sarà distribuita su tanti operatori economici. Si riduce il rischio di insuccesso e si distribuiscono le opportunità in modo equo sul Mercato, ora che è finito il tempo dei sussidi e dei ristori. E non dimentichiamo che a questa enorme spesa seguirà un indebitamento di pari valore, quindi se l’investimento non porterà frutti questo debito ci trascinerà nel baratro.
Una regia solida per una strategia di procurement integrato
È necessario un contesto normativo stabile, dunque, ma soprattutto è fondamentale per i principali attori nel mondo degli appalti pubblici, ossia le Centrali di Committenza, costruire un insieme di iniziative di acquisto in grado di recepire in modo sinergico gli obiettivi e i principi guida indicati dal PNRR come abilitanti lo sviluppo e l’innovazione. Le grandi gare devono infatti giocare un ruolo fondamentale. Occorre costituire una solida cabina di regia in grado di disegnare una strategia d’acquisto e di guidarne l’attuazione, evitando sovrapposizioni di gare e omogeneizzando i requisiti minimi di servizi ritenuti indispensabili ai fini dell’incanalamento dell’innovazione lungo le direttive individuate. Gli attori ci sono e sono esperti (Consip, AgID, il Dipartimento per la trasformazione digitale, avremmo anche le Centrali di committenza regionali se solo fossimo capaci di far funzionare il meccanismo della qualificazione…). Occorre solo stabilire “chi fa che cosa” e si parte, non c’è tempo da perdere: un soggetto disegna la strategia, un soggetto fissa i requisiti tecnici, un soggetto si occupa di gestire la procedura di gara. E quando è inevitabile che più soggetti siedano a un tavolo, occorre responsabilizzare tutti.
E, già che ci siamo, che almeno qualcuno pensi questa volta a pubblicare un piano di gare con un congruo anticipo, cosicché anche il mercato della fornitura possa prepararsi e costituire le giuste alleanze per una più ampia apertura competitiva e partecipativa. Sappiamo tutti che le gare si vincono se si arriva preparati al bando, e 35 giorni sono sufficienti per scrivere un’offerta ma non per mettere in piedi una strategia che veda l’alleanza di più imprese. Un modello di questo genere deve avere come obiettivo primario l’armonizzazione dell’azione di procurement, da perseguire lungo l’attuazione di due linee guida fondamentali: una di carattere strategico, l’altra di carattere tecnologico.
L’armonizzazione strategica ha l’obiettivo di evitare sovrapposizioni inutili di iniziative d’acquisto, che hanno solo il fine di creare ambiguità fra le Amministrazioni contraenti e di generare comportamenti disuniformi dei Fornitori sulla medesima merceologia in funzione della specifica gara e della specifica Committenza. Si pensi ad esempio ai servizi cloud e all’adozione del principio “cloud first”, più volte sbandierato nel Piano ma a sua volta cavallo di battaglia del (fu) Team per la Trasformazione Digitale. Ci vorrebbe diverso spazio qui per raccontare di tutte le iniziative oggi a disposizione delle Amministrazioni per l’approvvigionamento di servizi cloud: abbiamo gare Consip, abbiamo il cloud marketplace AgID, abbiamo Bandi del MePA, bandi SDAPA e come se non bastasse siamo in attesa della Gara per Polo strategico che dovrà gestire e proteggere i dati di tante Amministrazioni. Capiamo che ciò sia stato fatto in nome della pluralità di accesso al mercato, ma non è pensabile una frammentazione degli sforzi di procurement (e con essi dei requisiti tecnici di base) in un numero così ampio di iniziative spesso nemmeno collegate fra loro. Figuriamoci se interoperabili.
E qui arriviamo alla armonizzazione di carattere tecnologico, ossia alla necessità assoluta di individuare quei capisaldi tecnici da recepire in ciascuna iniziativa d’acquisto per garantire uniformità e interoperabilità fra gli ecosistemi. Si parla tanto e da tanto del principio “once only”, bene: individuiamo un set di requisiti base che debbono essere obbligatoriamente presenti in ciascun bando di gara, finanche pubblicato in autonomia da una Amministrazione, in modo tale da armonizzare tutti gli universi coinvolti.