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Archivi della PA, aria di innovazione: certificazioni, eIDAS, cosa cambierà



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La tribolata convivenza tra modello archivistico e digitalizzazione oggi affronta le stimolanti prospettive dell’intelligenza artificiale, dell’arricchimento e della condivisione: ecco lo scenario

Pubblicato il 22 lug 2024

Roberto Marchiori

Referente gestione documentale e privacy della Camera di Commercio di Pordenone-Udine, socio Anorc Professioni



archiving

Gli archivi della PA sono esposti a venti di cambiamento che devono fare i conti con il solido impianto che a sua volta trova le basi nella memoria e nel patrimonio culturale dello Stato.

Attualmente gli archivi sono strutturati secondo un modello nato in epoca analogica ma devono affrontare da un lato la digitalizzazione, dall’altro i procedimenti amministrativi. Inoltre devono garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle persone a cominciare dalla protezione dei dati personali. Prima di esaminare le prospettive di sviluppo e trasformazione è necessario fare un po’ d’ordine.

Archivi della PA, cosa dice la legge

Il Codice dei Beni Culturali – DLgs.42/2004 – fornisce una definizione di bene culturale molto ampia. L’art. 10.2.b comprende ab origine tra i beni culturali “gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico”. Ne seguono specifici obblighi conservativi. Un archivio, non è banalmente un insieme di documenti variamente accatastati ma un complesso organizzato le cui unità minime indivisibili normalmente sono i fascicoli di documenti. I documenti non stanno mai da soli, devono essere legati tra loro in un vincolo archivistico relativo a un singolo affare, attività o procedimento amministrativo.

I procedimenti amministrativi disciplinati dalla L.241/1990 si saldano e vengono provati da documenti amministrativi e fascicoli regolati dal DPR 445/2000. Gli archivi della Pubblica Amministrazione, almeno nella loro parte di attività corrente, da quasi vent’anni sono stati investiti da una serie innovazioni che li hanno condotti verso la dematerializzazione, cioè processi che fanno pesantemente uso di informatica.

Archivi e dematerializzazione

Sfatiamo subito un mito negativo sulla quantità di carta necessaria all’attività ordinaria delle Pubbliche Amministrazioni. Gli enti pubblici e gli enti privati assimilati ai sensi del CAD art.2 sono tenuti ad attivare estesa dematerializzazione su due fronti: la formazione dei documenti e i rapporti con le imprese. Vediamoli separatamente.

  1. Le Pubbliche Amministrazioni formano – cioè sono obbligate a formare – gli originali dei propri documenti con mezzi informatici. Il disposto è quello del CAD Art.40 ed è di una chiarezza cristallina. Va da sé che, dopo aver formato i documenti, anche le comunicazioni tra diverse Pubbliche Amministrazioni non può che avvenire che con mezzi informatici.
  2. Le comunicazioni tra imprese e le Pubbliche Amministrazioni avvengono – cioè devono avvenire – esclusivamente con mezzi informatici. Anche in questo caso il CAD all’art.5-bis è di estrema chiarezza. Da questo disposto rimangono esclusi i cittadini, cioè soggetti che non siano né Pubbliche Amministrazioni né imprese. In questo caso i cittadini hanno diritto a pretendere che le Pubbliche Amministrazioni interagiscano con mezzi informatici. Si tratta solo di un diritto che va esercitato altrimenti i cittadini possono continuare a utilizzare le forme tradizionali di comunicazione previste dal Dpr.44/2000 art.38.

Gli archivi sono costituiti da aggregazione di documenti ed è il caso di ricordare che il concetto stesso di documento elettronico è stato profondamente rivisto dal Regolamento eIDAS. Su questo concetto, le norme nazionali hanno costruito di quello di documento informatico in quanto produttivo di effetti giuridici, di documento amministrativo informatico e di documento in senso archivistico.

Tutti i documenti delle Pubbliche Amministrazioni costituiscono archivi che devono essere trattati con gli strumenti dell’archivistica. Archivistica e gestione documentale hanno intelaiature differenti che si basano su modelli storicamente differenti.

Il modello archivistico

L’archivistica in Europa continentale, con un contributo importante dell’Italia fin dal XVI secolo, distingue gli archivi in tre parti: corrente, di deposito, storico. L’archivio corrente, nelle parole di Paola Carucci e Maria Guercio, accoglie documenti “necessario supporto informativo-documentario per lo svolgimento efficiente della propria attività sia a fini interni che a fini giuridici e di trasparenza amministrativa”. La fase successiva è quella dell’archivio di deposito, contiene i documenti non più necessari all’attività corrente e, dopo le operazioni di selezione-scarto, alimenta la fase finale dell’archivio storico.

La regola base è l’unicità della direzione del versamento da una fase all’altra in cui, per esempio, un documento già in fase di deposito non può tornare a far parte dell’archivio corrente. Naturalmente può essere consultato o esibito ma non può cambiare stato. La figura successiva illustra a blocchi questa tripartizione funzionale degli archivi.

Figura 1 – Le fasi degli archivi hanno proprie funzioni e permettono operazioni differenti.

Il sistema di gestione documentale

La gestione documentale degli enti pubblici che, ripeto, non può che essere nativamente informatica, presenta una struttura che assomiglia più ai blocchi funzionali delle piattaforme elettroniche. Il ruolo centrale è rivestito dal SGD, Sistema di gestione documentale, che si incarica di aggregare i documenti, di dare una classificazione a norma e di assegnarli ai vari uffici.

L’assegnazione corrisponde all’assunzione di responsabilità dei funzionari della Pubblica Amministrazione come vengono individuati dalle norme sui procedimenti amministrativi (essenzialmente la L.241/1990) e dall’organizzazione stessa degli Enti Pubblici. Attraverso il sistema di gestione documentale avviene la connessione tra l’archivistica e il diritto amministrativo. Il sistema di gestione documentale interagisce con gli strumenti della comunicazione informatica ed è collegato con la conservazione. La conservazione corrisponde funzionalmente per molti aspetti all’archivio di deposito.

Figura 2 – La gestione documentale degli Enti Pubblici vede un ruolo centrale dei SGD, Sistemi di Gestione Documentale, ovvero piattaforme che sono collegate – a sinistra dello schema – al versamento a conservazione e – a destra dello schema – sono alimentate dalle caselle PEC/REM IT e dagli altri strumenti di comunicazione informatica.

La relazione tra i due sistemi

Il coordinamento tra i due modelli, quello archivistico e quello della gestione documentale, non è sempre agevole. Cito i due aspetti di maggior impatto: documenti analogici e norme fiscali.

  1. Il CAD con gli articoli dal 22 in poi stabilisce le regole da applicare per la convivenza con i documenti cartacei. La convivenza tra documenti elettronici/informatici e documenti analogici/cartacei non è semplice. Pensiamo ai formati grafici o ai metadati oppure alla massa di documenti cartacei gestiti in passato dalle Pubbliche Amministrazioni e che, una volta versati negli archivi di deposito, non hanno ancora subito o non possono subire le operazioni di selezione e scarto.
  2. A complicare il quadro ci pensano anche le norme fiscali. Pensiamo ai libri contabili e fiscali per i quali vale la differenza tra “conservazione” definita dal Codice Civile art.2220 e che richiede sia la firma elettronica qualificata del Responsabile della Conservazione sia l’apposizione di una marca temporale e la “formazione e tenuta” dell’art.2215-bis che richiede la firma dell’imprenditore ma non dice nulla sulla marca temporale. Una distinzione corretta sul piano civilistico ma anomala per l’impianto generale della gestione documentale.

Dematerializzazione massiva

La dematerializzazione massiva riguarda i documenti che o non sono stati formati nativamente digitali oppure, se dematerializzati, non è stato possibile effettuare il raffronto uno-a-uno ai sensi del CAD art.22 comma 1-bis, o se documenti amministrativi informatici, del CAD art.23-ter.

La dematerializzazione massiva può essere effettuata solo a fronte di una certificazione preventiva del processo da parte delle Soprintendenze Archivistiche regionali. Si tratta di una certificazione di risultato e il risultato è la conformità della copia informatica al documento originale analogico. È regolata dall’allegato 3 delle Linee Guida dell’Agid e dal Modello di certificazione che le Soprintendenze sono tenute a seguire. Si tratta della recente Circolare 26/2024 emessa dopo una gestazione pluriennale dalla Direzione Generale Archivi del Ministero della Cultura. La circolare puntualizza fin da subito che le sue disposizioni sono a integrazione, non in sostituzione, di quelle dell’allegato 3 delle Linee Guida. E sono disposizioni molto onerose, decisamente non alla portata di una parte importante di Enti Pubblici.

A titolo di esempio, le imprese incaricate dovranno essere certificate ISO 9001 e ISO 27001, rispettivamente per i sistemi di gestione della qualità e della sicurezza delle informazioni. Inoltre, è necessaria l’individuazione di almeno undici figure professionali diverse a cui attribuire diversi compiti, oneri e responsabilità. Si va dai soggetti produttori, ai soggetti che eseguono la scansione, a quelli che eseguono i controlli a campione. Vanno descritte le forme di integrazione con le piattaforme di gestione documentale, quelle con il processo di conservazione e, udite-udite, anche con quello di selezione e scarto degli oggetti documentali. Segnalo che questa attività non è stata ancora regolata e pertanto nessun Ente Pubblico ha ancora legittimante scartato nulla.

Dalla certificazione alla conservazione

L’attività di dematerializzazione deve prevedere una certificazione iniziale, cioè un’attività che comporta la generazione di un codice univoco da inserire tra i metadati di ciascun documento. Ad acquisizione avvenuta, deve prevedere un rapporto di verificazione che deve essere firmato con firma elettronica qualificata. Se la firma viene apposta da un notaio o da un pubblico ufficiale, ha valore probatorio privilegiato, ovvero fino a querela di falso ai sensi del Codice Civile art.2700. Se firma un’altra persona, magari il legale rappresentante di un’impresa, il valore probatorio è semplice e vale fino al disconoscimento della firma.

Per finire questo quadro già abbastanza pesante, la dematerializzazione massiva deve essere completata dalla conservazione a norma. Attenzione, non dall’attuale sistema di conservazione ma dall’e-Archiving europeo ai sensi di eIDAS 2. Anche per questo, di dematerializzazione massiva non si parlerà per almeno un altro uno o due anni quando verrà completato il percorso di standardizzazione europea dei processi e delle piattaforme di conservazione. L’unica buona notizia è che l’e-Archiving probabilmente verrà sviluppato sul modello della conservazione nazionale.

Perché non si può fare la dematerializzazione massiva

Per riassumere, al momento, la dematerializzazione massiva non può essere attuata per tre motivi:

1. è estremamente onerosa sia in termini finanziari sia negli aspetti organizzativi e delle responsabilità.

2. Richiede una certificazione di processo preventiva da parte delle Soprintendenze Archivistiche basata su modello che è stato rilasciato da poco e pertanto tutto da interpretare e applicare ai casi concreti.

3. La certificazione di processo è comunque legata all’e-Archiving, cioè la conservazione quale servizio fiduciario qualificato di tipo europeo il cui percorso di standardizzazione si concluderà tra un anno.

Le sperimentazioni in corso

Pur con questo quadro, le sperimentazioni vengono effettuate e sono in grado di fornire indicazioni utili su più piani. Segnalo le due importanti esperienze di cui Agenda Digitale ha dato giusta notizia. Il primo è dell’Ospedale Cardarelli di Napoli che ha intrapreso un progetto pilota di dematerializzazione massiva di 20mila cartelle. Un numero importante che, tuttavia, costituisce solo 0,4% del totale delle cartelle dematerializzabili. Ricordo che la dematerializzazione massiva in teoria dovrebbe riguardare solo il materiale documentario non già formato digitalmente e non già confluito sul fascicolo sanitario elettronico. Il secondo caso è quello del Comune di Chieri che ha dematerializzato l’archivio edilizio collegandolo ai sistemi GIS e al Piano regolatore.

Le sperimentazioni inducono due considerazioni:

1. La dematerializzazione massiva comporta il trattamento di volumi monumentali di documenti con una struttura dei costi che sperabilmente saranno decrescenti per via delle economie di scala. Giova ricordare che, quanto ai costi marginali, un archivista ragiona in termini di unità documentarie mentre un’impresa incaricata della fase “bruta” di dematerializzazione ragiona in termini di metri lineari di documenti da scandire con costi dell’ordine delle centinaia di euro per ogni metro lineare a carico dell’Amministrazione.

2. Nessuno ha ancora scartato i documenti analogici. I documenti produttivi di effetti rimangono quelli originali cartacei perché nessuna Soprintendenza Archivistica darebbe mai l’assenso alla selezione-scarto sulla base di Linee Guida appena pubblicate ma su cui non abbia ancora certificato il processo.

Conservazione ed e-Archiving

Attualmente la conservazione a norma dei documenti informatici è regolata dalle Linee Guida dell’Agid e da numerose norme tecniche e indicazioni specifiche. Purtroppo la “nostra” conservazione non era confluita tra i servizi fiduciari previsti dal Regolamento eIDAS (Regolamento UE 2014/910). Ai tempi della redazione del Regolamento, più di dieci anni fa, l’Italia aveva dimostrato una certa debolezza negoziale in sede europea perché, pur avendo ben tre fattori di forza da spendere – firme, PEC e conservazione – ne vedeva accolto solo uno.

La Commissione aveva approvato in pieno solo il “nostro” quadro delle identità digitali e ricordo che la “nostra” firma digitale rappresentava l’esempio più solido di firma elettronica qualificata che, a sua volta, è il livello più solido tra le firme elettroniche. La Commissione Aveva accolto solo in parte la PEC tra i servizi ERDS di tipo postale ma non qualificato costringendo a un laborioso negoziato di standardizzazione tecnica che si è concluso solo di recente con la REM IT. Era andata molto male con la conservazione. Quella prevista in sede europea riguardava solo il servizio fiduciario per conservare, cioè mettere in sicurezza i certificati di firma, una parte miserrima di un qualunque archivio informatico e, oltre a tutto, una responsabilità neppure molto sentita visto che dalla Germania era partita la diffusione dei certificati LT ed LTA mentre in Italia i sistemi di gestione documentale assolvono già a molte funzioni di sicurezza nel lungo periodo.

Oggi ci troviamo in una situazione analoga alla PEC prima della normazione europea e della sua evoluzione in REM IT. La conservazione a norma, come prevista in Italia, non è un servizio fiduciario qualificato a livello comunitario e per diventarlo si trova di fronte a un complesso lavoro di standardizzazione tecnica che la porterà verso l’e-Archiving. La buona notizia è che il percorso di standardizzazione europea sembra partire proprio dal servizio italiano di conservazione. Pertanto vediamolo da vicino e cerchiamo di capire cosa ci aspetta.

Il modello OAIS

Il modello OAIS – Open Archival Information System – è previsto dallo standard tecnico internazionale ISO 14721 del 2012. Dall’anno scorso è in fase di sviluppo una versione più aggiornata. Lo standard definisce la base per la gestione a lungo termine di informazioni digitali ed è stato accolto dalle Linee Guida dell’Agid sui documenti informatici ma lo era già dal precedente e attualmente superato DPCM 03/12/2013 sulla conservazione.

In questa sede vanno evidenziati due aspetti che quasi sicuramente ritroveremo nella nuova formulazione: modello funzionale e pacchetti di archiviazione. Vediamoli separatamente.

1. Il modello funzionale di OAIS prevede sei distinte entità funzionali a cui corrispondono compiti diversi. Segnalo le due più intuitive: “ingest” per l’acquisizione delle informazioni fornite dal “producer” e “access” per la loro diffusione all’esterno verso il “consumer”. Il modello ha il pregio di separare nettamente l’entità “archival storage” di archiviazione in senso stretto da quella di “data management” per l’indicizzazione e la metadatazione degli archivi.

2. Gli scambi di dati tra le entità funzionali avvengono per il tramite di pacchetti di archiviazione la cui struttura è definita dallo standard nazionale UNI 11386 aggiornato nel 2020 con un lavoro di coordinamento che ha portato l’Agid ad emettere un illuminante documento nel 2022. Lo standard definisce i pacchetti “SInCRO” – Supporto Interoperabilità Conservazione e Recupero Oggetti (digitali) – con la funzione di definire in modo uniforme semantica e struttura per la conservazione e la migrazione dei dati. Le Linee Guida dell’Agid sui documenti digitali definiscono con chiarezza sia i ruoli e le responsabilità nel processo di conservazione sia la corrispondenza tra i pacchetti del modello OASI con quelli del modello italiano di conservazione. I pacchetti sono tre:

– SIP (Submission Information Package) corrisponde al Pacchetto di versamento;

– AIP (Archival Information Package) corrisponde al Pacchetto di archiviazione descritto dallo standard UNI SInCRO;

– DIP (Dissemination Information Package) corrisponde al Pacchetto di distribuzione da utilizzare nell’esibizione a norma.

Figura 3 – L’Italia, nell’accogliere il modello OAIS, ha definito ruoli e responsabilità delle persone e delle organizzazioni. Nel definire la corrispondenza tra pacchetti di scambio, precisa quella tra Pacchetti di archiviazione e l’AIP – Archival Information Package – definito dallo standard UNI SInCRO.

Cosa cambia con eIDAS 2

L’e-Archiving è stato introdotto dalla nuova versione del Regolamento eIDAS, cioè dalla versione integrata dal recente Regolamento UE 2024/1183 in vigore dal 20 maggio. Gli articoli 45-decies e 45-undecies ne definiscono gli effetti giuridici senza e con qualifica mentre il 19-bis introduce nuovi e importanti oneri per i tutti prestatori di servizi non qualificati tra cui l’aderenza alla Direttiva NIS 2 sulla cybersicurezza (Direttiva UE 2022/2555 che andrà recepita entro il 24 ottobre di quest’anno).

Come lavoro preparatorio nel triennio 2014-2017 l’Unione aveva promosso il progetto E-ARK – European Archival Records and Knowledge preservation – a cui, unico attore nazionale, aveva contribuito il Polo Archivistico dell’Emilia Romagna.

Entro il 25 maggio 2025 la Commissione emetterà appositi atti di esecuzione mentre la normazione tecnica procede sulla base del Progetto E-ARK che come detto e oltre ad altri standard ETSI, sostiene il modello OAIS che è quello adottato dall’Italia. Allo stato attuale l’e-Archiving prevede l’importante novità sui soggetti che potranno accedere (“access”) ai dati: non solo i “consumer” ma anche servizi qualificati eIDAS. Si intravvede così una forma di interoperabilità, se non per il versamento, almeno per la consultazione tra sistemi di conservazione.

Modelli archivistici a confronto

La strutturazione degli archivi sulle tre fasi è tipica dell’Europa Continentale dove è nata è si è strutturata con il contributo di molti. Le fasi dell’archivio corrente e quella dell’archivio di deposito assolvono il ruolo di prova delle situazioni giuridiche mentre la fase dell’archivio storico si pone l’obiettivo di essere depositaria della memoria storica collettiva.

Si tratta di una organizzazione che sembra scontata ma che nella realtà non è l’unica possibile. Ci sono almeno altre due famiglie di modelli: l’anglosassone e il records continuum. Vediamoli da vicino.

– il modello anglosassone prevede tre fasi ma distribuisce diversamente le funzioni. La prima (conception) richiede di anticipare scelte che normalmente verranno fatte solo in fase di conservazione. La seconda (creation) corrisponde grosso modo alla fase di archivio corrente mentre la terza (maintenance) assomma funzioni dell’archivio di deposito e quello storico.

– modello Records Continuum. Si tratta di una proposta relativamente recente nata in ambito accademico australiano, ancora una volta area di common law. Il modello parte dall’osservazione che le normali attività tendono a trasformare i documenti in più semplici evidenze a loro volta parti di un flusso. Queste evidenze possono diventare parte di altri flussi spingendo per un riutilizzo circolare delle informazioni e dei documenti. Si tratta di un approccio comodo dal punto di vista tecnologico ma che espone gli archivi a una instabilità molto lontana dalla nostra concezione.

Va da sé che in un mondo interconnesso tramite le tecnologie dell’informazione, si avviciniamo a una relazione dialettica tre i tre modelli in cui andranno considerati sia i modelli di interoperabilità sia il valore giuridico sia il valore storico degli oggetti documentari provenienti da altri contesti e altri modelli.

Dati e intelligenza artificiale

Logica vorrebbe che gli archivi delle Pubbliche Amministrazioni fossero interconnessi e interoperabili. In effetti negli anni si sono succeduti molti tentativi compreso una modifica importante del CAD per creare un archivio degli archivi documentali. Si era trattato di una proposta precoce e del tutto inattuabile, successivamente sostituita dal progetto DAF, Data Analytics Framework, a sua volta incarnato nell’attuale PDND, Piattaforma Digitale Nazionale Dati. Ma c’era stata anche la promessa del web semantico, collegato agli open data, caduto per eccesso di complessità. Era nato con le migliori premesse di sistematizzare tutto ed è finito nel disinteresse generale malgrado le poche significative applicazioni reali.

L’irrompere dell’intelligenza artificiale delinea due profili di attività: redazione di documenti e valorizzazione dei dati:

– L’attività amministrativa degli Enti Pubblici si basa spesso sulla redazione di documenti la cui struttura è standardizzata dalle norme e dalla prassi. Pur preceduti da attività istruttorie di complessità molto variabile, il prodotto è costituito spesso da documenti molto simili tra di loro con parti addirittura sovrapponibili. Nella redazione dei documenti l’intelligenza artificiale generativa, basandosi sul patrimonio documentale già esistente, può giocare un ruolo importante riconosciuto dallo stesso Piano Triennale.

– Gli Enti Pubblici sono seduti su un patrimonio informativo enorme. Se non in archivi strutturati, questi dati sono sparsi su ambienti e piattaforme diverse, non collegati o di difficile accesso. Molti Enti Pubblici, spesso tramite le società informatiche in house, hanno intrapreso esperimenti di Machine Learning per il reperimento delle informazioni e per il loro arricchimento e valorizzazione.

Entro quest’anno, come disposto dal Piano Triennale, l’Agid emetterà le linee guida per selezionare i progetti replicabili di utilizzo dell’intelligenza artificiale nei tre aspetti dell’adozione, del procurement e dello sviluppo di applicazioni di intelligenza artificiale. Si tratta di ben 150 progetti potenzialmente replicabili l’anno prossimo e ben 400 l’anno successivo. In questo contesto di attesa dall’Agid, molti Enti Pubblici si stanno muovendo con progetti autonomi che sembrano riguardare più la redazione e la gestione dei documenti strutturati che la valorizzazione e l’arricchimento dei dati. Si tratta di progetti in ordine sparso che trovano una giustificazione nell’hype – grande interesse – per l’intelligenza artificiale ma dai contorni, dalla sostenibilità e dalla replicabilità ancora non ben definiti.

Conclusioni

Le sfide sono tante e si rincorrono, pensiamo al momento di grande attenzione sulle blockchain con cui sembrava avremmo risolto almeno metà dei problemi di certificazione del dato. L’hype per fortuna si è sgonfiato dando spazio a iniziative strutturate come quella di EBSI, European Blockchain Services Infrastructure, per la creazione di nuovi servizi delle Pubbliche Amministrazioni, o la corrispondente italiana IBSI.

Gli archivi del futuro della Pubblica Amministrazione saranno necessariamente ibridi digitale-cartaceo e in questo senso vanno le indicazioni dell’Agid che coordina il Tavolo di lavoro sui Poli di conservazione (digitale) che si occupa anche dei database oppure l’esperienza della Cittadella degli Archivi (analogici) a Milano.

Se vogliamo trarre un insegnamento delle varie ondate di interesse, e oggi al centro di tutto c’è l’intelligenza artificiale, è che le novità si accavallano ma le Pubbliche Amministrazioni devono tenere la barra a dritta costituita dalla solida tradizione archivistica e dall’impianto del diritto amministrativo. Ci è già successo di rischiare con una improvvida modifca del CAD di parecchi anni fa quando sembrava che, una volta dematerializzati i documenti, si potessero semplicemente gettare gli originali analogici. Per fortuna allora non se ne fece nulla.

Nel breve e medio periodo, la direzione è segnata dalla certificazione di processo per dematerializzazione massiva e dall’e-Archiving europeo. Al tempo stesso, iniziative di grande interesse di machine learning e IA generativa pongono sfide e stimoli molto interessanti che andranno a completare un quadro già definito ma niente affatto statico.

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