Non è semplice individuare un percorso lineare nelle nuove proposte di modifica del Codice dell’amministrazione digitale che il governo ha in questi giorni predisposto e trasmesso alle commissioni parlamentari per il successivo iter di approvazione. Ci sono questioni che sono state affrontate per necessità al fine di assicurare la piena rispondenza delle disposizioni tecniche ai nuovi regolamenti europei in materia di documento elettronico e privacy, ma non mancano, nel nuovo testo, correttivi e interventi anche rilevanti, che non rispondono a quell’esigenza e per i quali è giusto interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto gli estensori della normativa a intervenire e sulla loro opportunità.
In questa sede, l’ambito di riflessione si concentra sulla digitalizzazione degli archivi e sui requisiti previsti per la loro formazione, gestione e conservazione. Un tema da sempre centrale, che rinvia a nodi non eludibili nel percorso verso la trasformazione digitale del Paese, come dimostra il ventennio che abbiamo alle spalle, caratterizzato da continui interventi del legislatore, alcuni dei quali – i più recenti – apprezzati dalle amministrazioni e dal mercato grazie al faticoso confronto di cui sono il risultato conclusivo. In molti abbiamo sperato che fosse giunto il momento di sospendere la produzione di norme (se non per aspetti di aggiornamento e coerenza), ma così non è stato. Sia il CAD sia il Piano triennale (su un piano diverso e, per fortuna, con diverse conseguenze possibili) propongono nuove soluzioni e nuovi strumenti anche nell’ambito circoscritto della digitalizzazione.
Su queste pagine ho più volte sottolineato che la produzione e la conservazione di patrimoni documentari digitali ha bisogno di un confronto serio, costante e correttamente gestito in sede istituzionale, come del resto è avvenuto e avviene in tutti i paesi europei.
Mi limiterò quindi a ricordarlo ancora e a invitare le amministrazioni responsabili – Agenzia per l’Italia digitale, Dipartimento della funzione pubblica, il Team per la trasformazione digitale (finché avrà vita) e il Garante per la protezione dei dati personali – a dar vita, in forme adeguate ed efficienti, a un’azione di coordinamento che sappia coniugare aspetti organizzativi, tecnico-informatici e tecnico-archivistici. Per ora, purtroppo, dobbiamo di nuovo fare i conti con l’auto-referenzialità di una proposta normativa che ha avuto senza dubbio il placet di Agid, del DPF e del Team senza che i proponenti sentissero il bisogno di un confronto allargato, coinvolgendo ad esempio l’amministrazione archivistica e, in particolare, la Direzione generale degli archivi (più che l’Archivio centrale dello Stato che costituisce una delle articolazione della Direzione e ha compiti limitati rispetto all’esigenza complessiva di digitalizzare i flussi e le forme di documentazione nel settore pubblico).
Eppure è al Ministero per i beni culturali e, nello specifico, al settore archivistico guidato dalla citata DGA che spetta per legge una funzione di tutela generale e vigilanza su tutto il patrimonio documentario prodotto dalla PA e in tutte le fasi di gestione, a prescindere dalla natura dei supporti e dei formati, come chiaramente stabilito dal Codice dei beni culturali. La questione è rilevante sul piano generale e merita quindi un approfondimento futuro. Acquista peraltro peso anche in questo primo lavoro di analisi del nuovo CAD, perché ci aiuta a comprendere (certo non a giustificare) da un lato alcune modifiche e integrazioni contenute nella bozza licenziata pochi giorni fa dal Consiglio dei ministri, dall’altro gli errori contenuti nel Piano triennale, ad esempio in materia di conservazione a lungo termine e conservazione perenne.
Nel nuovo Codice, per fortuna (data l’auto-referenzialità del processo seguito per la revisione del testo), gli interventi relativi alla specifica dimensione documentale e archivistica sono molto limitati, se si esclude la decisione di modificare l’iter finora adottato per la regolamentazione tecnica: la produzione di disposizioni tecniche di natura generale è affidata d’ora in poi a semplici linee guida gestite direttamente da Agid, senza quindi il confronto formale previsto dalle passate regole tecniche che venivano adottate con un provvedimento del presidente del Consiglio dei ministri e quindi attraverso un confronto formalmente definito con le amministrazioni competenti. Il percorso di approvazione, disegnato nella nuova formulazione dell’articolo 71, prevede che l’Agid, “previa consultazione pubblica da svolgersi entro il termine di trenta giorni, sentiti le amministrazioni competenti [quali?] e il Garante per la protezione dei dati personali nelle materie di competenza, nonché acquisito il parere [vincolante?] della Conferenza unificata, adotti linee guida contenenti le regole tecniche e di indirizzo” per l’attuazione del Codice. La scelta, presumibilmente legata all’esigenza di semplificare e accentrare le procedure, non può non destare qualche preoccupazione, anche se non sorpresa, data la tendenza crescente ed evidente da alcuni anni in Italia verso una riduzione progressiva della volontà (capacità?) di gestire un confronto concreto e operativo tra gli stakeholder. Anche la sostituzione della Conferenza permanente per l’innovazione tecnologica (peraltro di scarsa efficacia e nessuna visibilità in questi dieci anni di vita) con una piattaforma gestita da Agid “per la consultazione pubblica e il confronto tra i portatori di interesse in relazione ai provvedimenti connessi all’attuazione dell’agenda digitale” (articolo 18 del CAD) sembra rientrare in uno schema analogo.
Tra le modifiche proposte in materia di documenti e archivi digitali meritano una particolare attenzione alcune disposizioni specifiche:
- la volontà di sostenere in modo esplicito la conformità di processo nelle attività di riproduzione e copia dall’analogico al digitale (articoli 22 e 23-ter) e, in generale, di rafforzare le modalità di verifica che consentono la verifica delle comunicazioni in assenza di firme digitali: l’articolo 23 comma 2-bis stabilisce che i soggetti (pubblici o privati) “che procedono all’apposizione del contrassegno di cui al presente comma rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo”;
- la riscrittura degli articoli 44 e 44-bis sulla gestione e conservazione dei documenti digitali;
- la decisione di dar vita a un sistema nazionale di ricerca documentale (articolo 40- Sistema di ricerca documentale), “promosso” dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con la finalità di “facilitare la ricerca dei documenti soggetti a registrazione di protocollo ai sensi dell’articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e di cui all’articolo 40-bis e dei fascicoli dei procedimenti di cui all’articolo 41, nonché a consentirne l’accesso on-line ai soggetti che ne abbiano diritto ai sensi della disciplina vigente”.
Mentre nei primi due casi, il nuovo testo sembra fare chiarezza rispetto alle ambiguità delle precedenti formulazione, non altrettanto si può dire a proposito dell’inaspettato e incomprensibile articolo 40-ter. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, nonostante la lunga esperienza che ho maturato nel settore, devo confessare che non sono riuscita a capire in che cosa consista un sistema nazionale di ricerca documentale che prescinda dagli strumenti di natura archivistica del tutto ignorati dalla nuova disposizione (piano di classificazione e piano di fascicolazione, repertoriazione dei documenti, requisiti funzionali per la ricerca previsti dalle piattaforme software esistenti). Né riesco a trovare ragioni convincenti per l’insistenza (quasi ossessiva: articoli 40-ter, 41, 44) con cui ci si sofferma su soluzioni tecniche che comunque dovranno essere oggetto di ulteriori specifiche definite nelle linee guida promosse da Agid. Perché rendere obbligatorio un sistema senza chiarirne natura, obiettivi, limiti e condizioni? C’è da augurarsi che i responsabili della proposta siano più consapevoli di quanto non appaia nel testo della disposizione che sembra prefigurare la creazione di un immaginifico sistema di indicizzazione universale, degno di qualche sperimentazione accademica, non certo di un servizio imposto a tutte le pubbliche amministrazioni. Una breve ricerca in rete restituisce del resto ben poco in questo campo, a parte il caso operativo di ‘sistema di ricerca documentale’ costituito dalla banca dati Italgiure elaborata e gestita dalla Corte di cassazione in un contesto alquanto circoscritto e contestualizzato.
Sarà necessario leggere la relazione introduttiva al provvedimento per capire l’origine e gli obiettivi concreti di questa ultima fantasiosa proposta, i cui esiti non sembrano certo promettenti. Se queste sono le premesse per la nuova fase di regolamentazione tecnica, sarà necessario vigilare con grande attenzione perché non si trascurino le buone pratiche e i principi consolidati in nome di innovazioni prive di fondamento e sperimentazione. La transizione implica certamente dinamicità e ricerca di nuovi equilibri, ma il successo dipende dalla partecipazione e dalla motivazione delle persone e delle organizzazioni coinvolte.