Il vademecum

Avvocati e misure antiriciclaggio, istruzioni per l’uso

Gli avvocati sono tenuti, rispettando la normativa attuale sul tema, ad avere un ruolo proattivo nello svolgere adeguate procedure di contrasto al riciclaggio e finanziamento del terrorismo: ecco le regole

Pubblicato il 06 Feb 2020

euro antiriciclaggio

Se è vero che l’obiettivo degli studi legali non è quella di contrastare l’attività illecita di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, è altrettanto vero che l’avvocato, spesso operante all’interno di uno studio multidisciplinare, è chiamato, alla luce della attuale normativa di riferimento, a svolgere un ruolo proattivo sia nella definizione di politiche e procedure di contrasto interno al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo, sia nella consulenza legale e di analisi di specifiche operazioni al fine di una valutazione di conformità alla normativa.

Il contesto anti riciclaggio

Il 10 novembre 2019 è entrato in vigore il D.Lgs. 125/2019 (G.U. n. 252 del 26 ottobre 2019) che ha recepito la V direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che aveva modificato la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Si tratta, in sostanza, dell’ultimo tassello normativo in materia di antiriciclaggio che va ad impattare, tra gli altri, anche sugli studi legali, siano essi strutturati in maniera individuale che in forma associata o societaria.

La disciplina sull’antiriciclaggio si pone come specifico obiettivo quello della prevenzione e contrasto dell’uso del sistema economico e finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo. A tal fine le norme attualmente in vigore prevedono l’applicazione di misure volte a tutelare da un lato l’integrità del sistema economico e finanziario, e dall’altro la correttezza dei comportamenti degli operatori tenuti alla loro osservanza. Le misure previste dall’attuale normativa sono proporzionate al rischio in relazione al tipo di cliente, all’eventuale rapporto continuativo con lo stesso, alla prestazione professionale, al prodotto o alla transazione, e la loro applicazione tiene conto della peculiarità dell’attività, delle dimensioni e della complessità proprie di quei soggetti che, in quanto obbligati, adempiono agli obblighi previsti a loro carico dal D.Lgs. 231/07, considerando i dati e le informazioni acquisite o possedute nell’esercizio della propria attività istituzionale o professionale.

Il ruolo degli ordini professionali per l’anti riciclaggio

Il D.Lgs. 90/2017, di recepimento della direttiva (UE) 2015/849 (la c.d. IV direttiva), nonché la V direttiva 2018/843 e il D.Lgs. 125/19 relativo al suo recepimento, attribuiscono agli organismi di autoregolamentazione, ma anche alle loro articolazioni territoriali e ai consigli di disciplina, nuovi e stringenti poteri regolamentari e sanzionatori esercitabili nei confronti di tutti gli iscritti. L’art. 1 comma 2 aa) del D.Lgs. 231/07, così come modificato dal D.Lgs. 90/2017, definisce l’organismo di autoregolamentazione come l’ente esponenziale, rappresentativo di una categoria professionale, ivi comprese le sue articolazioni territoriali e i consigli di disciplina cui l’ordinamento vigente attribuisce poteri di regolamentazione, di controllo della categoria, di verifica del rispetto delle norme che disciplinano l’esercizio della professione e di irrogazione, attraverso gli organi all’uopo predisposti, delle sanzioni previste per la loro violazione.

Alla luce di tale definizione appare evidente che per gli avvocati l’organismo di autoregolamentazione è rappresentato dal Consiglio Nazionale Forense. Gli Ordini professionali sono quindi responsabili della elaborazione e dell’aggiornamento delle c.d. regole tecniche in materia di procedure e metodologie di analisi e valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo cui i professionisti sono esposti nell’esercizio della propria attività. In sostanza si tratta di fornire un chiarimento a tutti gli iscritti sulla effettiva portata e sulla applicazione della normativa in vigore in materia di antiriciclaggio. Il ruolo dell’ordine professionale, quindi, diventa ancora più importante in quanto da un lato viene chiamato a chiarire gli effetti della inosservanza degli obblighi antiriciclaggio con conseguente applicazione delle sanzioni previste, e dall’altro diventa soggetto deputato alla semplificazione di tali obblighi attraverso una facilitazione applicativa in modo da favorire il normale svolgimento dell’attività professionale da parte dell’iscritto. La riforma della normativa antiriciclaggio, attuata attraverso il recepimento della IV e della V direttiva, ha infatti attribuito agli organismi di autoregolamentazione veri e propri poteri sanzionatori a fronte di gravi violazioni, ripetute o sistematiche, ovvero plurime degli obblighi posti dalla legge medesima e delle relative disposizioni tecniche di attuazione. Altra importante novità riguarda poi la possibilità che gli Ordini professionali possano ricevere le segnalazioni di operazioni sospette da parte dei propri iscritti, in vista del successivo inoltro alla Unità di informazione finanziaria per l’Italia (UIF), e siano tenuti a informare prontamente quest’ultima in merito a situazioni ritenute correlate a fattispecie di riciclaggio di cui vengono a conoscenza nell’esercizio della propria attività. Inoltre gli Ordini dispongono di poteri di controllo e sanzionatori, in ambito disciplinare e deontologico, in materia di antiriciclaggio. Appare evidente, pertanto, la volontà del legislatore di assegnare agli Ordini, ma anche alle loro articolazioni territoriali e ai consigli di disciplina, un ruolo di primo piano nella fase di attuazione della normativa antiriciclaggio che pone tali organismi in prima linea nella applicazione della suddetta normativa e, inevitabilmente, nella lotta al fenomeno del riciclaggio. Da qui i poteri conferiti, ma anche più stringenti responsabilità, con conseguente possibilità di applicazione di sanzioni anche importanti nei confronti di quei soggetti che non applicano correttamente la norma.

I soggetti obbligati

L’art. 3 del D.Lgs. 231/07, così come modificato dal D.lgs. 90/2017, individua cinque categorie di soggetti obbligati e tra questi quella dei professionisti. Tale categoria ricomprende, nell’esercizio della professione in forma individuale, associata o societaria, anche gli avvocati (art. 3 comma 4 lettera c). La norma è chiara nell’affermare che gli avvocati sono soggetti obbligati al rispetto della normativa antiriciclaggio quando, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

  • il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
  • la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
  • l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti titoli;
  • l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
  • la costituzione, la gestione, o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

Gli adempimenti antiriciclaggio si applicano non solo nell’esercizio della professione in forma individuale, ma anche nel caso di studi associati oppure nel caso di esercizio della professione in forma di società di persone, di capitali, o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, società il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati (art. 4 bis L 247/2012 Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).

Le attività dell’avvocato

A differenza degli altri soggetti obbligati, non tutte le attività svolte dall’avvocato rientrano in quelle che prevedono l’applicazione della normativa antiriciclaggio. Sono escluse, infatti, la mera redazione e trasmissione ovvero la sola trasmissione delle dichiarazioni derivanti da obblighi fiscali oppure, anche, l’attività relativa agli adempimenti in materia di amministrazione del personale di cui all’art. 2 comma 1 L. 12/1979 (art. 17 comma 7 D.Lgs. 231/07). Fondamentale rammentare che, fermi gli obblighi di identificazione, l’avvocato è esonerato dall’obbligo di verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo fino al momento del conferimento dell’incarico esclusivamente nei casi in cui il professionista esamini la posizione giuridica del proprio cliente o espleti compiti di difesa o di rappresentanza del cliente in un procedimento innanzi un’Autorità giudiziaria, o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare il procedimento (art. 18 comma 4 D.Lgs. 231/07) Allo stesso modo va ricordato che l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette non si applica al professionista che riceve le informazioni dal proprio cliente o che ottiene informazioni su quest’ultimo nel corso dell’esame della sua posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento davanti a un’Autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge, compresa la consulenza sull’eventualità di intentarlo o evitarlo, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso ( art. 35 comma 5 D. lgs. 231/07).

L’avvocato che ricopra l’incarico di componente di un organo di controllo presso un soggetto obbligato, è altresì esonerato dall’obbligo della adeguata verifica, della conservazione e della segnalazione di operazioni sospette (art. 46 comma 2 D. lgs. 231/07) fermo restando l’obbligo di comunicare senza ritardo al legale rappresentante, o a un suo delegato, le operazioni potenzialmente sospette, di cui viene a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni, nonché di comunicare, senza ritardo, alle Autorità di vigilanza di settore e alle amministrazioni e organismi interessati, in ragione delle rispettive attribuzioni, i fatti che possano integrare violazioni gravi e ripetute o sistematiche o plurime delle norme antiriciclaggio, di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni.

Le regole tecniche dettate dal Consiglio Nazionale Forense presentano una elencazione ancora più precisa delle attività professionali escluse dagli obblighi della normativa antiriciclaggio. Esse prevedono:

  • la consulenza stragiudiziale avente ad oggetto atti e negozi di natura non patrimoniali;
  • l’attività di assistenza, difesa e rappresentanza del cliente in giudizio avanti a qualsivoglia Autorità Giudiziaria o Arbitrale, ivi incluse la Mediazione D.Lgs. 28/2010 e la negoziazione assistita ex D.L. 12 settembre 2014 n. 132 e ogni attività a queste prodromica o conseguente, ivi comprese conciliazioni e transazioni;
  • l’attività di assistenza, difesa e rappresentanza in tutte le procedure di natura amministrativa o tributaria;
  • gli incarichi quali amministratore di sostegno ex art. 404 e ss c.c. e 720 bis c.p.c., tutore e curatore ex artt. 414 e ss. C.c. e 717 c.p.c.;
  • gli incarichi quale arbitro rituale o irrituale, curatore fallimentare e commissario giudiziale ex artt. 28 e 165 R.D. 16 Marzo 1942 n. 267);
  • l’incarico di mediatore ex art. 16 D.Lgs. 28/2010, fermi restando gli obblighi di cui all’art. 62 del codice deontologico forense;
  • l’incarico di custode giudiziario ex art. 65 c.p.c. e delegato alle operazioni di vendita ex artt. 534 bis e 591 bis c.p.c.;
  • ogni altra operazione, atto o negozio non espressamente riconducibili all’elencazione tassativa di cui all’art. 3, comma 4, lettera c del D.Lgs. 231/07 così come modificato dal D. Lgs. 90/2017 (regola tecnica n. 2).

Ne deriva che le uniche attività professionali svolte dall’avvocato che rientrano nella normativa antiriciclaggio sono:

  • il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
  • la gestione di denaro strumenti finanziari o altri beni;
  • l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti titoli;
  • l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società;
  • la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi.

La verifica della clientela

La IV Direttiva Antiriciclaggio ha imposto una applicazione della normativa improntata ad un approccio basato sul rischio (Risk based approach). Fermo restando l’obbiettivo principale che rimane quello del contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, il legislatore europeo ha cercato, ribadendolo anche con la V Direttiva, di evitare che l’applicazione delle norme antiriciclaggio si limitasse a meri formalismi perdendo di vista la concretezza della materia. L’attività di adeguata verifica si divide in due parti: 1) l’identificazione del cliente (KNOW YOUR CLIENT – KYC); 2) l’adeguata verifica (Anti Money Laundering – AML). Attraverso la KYC si prova a risalire all’origine dei flussi finanziari, alla loro destinazione, realizzando una vera e propria mappatura dei soggetti interessati e dei loro movimenti. L’AML tenta di implementare il patrimonio di informazioni già acquisito cercando di individuare preventivamente eventuali schemi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; ciò attraverso il sistema delle segnalazioni delle operazioni sospette. L’approccio basato sul rischio (artt. 15 comma 2 e 4 e 16 comma 1, 3 e 4 del D.Lgs. 231/07) impone ai soggetti obbligati, e quindi anche all’avvocato, di adottare procedure antiriciclaggio oggettive e coerenti, commisurate alla natura e alle dimensioni dell’attività svolta. L’avvocato è chiamato ad effettuare una autovalutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo tenendo conto dei fattori di rischio associati alla tipologia di clientela, all’area geografica di operatività, ai canali distributivi, e ai servizi e prodotti offerti. Il documento di autovalutazione, dunque, costituisce per l’avvocato la base su cui operare per adeguare la struttura organizzativa dello studio legale alla mitigazione del rischio.

L’adeguata verifica (Capo I, Sezione I D.lgs. 231/07) consiste in un vero e proprio processo volto a identificare il cliente, ad individuarne il profilo di rischio con conseguente applicazione delle norme dettate dal legislatore nazionale ed europeo. Ricorre l’obbligo di adeguata verifica per l’avvocato quando:

  • si instaura un rapporto continuativo con il cliente;
  • viene conferito un incarico professionale;
  • si esegue un’operazione occasionale che comporti trasmissione o movimentazione di mezzi di pagamento superiori a 15.000,00 euro, indipendentemente dal fatto che sia effettuata con un’unica operazione o con più operazioni che appaiano collegate alla realizzazione di un’operazione frazionata;
  • si esegue un’operazione occasionale che consista in un trasferimento di fondi superiore a 1000 euro (art. 3 paragrafo 1, punto 9 Regolamento UE n. 2015/847 del Parlamento Europeo e del Consiglio);
  • sussiste il sospetto di riciclaggio o finanziamento al terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
  • sussistono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati forniti dal cliente ai fini dell’identificazione.

In buona sostanza giova sottolineare che, per quanto attiene l’adeguata verifica, il valore della transazione non assume alcun rilievo sia nel caso di incarico professionale ricevuto dall’avvocato, sia nel caso di sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o di dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati forniti dal cliente ai fini dell’identificazione.

I criteri per l’adeguata verifica

I criteri da adottare per l’adeguate verifica sono tre e precisamente: 1) Soggettivo; 2) Oggettivo; 3) Situazionale. I primi due criteri delineano il profilo di rischio del cliente mentre il terzo introduce a verifiche semplificate o rafforzate.

Criterio soggettivo

Tale criterio assume rilevanza quando il focus viene posto sul cliente. In questo caso l’avvocato analizza la natura giuridica del cliente, la prevalente attività svolta, il comportamento tenuto al momento del compimento dell’operazione o dell’instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale, l’area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte.

Criterio oggettivo

Questo criterio attiene all’operazione, al rapporto continuativo o alla prestazione professionale e pone l’attenzione al contenuto della prestazione, alle modalità di svolgimento della stessa, all’ammontare dell’operazione, alla frequenza e al volume delle operazioni, alla durata della prestazione professionale, alla ragionevolezza dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale, in rapporto all’attività svolta dal cliente e all’entità delle risorse economiche nella sua disponibilità, e infine all’area geografica di destinazione del prodotto e all’oggetto dell’operazione, del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

Criterio situazionale

I fattori situazionali sono:

  • fattori di rischio relativi alla clientela;
  • fattori di rischio relativi a prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione;
  • fattori di rischio geografico. Questi tre elementi sono funzionali alla profilatura del cliente per la scelta del livello di verifica da svolgere con semplificazioni o rafforzamenti.

L’adeguata verifica

L’adeguata verifica del cliente consiste nell’eseguire quattro attività:

  • identificazione del cliente e dell’eventuale esecutore;
  • identificazione del titolare effettivo;
  • acquisizione e valutazione delle informazioni sullo scopo e natura della prestazione;
  • controllo costante del rapporto con il cliente.

L’identificazione del cliente e dell’eventuale esecutore (art. 18, comma 1 lettera a D.Lgs. 231/07) si realizza attraverso la presenza fisica del cliente e con un documento di identità valido al momento in cui la prestazione professionale viene svolta a favore del cliente, nonché sulla base di documenti forniti e informazioni ottenute da una fonte affidabile e indipendente. L’avvocato deve acquisire copia del documento di identità o in formato cartaceo o in quello elettronico. La presenza fisica del cliente non è necessaria quando:

  • il cliente è già stato precedentemente identificato dal professionista, purché le informazioni siano aggiornate ed adeguate rispetto allo specifico profilo di rischio del cliente;
  • i dati identificativi del cliente risultino da atto pubblico, scrittura privata autenticata o da documenti recanti la firma digitale;
  • il cliente è in possesso di identità digitale ex art. 64 del CAD;
  • i dati identificativi del cliente risultino da dichiarazione della rappresentanza e dell’autorità consolare italiana, residente in un paese UE , che ha identificato il cliente in applicazione della normativa di recepimento della Direttiva 2001/97;
  • nel caso di rilascio di idonea attestazione di previa identificazione da parte di intermediari abilitati, di enti creditizi ed enti finanziari dei paesi membri UE, e di banche, anche estere, che applicano misure equivalenti a quelle della Direttiva 2005/60/CE , nonché di banche estere situate in paesi aderenti al GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale);
  • nel caso di idonea attestazione da parte di altro professionista destinatario degli obblighi.

La norma permette inoltre all’avvocato, che ne risponde comunque personalmente, di delegare l’acquisizione dei dati identificativi ad un collaboratore o un dipendente dello Studio.

L’adeguata verifica semplificata

L’art. 23 del D.Lgs. 231/07 prevede che nei casi di basso rischio di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo, le misure di adeguata verifica e della frequenza degli adempimenti possano avere forme semplificate. Gli indici di basso rischio indicati dalla norma sono i seguenti:

  • tipologie di clienti quali: società ammesse alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposto ad obblighi di comunicazione che impongano l’obbligo di assicurare un’adeguata trasparenza della titolarità effettiva; pubbliche amministrazioni ovvero istituzioni o organismi che svolgano funzioni pubbliche, conformemente al diritto dell’Unione Europea; clienti che siano residenti in aree geografiche a basso rischio;
  • tipologie di prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione quali: contratti di assicurazione vita rientranti nei rami di cui all’art. 2 comma 1 del D.Lgs. 209/2005 (codice delle assicurazioni private) nel caso in cui il premio annuale non ecceda 1.000,00 euro o il cui premio unico non sia di importo superiore a 2.500,00 euro; forme pensionistiche complementari disciplinate dal D.Lgs. 252/2005 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), a condizione che esse non prevedano clausole di riscatto diverse da quelle di cui all’art. 14 del medesimo decreto e che non possano servire da garanzia per un prestito al di fuori delle ipotesi previste dalla legge; regimi di previdenza o sistemi analoghi che versino prestazioni pensionistiche ai dipendenti, in cui i contributi siano versati tramite detrazione dalla retribuzione e che non permettano a beneficiari di trasferire i propri diritti; prodotti o servizi finanziari che offrano servizi opportunamente definiti e circoscritti a determinate tipologie di clientela, volti a favorire l’inclusione finanziaria; prodotti in cui i rischi di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo siano mitigati da fattori, quali limiti di spesa o trasparenza della titolarità;
  • relativamente ad aree aree geografiche quali: stati membri; Paesi terzi dotati di efficaci sistemi di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo; Paesi terzi che fonti autorevoli e indipendenti valutino essere caratterizzati da un basso livello di corruzione o di permeabilità ad altre attività criminose; Paesi terzi che, sulla base di fonti attendibili, e indipendenti, quali valutazione reciproche ovvero rapporti di valutazione dettagliata pubblicati, prevedano e diano effettiva applicazione a presidi di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, coerenti con le raccomandazioni del GAFI.

Vale la pena di rammentare che l’adeguata verifica semplificata non esenta l’avvocato, ma più in generale i soggetti obbligati, né dall’effettuare comunque l’analisi del rischio del cliente, né dall’individuare il titolare effettivo, né dall’acquisizione dei dati e dalla valutazione dello scopo e della natura della prestazione professionale. Anche le regole tecniche dettate dal CNF affrontano la questione della adeguata verifica semplificata e, a tale proposito, si rimanda alla lettura delle regole n. 5 e n. 9.

L’adeguata verifica rafforzata

In presenza di elevato rischio di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo le misure di adeguata verifica e della frequenza degli adempimenti devono essere rafforzate (art. 24 D.lgs. 231/07). I fattori che determinano quando il rischio sia elevato sono i seguenti:

  • fattori di rischio relativi al cliente: rapporti continuativi o prestazioni professionali instaurati ovvero eseguiti in circostanze anomale; clienti residenti o aventi sede in aree geografiche ad alto rischio; strutture qualificabili come veicoli di interposizione patrimoniale; società che hanno emesso azioni al portatore o siano partecipate da fiduciarie; tipo di attività economiche caratterizzate da elevato utilizzo del contante; assetto proprietario della società cliente anomalo o eccessivamente complesso data la natura dell’attività svolta; fattori di rischio relativi a prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione; servizi con un elevato grado di personalizzazione, offerti a una clientela dotata di un patrimonio di rilevante ammontare; prodotti o operazioni che potrebbero favorire l’anonimato; rapporti continuativi, prestazioni professionali o operazioni occasionali a distanza non assistiti da adeguati meccanismi e procedure di riconoscimento; pagamenti ricevuti da terzi privi di un evidente collegamento con il cliente o con la sua società; prodotti e pratiche commerciali di nuova generazione, compresi i meccanismi innovativi di distribuzione e l’uso di tecnologie innovative o in evoluzione per prodotti nuovi o preesistenti.
  • fattori di rischio geografici: Paesi terzi che, sulla base di fonti attendibili e indipendenti quali valutazioni reciproche ovvero rapporti pubblici di valutazione dettagliata, siano ritenuti carenti di efficaci presidi di prevenzione al riciclaggio e al finanziamento al terrorismo coerenti con le raccomandazioni del GAFI; Paesi terzi che fonti autorevoli ed indipendenti valutano essere caratterizzati da un elevato livello di corruzione o di permeabilità ad altre attività criminose; Paesi soggetti a sanzioni, embargo o misure analoghe emanate dai componenti organismi nazionali ed internazionali; Paesi che finanziano o sostengono attività terroristiche o nei quali operano organizzazioni terroristiche.

I soggetti obbligati, inoltre, devono valutare il contesto e le finalità delle operazioni caratterizzate da importi insolitamente elevati ovvero rispetto alle quali sussistono dubbi circa lo scopo per cui sono preordinate e devono rafforzare il grado e la natura delle verifiche per determinare se le operazioni siano sospette. Indipendentemente dai criteri appena elencati i soggetti obbligati devono sempre applicare misure di adeguata verifica rafforzata del cliente in tre casi:

  • clienti residenti in paesi terzi ad alto rischio individuati dalla Commissione Europea;
  • rapporti di corrispondenza transfrontaliera con un ente creditizio o istituto finanziario corrispondente di un paese terzo;
  • rapporti continuativi, prestazioni professionali o operazioni con clienti e relativi titolari effettivi che siano Persone Politicamente Esposte (PEP).

L’avvocato, in presenza di un elevato rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, adotta misure rafforzate di adeguata verifica della clientela acquisendo informazioni aggiuntive sul cliente e sul titolare effettivo, approfondendo gli elementi posti a fondamento delle valutazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto e intensificando la frequenza dell’applicazione delle procedure finalizzate a garantire il controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

Conservazione della documentazione

La IV Direttiva ha sostanzialmente modificato anche il sistema di conservazione dei dati e delle informazioni passando dal concetto di registrazione a quello di conservazione. L’obbiettivo dichiarato è quello di impedire la perdita o la distruzione dei dati, delle informazioni e dei documenti utili a consentire lo svolgimento delle attività di indagine e di controllo da parte delle Autorità competenti, nonché quello di prevenire, individuare ed accertare eventuali attività di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo attraverso una costante attività di controllo. L’avvocato effettua una corretta conservazione quando i dati e le informazioni conservano nel tempo le caratteristiche di integrità, leggibilità e reperibilità. Due sono le tipologie di documenti da conservare:

  • la copia dei documenti acquisiti in occasione dell’adeguata verifica della clientela, sia per le prestazioni professionali che per le operazioni;
  • l’originale, ovvero copia avente efficacia probatoria ai sensi della normativa vigente, delle scritture e registrazioni inerenti esclusivamente alle operazioni.

Anche per tali documenti è ammessa la conservazione o in forma cartacea o in quella informatica. La corretta conservazione deve consentire, almeno, una ricostruzione univoca dei seguenti elementi:

  • la data di instaurazione del rapporto continuativo o del conferimento dell’incarico;
  • i dati identificativi del cliente, del titolare effettivo e le informazioni sullo scopo e la natura del rapporto o delle prestazioni;
  • la data, l’importo e la causale dell’operazione;
  • i mezzi di pagamento utilizzati;
  • mandato professionale.

I documenti, i dati, e le informazioni acquisite devono essere conservati per un periodo di 10 anni dalla cessazione del rapporto continuativo, dalla prestazione professionale o dall’esecuzione dell’operazione occasionale. I professionisti possono avvalersi indistintamente di modalità di conservazione cartacea o informatica, purché i sistemi adottati consentano di garantire il rispetto in materia di protezione dei dati e il loro trattamento esclusivamente per le finalità di cui al D.Lgs. 231/07. A tale proposito le modalità di conservazione adottate devono prevenire qualsiasi perdita dei dati e delle informazioni ed essere idonee a garantire la ricostruzione dell’operatività o attività del cliente nonché l’indicazione esplicita dei soggetti legittimati ad alimentare il sistema di conservazione e accedere ai dati e alle informazioni ivi conservate. Da ultimo va evidenziato che il fascicolo cartaceo del cliente, così come liberamente costituito dall’avvocato, realizza idonea modalità di conservazione unitamente, se del caso, a qualsivoglia modalità di conservazione di documenti, dati ed informazioni in via informatica. Inoltre sia la modalità cartacea che quella informatica possono coesistere con riferimento ad un medesimo cliente (regola tecnica n. 11).

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