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Bitcoin e crypto-asset: scatta l’ora delle regole, anche in Italia

Bitcoin e crypto-asset nel mirino dei regolatori, anche in Italia: dopo il decreto del Mef, ora serve però un chiarimento dal lato fiscale. Mentre la Ue tenta di recuperare il tempo perduto, negli Usa tiene banco il caso Ripple. Facciamo il punto

Pubblicato il 16 Feb 2022

Ferdinando Ametrano

AD di CheckSig

Bitcoin

Nel 2021 il fenomeno Bitcoin e crypto-asset è stato riconosciuto come tanto rilevante da non poter più essere ignorato. Anche per questo, il 2022 promette di essere l’anno della regolamentazione o almeno dei primi tentativi di comprensione adeguata da parte dei regolatori.

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Crypto-asset: qualcosa si muove anche in Italia

Seppur in maniera più timida rispetto, ad esempio, agli Usa (su cui ci soffermeremo più avanti), anche il regolatore italiano muove i suoi primi passi. Un recente decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza (MEF) ha dato seguito alla quinta direttiva antiriciclaggio istituendo il registro dei virtual asset service providers (VASP). La stampa ha riportato la notizia con una inappropriata luce negativa: “stangata del MEF al mondo cripto”. In realtà, l’industria cripto aspettava da tempo l’istituzione di un registro che aiutasse almeno a discriminare attori seri da cialtroni improvvisati.

La necessità di un chiarimento fiscale

Quello che adesso servirebbe in Italia è un chiarimento fiscale, anche perché la competenza su questo aspetto non è europea ma nazionale. A oggi il quadro è definito da prassi che discendono da una sentenza della Corte di Giustizia Europea che equipara, ai fini IVA, le criptovalute alle valute straniere. A questa sentenza si sono aggiunte nel tempo

occasionali pareri dell’Agenzia delle Entrate e sentenze di Tribunali italiani. Servirebbe un quadro organico e ci sono iniziative parlamentari in tal senso. Nell’ultima finanziaria la senatrice Elena Botto ha tentato senza successo di far passare un emendamento, ma ha ottenuto l’impegno del Governo a valutare l’opportunità di dare attuazione alla parte dispositiva dei principi contenuti nel suo emendamento. Questi principi sono in sintonia con la proposta di legge presentata mesi orsono da Daniele Zanichelli e il loro recepimento sarebbe di straordinaria utilità per fare chiarezza e facilitare gli adempimenti fiscali. Per punti si tratta di:

  • confermare l’imponibilità delle plusvalenze ai fini IRPEF: si pagano le tasse sul capital gain, come redditi diversi con una aliquota al 26%
  • subordinare l’imponibilità al possesso di crypto-assets per un controvalore superiore a €51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui (stesso regime utilizzato per le valute straniere)
  • sancire che non ha alcuna rilevanza il concetto di “prelievo” di valute virtuali, non essendo assimilabile al prelievo da un conto corrente
  • affermare la rilevanza fiscale delle sole operazioni che comportano pagamento o conversione in valute tradizionali e sovrane, escludendo tutte le operazioni da cripto a cripto
  • determinare la plusvalenza imponibile nel caso di mancanza di documentazione del costo di acquisto con criteri analoghi a quelli già adottati nel TUIR per i metalli preziosi (se si trova in un cassetto una moneta d’oro della nonna, la plusvalenza è il 25% del suo valore di mercato)
  • chiarire l’assenza dell’obbligo di monitoraggio (modello RW) se il controvalore massimo complessivo delle criptovalute detenute nel periodo d’imposta non è superiore a €15.000 (come per i conti all’estero)
  • ribadire la non imponibilità delle valute virtuali ai fini IVAFE

Tra registro VASP e impegno a chiarire il quadro fiscale, la direzione è quella giusta: speriamo il legislatore vada avanti nel 2022. Nulla di entusiasmante, ma in assenza di una visione strategica sul settore, che almeno il legislatore e regolatore italiano diano chiarezza agli investitori e ai fornitori di servizi.

Crypto-asset: la Ue corre ai ripari

L’Unione Europea era finora ferma al pronunciamento del 2014 dell’Autorità Bancaria Europea (EBA): i regolatori nazionali furono invitati a dissuadere le istituzioni finanziarie dal comprare, vendere o detenere “valute virtuali” (come le si chiamava allora), in attesa di un quadro regolamentare. Colpevolmente questo quadro non è mai arrivato, sia per “pigrizia intellettuale”, sia per la malcelata speranza che il fenomeno cripto si potesse spegnere da solo. Anzi, marginalizzarlo fuori dal mondo dei servizi finanziari e criminalizzarlo era proprio strumentale al tentativo di spegnerlo.

Fallita questa strategia, oggi l’Unione Europea corre ai ripari e ha avviato la consultazione MiCA (Markets in Crypto Assets), mirata alla regolamentazione dei mercati e delle borse di scambio. Non si tratta qui di definire cosa siano i crypto-asset ma, con pragmatismo, di regolarne la compravendita. Negli Stati Uniti questo passaggio è stato sostanzialmente espletato l’anno scorso con la quotazione al Nasdaq di Coinbase, la principale borsa di scambio dollaro-bitcoin, collocata a 80 miliardi di dollari, un livello superiore alla capitalizzazione della gran parte degli istituti europei bancari.

Il dibattito negli Usa: le criptovalute sono strumenti finanziari o commodities?

Forte del suo vantaggio, gli Stati Uniti si stanno muovendo su linee di frontiera più avanzate. Certamente la regolamentazione degli stablecoin e della DeFi (Decentralized Finance), ma soprattutto l’affronto degli aspetti definitori. È, per questo, particolarmente rilevante il processo contro Ripple, accusata di aver emesso XRP, la sua criptovaluta, senza l’approvazione della Security Exchange Commission (SEC). La vertenza è se XRP sia uno strumento finanziario, nel qual caso avrebbe dovuto essere autorizzata dalla SEC. Nel diritto statunitense la sentenza di riferimento è Securities and Exchange Commission vs W. J. Howey Co., da cui deriva il cosidetto Howey test che identifica cosa sia uno strumento finanziario (security) in base a quattro criteri:

  • se c’è un investimento di denaro,
  • se l’investimento è in una impresa comune ad altri,
  • se ci si attende di ricavare profitto dall’investimento,
  • se i profitti originano dall’attività di altri.

Nel rispetto delle decisioni dei giudici americani, sembra evidente che XRP sia una security ma una decisione in tal senso sarebbe dirompente per il mercato cripto, dove moltissimi crypto-asset hanno una società emittente e un amministratore delegato o, almeno, una fondazione e un leader. Non sfugge a questa casistica nemmeno Ethereum, la seconda piattaforma subito dietro Bitcoin, che ha alle spalle la Ethereum Foundation e il fondatore Vitalik Buterin.

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