La diffusione dei bitcoin quale moneta di pagamento e degli NFT quali strumenti di gestione delle risorse digitali richiamano sempre più l’attenzione dell’autorità giudiziaria, poiché si rilevano violazioni di natura penale concretizzate anche attraverso l’utilizzo di tali soluzioni. Fondamentale quindi ricondurre all’alveo delle regole e delle normative le modalità e i comportamenti con cui ci si interfaccia in questo contesto.
Non è quindi la mancanza di materialità ad escludere la configurazione di reati, ma anzi è la realizzazione in se del comportamento vietato a determinare la risposta dello Stato e la comminazione di sanzioni a prescindere dal “mezzo” con il quale si opera. In questo senso, di primario interesse da un lato la configurazione del reato di autoriciclaggio operata dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 2868 del 25 gennaio 2022, per operazioni di acquisto di bitcoin realizzate a fronte di proventi illeciti e, dall’altro, le attività di indagine e sequestro poste in essere dall’HMRC – Her Majesty’s Revenue and Customs inglese nell’ambito di frodi all’IVA sequestrando NFT quale proventi del reato stesso.
Furti di criptovalute, frodi: che cosa rischiano i possessori e le soluzioni
Bitcoin e autoriciclaggio
L’acquisto di criptovalute con proventi illeciti configura il reato di autoriciclaggio in quanto si tratta di una attività finanziaria. Questa la posizione assunta dalla Suprema Corte con ordinanza n. 288/2022. Il comportamento vietato è individuato, sotto il profilo sanzionatorio, dall’articolo 648-ter.1 del Codice penale, a mente del quale viene punito, con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000, chiunque impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi. La pena è aumentata infine quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
Il delitto di autoriciclaggio si realizza quindi per il solo fatto che un soggetto abbia impiegato in attività economico-finanziarie dei beni che derivano da una previa condotta di riciclaggio, a prescindere dalla volontà di ostacolare l’identificazione della provenienza dei beni.
Il caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte ha riguardato il sequestro preventivo, anche per equivalente, del profitto dei reati di autoriciclaggio, avendo l’indagato commesso il reato presupposto di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione trasferendo, poi, i relativi profitti a società estere operanti nel settore della compravendita di cosiddette “cripto valute” (in particolare bitcoin), tramite bonifici in Euro effettuati da carte Postepay intestate per lo più a soggetti prestanome ma anche a se stesso.
Non si trattava in particolare di acquisto diretto di bitcoin da parte dell’indagato, ma di trasferimento tramite bonifici in Euro di somme di danaro a società estere successivamente incaricate di cambiare la valuta ricevuta (Euro) in bitcoin. L’indagato, ricorrente per Cassazione, non agiva quindi in proprio nell’acquisto della valuta “virtuale”, da intendersi – secondo la dizione contenuta nel Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231, articolo 1, comma 2, lettera qq), – come la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente.
L’attività di cambio della valuta, peraltro, ha carattere finanziario: il trasferimento di valuta verso società estere. che si interponevano nell’acquisto di criptovalute, ed effettuate anche a mezzo di prestanome, ponevano un serio ostacolo alla identificazione del ricorrente come beneficiario finale delle transazioni ed effettivo titolare di bitcoin acquistati non da lui ma dalle società estere che fungevano da “exchanger di criptovalute“. Ad avviso della Cassazione, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio, non occorre che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento alla identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, essendo, al contrario, sufficiente una qualunque attività, concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza. In tema di autoriciclaggio, l’intervenuta tracciabilità, per effetto delle attività di indagine poste in essere dopo la consumazione del reato, delle operazioni di trasferimento delle utilità provenienti dal delitto presupposto non esclude l’idoneità “ex ante” della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
NFT e frodi IVA
In data 13 febbraio 2022, infine, HRMC, e cioè l’autorità fiscale britannica, ha sequestrato tre gettoni non fungibili (NFT) come parte di una sospetta frode IVA, che coinvolge 250 presunte società false., per circa 1,4 milioni di sterline. Si tratta della prima applicazione della legge britannica che procede al sequestro di NFT e cioè di quei token digitali individuabili quali certificati di proprietà per beni virtuali o fisici. Gli NFT hanno una firma digitale unica, quindi possono essere comprati e venduti usando la valuta tradizionale o la criptovaluta, come Bitcoin.
NFT e valute virtuali, arriva il primo sequestro: ecco come non finire nei guai
Secondo HMRC, gli indagati avrebbero utilizzato metodi sofisticati per cercare di nascondere le loro identità tra cui identità false e rubate, indirizzi falsi, telefoni cellulari prepagati non registrati, Virtual Private Network (VPN), fatture false e fingendo di impegnarsi in attività commerciali legittime. Il primo sequestro di un NFT evidenzia come l’utilizzo di criptovalute equivale al denaro e, in quanto tale, può risultare oggetto di attività di indagine e recupero coattivo da parte del fisco.