nuovi paradigmi tecnologici

Blockchain, ecco perché serve un nuovo rapporto tra legge e codice informatico

La blockchain è tecnologia abilitante che consente di migliorare i modelli operativi dell’industria, ottimizzando le transazioni e riducendo, al contempo i costi transattivi e il tempo di gestione dei processi aziendali. Per sviluppare appieno le sue potenzialità, serve però un quadro normativo adeguato

Pubblicato il 08 Feb 2019

Massimo Giuliano

avvocato, membro del Gruppo di esperti blockchain istituto dal MISE

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La tecnologia dei registri distribuiti, in cui rientra la blockchain, ha scardinato la logica della centralizzazione della governance e introdotto un nuovo concetto di fiducia.

Per questo va in collisione con le attuali leggi, pensate per un paradigma socio-economico in cui vi è sempre un soggetto gestore a cui attribuire la responsabilità degli atti. Per poter essere sviluppata nel pieno delle sue potenzialità deve pertanto trovare un posto all’interno di un quadro normativo adeguatamente strutturato, pertinente e versatile, in grado di svilupparsi pari passu con lo sviluppo tecnologico in atto. Un framework normativo tale che consenta di dare alle relazioni che si generano la necessaria efficacia reale.

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Un nuovo paradigma di gestione delle informazioni

Fino all’emersione della tecnologia blockchain, si era ritenuto che solo le istituzioni politiche ed economiche come banche, società e governi, potessero porsi quali strumenti per ridurre l’incertezza e consentire gli scambi di valore o delle informazioni. La logica della centralizzazione richiede la fiducia in colui che gestisce il processo o detiene i dati al fine di mantenere l’ordine e la struttura all’interno del sistema in cui si opera.

Nel pieno della crisi economica del 2008 appare il documento di Satoshi Nakamoto che descrive un modo di scambiare valore, chiamato bitcoin, che combina crittografia, informatica e teoria dei giochi nella sua progettazione e implementazione. La creazione di Satoshi permette a un partecipante di effettuare transazioni digitali direttamente con un altro partecipante (c.d. peer to peer) senza fare affidamento o richiedere l’intervento di un intermediario (finanziario). L’aspetto dirompente del bitcoin, quale “moneta” digitale, non è stato solo il fatto di essere dematerializzato, poiché, in circolazione, esistono anche altri tipi di monete digitali, come la moneta elettronica emessa dalle banche e dagli istituti di moneta elettronica, ma la possibilità di trasferire unità di valore peer to peer, con un’infrastruttura minima e senza terze parti.

Immediatamente dopo il lancio, si è compreso che probabilmente il bitcoin, inteso come valore digitale, era il meno interessante rispetto ai possibili usi della tecnologia sottostante, la blockchain e la tecnologia dei registri distribuiti (c.d. Distributed Ledger Tecnology o DLT), che poteva non solo essere strumentale allo scambio di “moneta” criptata, ma funzionale allo sviluppo dell’Artificial Intelligence o dell’Internet of Things e utilizzata per lo sviluppo di applicazioni, caratterizzate dall’essere eseguite in modo autonomo, senza l’intervento di un terzo, da una rete decentralizzata e grazie a meccanismi di consenso, diversi in ragione della blockchain utilizzata.

Si tratta, dunque, di un nuovo paradigma per la gestione e la certificazione delle informazioni registrate in un database (condiviso, distribuito, decentralizzato, immutabile, trasparente e criptato) replicato presso ogni singolo nodo, aggiornato grazie ad un algoritmo di consenso che permette ai nodi stessi di concordare su una catena di blocchi unica.

Un nuovo concetto di fiducia

Nella blockchain e, in genere, nei DLT, la governance è costruita attorno ad un nuovo concetto di fiducia, dove il processo decisionale si realizza attraverso un meccanismo di costruzione del consenso distribuito tra tutti i soggetti partecipanti alla rete. Grazie a tali caratteristiche la blockchain è la tecnologia abilitante che consente di migliorare i modelli operativi dell’industria, ottimizzando le transazioni lungo la supply chain, nella gestione e verifica delle identità degli utenti, nell’amministrazione e nella gestione dei pagamenti tra le imprese e i consumatori, riducendo, al contempo i costi transattivi e il tempo di gestione dei processi aziendali.

Proprio nel settore delle transazioni finanziarie la blockchain ha trovato terreno fertile, grazie alla possibilità di replicare il trasferimento del denaro contante (anonimo, immediato e senza costi) con il trasferimento peer to peer di valori digitali. Il tutto ha poi trovato conforto nella legislazione di settore, grazie alla seconda direttiva sui servizi di pagamento (c.d. PSD2), recepita in Italia con il D.lgs. 218/2017, che ha dato ingresso a nuovi operatori, tecnologicamente evoluti, che di fatto consentono una disintermediazione dalle banche e che potrebbero, a loro volta, costituire i nodi di ingresso in un nuovo sistema di pagamento in cui non vi siano più soggetti che “riconciliano” i pagamenti tra il pagatore e il beneficiario nel mezzo di una transazione, ma il tutto accade all’istante (clearing e settlementin real time”) e dove gli utenti si riappropriano della gestione dei propri dati, potendo decidere in assoluta autonomia con quale nodo iniziare un pagamento.

Si è parlato, dunque, di una tecnologia disruptive poiché trasforma il mercato esistente e crea nuovi segmenti.

Dalla blockchain 1.0 a Ethereum

Dalla blockchain 1.0 del bitcoin, con lo sviluppo dei protocolli informatici si è passati alla blockchain di Ethereum, anch’essa del tipo pubblica e permissioless come la blockchain dei bitcoin, ma con l’ulteriore funzionalità di eseguire smart contracts, ovverosia pezzi di codice informatico in grado di eseguire clausole contrattuali senza il necessario intervento della parte. Inoltre, l’idea di utilizzare la blockchain in specifiche filiere, nel sistema finanziario, nei pagamenti, ha portato alla nascita di infrastrutture chiuse (hyperledger Fabric; Multichain; Ripple; Corda) in grado di essere conformi al contesto normativo in cui devono operare, pur tuttavia perdendo sul campo quelle caratteristiche di sicurezza e immutabilità proprie della blockchain dei bitcoin.

L’avvento della tecnologia blockchain sta generando un mutamento delle relazioni umane, che, inevitabilmente, determinano nuove esigenze da soddisfare che l’ordinamento giuridico nel quale si svolgono deve regolare. Siamo solo all’inizio di una nuova era, nella quale sarà definitivamente rotto il confine tra tale tecnologia e il business fisico, sempre di più digitalizzato.

Sorge, quindi, l’esigenza di proteggere tutte quelle proiezioni della persona all’interno del mondo virtuale, cui il soggetto accede attraverso una identità “digitale”, intesa quale rappresentazione virtuale di una identità di una persona che la utilizza come mezzo di connessione tra il reale e il digitale. Si tratta a bene vedere di un mondo che non è meno reale di quello che viviamo al di fuori della rete, essendo diventato il luogo prediletto in cui noi stessi scambiamo beni e comunichiamo.

La tecnologia per potersi sviluppare deve, tuttavia, trovare “riconoscimento” in un quadro normativo adeguato.

Il diritto è il prodotto dello sviluppo tecnologico, ma allo stesso tempo il motore di sviluppo ordinato di cambiamenti culturali, economici, sociali e politici. Allo stesso tempo il giurista deve aprirsi al cambiamento e contribuire alla creazione della nuova cornice regolamentare in ragione dello strumentario giuridico esistente e, ove necessario, sollecitare l’intervento del legislatore affinché elabori soluzioni nuove che siano al passo con la tecnologia e che allo stesso tempo non la ingessino entro gli angusti limiti di una regola settoriale.

Il mercato ha regole proprie, imposte proprio dalla nascita di nuovi modelli di business prima inimmaginabili, di cui l’ordinamento non può non tenere conto. È innegabile la difficoltà di regolare ex ante e in astratto fenomeni innovativi dirompenti, come è stato Internet 30 anni fa e come è adesso la tecnologia blockchain e le sue applicazioni nelle relazioni sociali.

Sorge pur sempre la necessità di disciplinare i comportamenti e le attività al fine di non rendere tutto ciò che è tecnologicamente possibile, solo per questo, giuridicamente legittimo. Laddove lo strumentario giuridico si riveli inefficace a disciplinare nuovi forme di relazioni, specie laddove ci si trovi di fronte a paradigmi del tutto nuovi, come nel caso dei rapporti dematerializzati dove, oltre ai beni, è la stessa persona ad assumere un’identità virtuale, sarà compito del legislatore adottare le più opportune soluzioni affinché l’individuo possa esplicare la propria attività in un contesto comunque garantito e regolato.

Un nuovo rapporto tra legge e codice informatico

Occorre ripensare il rapporto tra codice informatico e legge alla luce della forte discrasia tra la blockchain e l’attuale impianto legislativo, pensato per un modello sociale ed economico nel quale la responsabilità degli atti è sempre ascrivibile a un soggetto controllore. Si pensi alle organizzazioni lanciate nella blockchain, le c.d. DAO (Decentralized Autonomous Organization), applicazioni eseguite su una rete blockchain, come quella di Ethereum, anziché su un computer centrale (modello server-client) come potrebbe essere il caso di Facebook, Apple e Twitter, sono completamente open source e privi di un’entità che controlli la rete. Le DAO operano attraverso smart contracts, che funzionano, quindi, senza l’intervento umano e grazie ad un codice autonomo, dove il consenso del soggetto nei cui confronti si realizzano gli effetti delle attività del software verrebbe espresso nella fase iniziale di adesione.

Così come l’assenza di confini territoriali e di frontiere fisiche, nello spazio virtuale, comporta la necessità di una radicale riconsiderazione nella regolamentazione giuridica delle relazioni che si dipanano nella rete. Né si potrebbe pensare alla formazione di regole tecniche “private”, racchiuse nella lex informatica o cryptographica, formate al di fuori del processo democratico, autonome e indipendenti rispetto ad un dato ordinamento giuridico. Il codice informatico deve, dunque, considerare la norma, non può essere avulsa da essa, e deve impegnarsi in una interazione che tenda ad eliminare i conflitti.

Dall’altro lato il processo di formazione e interpretazione della legge (si pensi alla logica di redazione del GDPR o anche solo all’individuazione dell’esatto adempimento di una obbligazione pecuniaria, di cui all’art. 1277 c.c., ancora oggi legato al trasferimento di denaro contante) non può che volgere lo sguardo verso i nuovi paradigmi tecnologi e sociali, e colmare lo iato che ostacola la certezza dei diritti e la tutela dell’individuo nella sua dimensione sociale.

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