La Blockchain è un primo esempio concreto di sharing economy delle infrastrutture tecnologiche. Un ecosistema decentralizzato e condiviso di potenza computazionale che può essere utilizzata da chiunque per sviluppare servizi innovativi è la risposta più concreta ai problemi di sicurezza, trasparenza, interoperabilità e privacy. Questo perché è un protocollo informatico considerato disruptive per le trasversalità della tecnologia in vari segmenti di mercato e la numerosità dei campi di applicazione. Facciamo il punto.
La blockchain è un abilitatore di trasparenza, capace di porre in essere la disintermediazione delle value chain, ribaltando il paradigma secondo il quale al controllo fisico delle informazioni corrisponde una maggiore sicurezza dei dati. A ciò si aggiungono i cosiddetti smart contract, ovvero programmi informatici decentralizzati capaci di replicare in chiave digitale le disposizioni frutto di una negoziazione tra due o più parti, o clausole contrattuali, senza intermediari, nonché di verificare ed eseguire automaticamente le stesse clausole pattuite. Ne derivano servizi interoperabili, in grado di eseguire e attivare prestazioni che si regolano autonomamente in base alle regole dettate dalle aziende e dai suoi clienti.
La Blockchain è un primo esempio concreto di sharing economy delle infrastrutture tecnologiche, ovvero un ecosistema decentralizzato e condiviso di potenza computazionale che può essere utilizzata da chiunque per sviluppare servizi innovativi in diversi settori come nel welfare, nell’industrial production, nell’intellectual property e nei processi di notarizzazione, rendendo possibile la convivenza di due feature apparentemente contrastanti: la sicurezza dei dati e la loro interoperabilità.
I primi casi di applicazione della blockchain
Blockchain come abilitatore di modelli di servizio “lean” e sempre più in linea alle esigenze di mercati competitivi. Chi saprà interpretare al meglio il ruolo di first innovator potrà beneficiare anche della creazione di nuovi ecosistemi a discapito di quelli tradizionali (utilities company integrate con le telco: loyalty platform e condivisione base clienti, media platform, trasporti integrati con modelli ecosostenibili promossi dalle energy company: smart grid blockchain).
Esistono già diversi casi di applicazione della tecnologia blockchain come ad esempio la tracciatura delle filiere produttive: soluzione presentata nell’ambito del settore vinicolo che è stata subito ripresa su molteplici filiere dell’agri-food, dai prodotti ortofrutticoli, al settore delle carni, sino al settore ittico e lattiero caseario. Attraverso il Qr code stampato sulla confezione è dunque possibile ottenere via smartphone una serie di dati legati al prodotto, come le date di coltivazione, di nascita dell’animale, di raccolta, di confezionamento e quella di scadenza.
La blockchain Ethereum, in questo senso, permetterà a ognuno degli attori della filiera di registrare le proprie informazioni, senza alcuna possibilità di alterazione dei dati dall’esterno.
Altra applicazione è quella legata alla notarizzazione virtuale dei dati del veicolo all’interno di un’infrastruttura distribuita che consentirà di creare un ecosistema di interoperabilità. Si tratta di un folder digitale che permette non solo di certificare i dati del veicolo ma anche di sviluppare nuovi servizi a valore aggiunto come la trasparenza nel mercato secondario e dell’usato, l’auto-certificazione chilometrica, lo sviluppo di nuovi prodotti con le compagnie assicurative, l’abilitazione del nuovo certificato di revisione.
Nell’Energy sono state sviluppate soluzioni per lo sviluppo di Smart Grid per abilitare lo scambio diretto di energia tra prosumer e consumer; in Italia, è stato pubblicato uno studio condotto con le principali utilities con l’obiettivo di verificare i vantaggi e le modalità di sviluppo di un sistema sul tema del P2P trading.
Nel settore telco si stanno studiando soluzioni in ambito programmatic advertising, roaming dei servizi telefonici, tracking delle operation sulle reti telefoniche.
I passi fatti da Europa e Italia
La UE ha lanciato ad inizio 2018 un osservatorio sulla Blockchain per approfondire come applicarla in ambito servizi welfare e trasparenza delle istituzioni. E’ in corso proprio in Italia un progetto per la creazione di un codice identificativo unico europeo in blockchain che possa abilitare l’interoperabilità dei servizi welfare, con particolare riferimento all’ambito previdenziale, garantendo un meccanismo di accesso ai dati in tempo reale, riduzione dei tempi di evasione delle richieste e contrasto alle frodi (riconciliazione pensioni a fronte di contributi versati dal lavoratore, distacco lavoratori in mobilità…).
Blockchain come strumento per favorire le verifiche sui pagamenti delle imposte e sui meccanismi di compensazione tra le diverse amministrazioni pubbliche o anche di certificazione delle competenze e attivazione di sussidi welfare solo a fronte della verifica dei requisiti attraverso l’utilizzo di smart contract. Infine anche in Campo Difesa, l’Aeronautica Militare sta studiando lo sviluppo di prototipi per l’utilizzo della blockchain come strumento di garanzia nelle attività di maintenance, gestione degli ordini, inventoring, procurement e gestione dei fornitori.
Smart contract, le novità del nuovo decreto semplificazioni
Ulteriore tema di approfondimento è la validità giuridica degli smart contracts e il loro inquadramento nell’ordinamento giuridico italiano. La questione non è certamente di secondaria importanza e anzi promette di essere fondamentale per lo sviluppo delle DLT in Italia. Come noto, infatti, con l’art. 8-ter, inserito in occasione della conversione in legge del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, l’Italia si è dotata di due importanti definizioni attinenti al mondo Blockchain.
La prima è quella di DLT (Distributed Ledger Technologies – una categoria tecnica cui appartiene la Blockchain) che sono definite come “le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili.”, mentre la seconda è quella di smart contract che è definito come un “programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”.
Sempre l’art. 8-ter stabilisce che lo smart contract soddisfa il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti attraverso un processo i cui dettagli saranno stabiliti dall’Agenzia per l’Italia digitale e che la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso delle DLT produce gli effetti della validazione temporale elettronica sempre secondo quelli che saranno gli standard tecnici individuati dall’Agenzia per l’Italia digitale.
In conclusione
Mentre attendiamo le norme di attuazione, non si può non sottolineare come, in potenza, siamo davanti ad una vera rivoluzione. Se infatti ammettiamo la possibilità che un programma per elaboratore (magari scritto solo in codice) vincoli le parti con la medesima forza di un contratto, allora l’attenzione dei professionisti del diritto potrebbe spostarsi da contratti in linguaggio naturale proprio al contenuto (in codice) dello smart contract. Di conseguenza, dall’interpretazione e verifica delle clausole (smart) contrattuali all’ammissibilità di meccanismi di sostituzione di clausole nulle, molti saranno i temi legali aperti che dovranno essere risolti per realizzare appieno le potenzialità degli smart contracts.
Il mercato dei prodotti e dei servizi blockchain potrebbe crescere da 706 milioni di dollari dello scorso anno a oltre 100 miliardi di dollari nel 2024. Il World Economic Forum stima che entro il 2025 il 10% del PIL mondiale riguarderà attività che sfruttano la tecnologia blockchain.
La Blockchain non è il domani, è già il presente, e chi ha avviato progetti in tal senso avrà un’infrastruttura abilitante per lo sviluppo di nuovi servizi digitali. Una nuova era dopo quella di internet.