“Gli italiani sono abituati, fin dal Medioevo, a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle (e buone) che piacciono al mondo”, così recitava lo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla compendiando i due elementi caratteristici della produzione nazionale: le cose belle, cioè i prodotti di qualità, e i campanili, cioè territori e distretti.
In un ambito dove origine e filiera rivestono un’importanza primaria, la tecnologia blockchain con i suoi nodi di trasparenza consente di aumentare la tracciabilità dei prodotti dell’agrifood e di generare dati che definiscono il patrimonio informativo a beneficio di tutta la supply chain. Non solo, l’impatto di questa tecnologia nel settore può avere anche ripercussioni positive sul benessere dei lavoratori in smart working e sullo sviluppo di botteghe e piccole realtà.
Settore food, cultura e innovazione: il contesto italiano
In epoca classica, la vocazione di un terroir, la propensione produttiva quale insieme di elementi tangibili e intangibili (fattori climatici, risorse naturali, tradizione, know-how) e il patrimonio di caratteristiche uniche e riconoscibili di un territorio, erano stati magistralmente identificati con la nozione di genius loci: l’identità di un luogo, quel carattere territoriale unico cui l’alimento si collega tanto da poterne ricevere elementi e qualità differenzianti. Senza cadere in campanilismi faziosi, si poteva sostenere con certezza che ciascun prodotto alimentare era immagine di una terra e della sua gente, risultato di quella particolarissima mescolanza di fattori naturali e fattori umani presenti in uno specifico e circoscritto luogo di provenienza.
Tuttavia, l’affermarsi di una nuova economia globale, di nuove dinamiche industriali e di un mutato mercato hanno necessariamente imposto un nuovo paradigma, che ibridandosi in una declinazione glocal, ha reso indefiniti i limiti spaziali dei processi produttivi e delle filiere di approvvigionamento. Il sistema cibo venutosi a creare su scala globale, difatti, appare come un sistema connotato da tre forze prevalenti, così come teorizzato dal sociologo rurale olandese Jan Wiskerke (2009), che hanno modificato radicalmente il mercato agroalimentare, le dinamiche di produzione e le preferenze dei consumatori:
- La disconnessione fisica e relazionale tra produttori e consumatori come risultato dell’aumentare della distanza tra i luoghi di produzione ed i mercati;
- Lo sradicamento del cibo da un circoscritto luogo di produzione;
- La netta separazione tra le diverse fasi della filiera produttiva articolata come una successione di passaggi frammentati e caratterizzati da una rigida specializzazione.
Una riorganizzazione sistemica che ha reso più difficile, per il consumatore, ricostruire l’iter from farm to fork del singolo bene alimentare ed operare valutazioni e scelte di consumo consapevoli ed informate. L’odierna offerta del mercato globalizzato, infatti, è composta prevalentemente da hybrid products[1] con materie prime e processi produttivi imputabili a due o più paesi di cui l’origine geografica non può essere più intesa nella sua connotazione iniziale che, implicitamente, assumeva che la provenienza, la fabbricazione e la progettazione di un bene avvenissero in un unico territorio circoscritto.
Tracciabilità e filiera, il ruolo della blockchain
Un nuovo modello di produzione che tuttavia, è bene sottolineare, non deve, approssimativamente e talvolta demagogicamente, essere inquadrato come un’evoluzione a detrimento della qualità ma che tuttavia impone la nuova esigenza di prevedere validi strumenti per garantire la tracciabilità dell’intera filiera a fronte dell’esplicita esigenza dei consumatori di garanzia e trasparenza.
Le informazioni inerenti la provenienza e le modalità di produzione, infatti, sono diventate elementi imprescindibili attraverso i quali il consumatore trae inferenze sulle decisione di acquisto non solo per motivi etici e sostenibili ma anche in risposta ai problemi legati alla sicurezza alimentare. La crescita della consapevolezza da parte del consumatore rispetto a tali aspetti è un processo avviato ormai da molti anni, ma non si può negare che la pandemia ha generato ulteriore motivazione e “urgenza”. Il risultato è un consumatore più attento e informato che opera in una realtà phygital, connotata da nuove esperienzialità a distanza e da una trasversale digitalizzazione accelerata, e in un contesto caratterizzato da una crescente attenzione alla sostenibilità. Il produttore, a sua volta, cerca strumenti per rendere efficace e trasparente il processo e per creare una relazione trust based con tutti gli stakeholder.
Fiducia e sicurezza sono i valori fondanti di questa prossima normalità, c.d. next normal, e in un sistema produttivo così delineatosi la tracciabilità dei processi di filiera in modo chiaro e trasparente è una condicio sine qua non. É così possibile per i consumatori soddisfare le loro esigenze di conoscenza e accesso alle informazioni per operare delle scelte consapevoli e per le imprese avere una più efficiente gestione dei processi aziendali monitorando le singole transazioni che compongono la supply chain.
In questo contesto, la blockchain si pone come uno strumento capace di riverberare in maniera significativa sulla food supply chain fornendo ai consumatori una visibilità end- to- end, dalla materia prima alla tavola, dei prodotti acquistati (riducendo la patologica asimmetria informativa) e alle aziende di migliorare le operations e le attività di trasformazione dei prodotti, dal momento che la trasparenza end-to-end del prodotto assicura un elevato controllo della qualità e permette di identificare le situazioni di rischio in termini di sicurezza alimentare.
Blockchain per il benessere in smart working
Non solo. In un contesto in cui lo smart working è entrato prepotentemente nella quotidianità lavorativa, la tecnologia blockchain può efficacemente costituire un valido supporto nella promozione del benessere del lavoratore, e conseguentemente di quello aziendale legato alla produttività, attraverso un food di qualità, da far migrare in accordi sul welfare aziendale a tutela del prestatore di lavoro che, soprattutto oggi, si trova ad affrontare gli squilibri nella conciliazione della vita-lavoro legati alla condizione imposta di smart worker.
In un’epoca in cui il concetto di retribuzione non è più fondato esclusivamente sulla componente monetaria, ma assume un significato più ampio in quanto è anche e soprattutto basato sull’idea di benessere, che non è più “assenza di malattia” ma è “qualità della vita”, sono in primo luogo le aziende, oggi, ad essere consapevoli della nuova situazione nonché dei vantaggi ad essa correlati e a questa evoluzione è legato proprio lo sviluppo di piani di welfare.
In questa particolare emergenza legata al Covid-19, non si tratta più solo di erogare beni e servizi ai lavoratori che si recano sul posto di lavoro, ma è il momento di concentrare l’attenzione sulla nuova condizione imposta di smart worker, il quale si è improvvisamente ritrovato a svolgere la propria prestazione in una situazione nuova, lontano dalla propria postazione lavorativa e quindi in un ambiente privo di quell’organizzazione atta a garantirgli una tutela adeguata della sua integrità psico-fisica.
Proprio l’utilizzo della modalità agile ha fatto emergere una serie di rischi e di conseguenze sulla salute del prestatore di lavoro, come evidenziato dalle relazioni di diverse organizzazioni a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Pacifica sembra ormai essere l’associazione della sedentarietà al rischio cardiovascolare, che si stima la prima sia capace di raddoppiare, e il suo impatto sul metabolismo. Recentemente, inoltre, l’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute dei lavoratori ha sottolineato l’impossibilità di sottovalutare il rischio di isolamento e di eccessiva pressione in capo ai lavoratori, i quali, senza un adeguato supporto, possono dare origine a problemi di salute mentale e stress, senza contare le carenze del nuovo e improvvisato luogo di lavoro con notevoli ripercussioni sulla salute fisica dell’individuo[2].
Token per prodotti alimentari
Ecco, dunque, che la previsione di accordi di secondo livello che garantiscano a tutto il personale della singola impresa la disponibilità di token per l’acquisto, attraverso la tecnologia blockchain, di prodotti alimentari certificati nella qualità e mediante partnership con le aziende produttrici degli stessi può fornire un’efficace soluzione a tali problematiche, acuite ancor più dalla profonda crisi che sta attraversando non solo l’Italia, ma il mondo intero.
Una crisi, questa, che, al di là del preminente impatto in ambito sanitario, sta avendo e avrà purtroppo anche e soprattutto a lungo termine effetti sul piano economico e occupazionale. E proprio tali ultimi effetti sottolineano una tendenza del consumatore volta al risparmio nell’acquisto dei prodotti alimentari, che, unita alla nuova condizione imposta di smart worker, non fa che aumentare i rischi legati alla salute e quindi non fa che diminuire il suo benessere (e con esso anche quello dell’impresa).
In tale quadro accordi con i piccoli imprenditori di quartiere (le c.d. “botteghe”) contribuirebbero allo slancio dell’economia di prossimità che punta alla qualità del prodotto a scapito della grande distribuzione organizzata in cui trovano vendita i c.d. “beni di largo consumo”, ossia quei beni realizzati e commercializzati in grandi quantità e, proprio per questo, a prezzi accessibili.
__
Note
- Luomala H.T. (2007) “Exploring the role of food origin as a source of meanings for consumers and as a determinant of consumers’ actual food choices”, Journal of Business Research, n.60. ↑
- EU-OSHA 2020 “Covid-19: Fare ritorno al luogo di lavoro”. ↑