Attualmente siamo in una nuova fase della rivoluzione digitale, la quale apre nuove opportunità alle aziende e nasce da una considerazione piuttosto semplice, ma anche rivoluzionaria: se le informazioni vengono digitalizzate, queste possono essere sfruttate come capitale aziendale. Si può (e si deve!) trasformare l’informazione raccolta da semplice “archivio” a informazione “dinamica”, che può essere esplorata.
L’azienda sana è quella che sa sviluppare al suo interno i due capitali, quello digitale e quello umano, che lavorino in sinergia: le persone raccolgono i dati, questi vengono elaborati e da questa elaborazione se ne trae un servizio aziendale a beneficio delle persone, sia degli utenti che del personale. In questo modo le informazioni raccolte diventano patrimonio digitale della azienda che ne beneficia anche in termini di servizi. Le persone poi, con la loro intelligenza ed esperienza, utilizzano il servizio non da meri esecutori di ordini, ma con il valore aggiunto che può venire solo dal capitale umano.
Lo scenario
La rivoluzione digitale in atto ha coinvolto tutti i comparti delle attività lavorative. Guardando indietro, sembra che la necessità di digitalizzare le informazioni sia nata dal desiderio di velocizzare l’accesso alle informazioni stesse o di dematerializzare gli archivi. Possiamo immaginare che questo processo sia stato fatto attraverso passi successivi negli anni. Il primo passo ha consentito di perseguire esigenze “green”: risparmiare carta e spazio di archiviazione. Subito c’è poi stato un secondo passo, quando si è riconosciuta la potenzialità di mettere a disposizione le informazioni digitalizzate: poter accedere da remoto è diventato uno scopo delle digitalizzazioni. Ovviamente, questa fase è stata di molto spinta dall’accesso alla rete internet, sempre più integrata con database provenienti da vari cataloghi.
Nuova conoscenza in sanità col data mining: come andare oltre “ciò che non è evidente”
Oggi l’approccio sta cambiando, alla luce della trasformazione delle informazioni in archivi dinamici. Si parla di “Data Mining”, dal termine inglese “to mine”, che fa riferimento all’attività di estrazione dei minatori e, nel caso di specie, indica, appunto, l’attività di esplorazione delle informazioni. L’idea è che in mezzo a tutto quello che si scava si possa trovare qualcosa di prezioso. Più si raccoglie e più ci si può aspettare di trovare “gemme preziose”. È allora partita, ed è in corso, una digitalizzazione diversa, molto più diffusa.
Marketing e raccolta dati
Forse il primo ambito che ha saputo vedere le potenzialità di questa raccolta è quello del marketing, capace, tramite profilazioni, di targhettizzare in maniera sempre più precisa le offerte alle persone. Grande spinta a questa modalità di utilizzo l’ha data l’accesso ad informazioni consentito tramite app per cellulari, ad esempio sui dati di geolocalizzazione. Di contro, un veemente dibattito suscita la mancanza di tutela della privacy, legata alla raccolta dei dati delle persone che condividono informazioni personali in cambio di servizi. Ci si interroga su quanto valgano i dati raccolti e come questi debbano essere utilizzati. Al riguardo vale la famosa frase: “Nel momento in cui qualche cosa ci viene data gratis, significa che noi siamo la merce: quando qualche cosa è gratis il prodotto sei tu.”, di Ugo Mattei del 2017.
È bello avere nuovi servizi, magari gratis o quasi, ma il timore di perdere la privacy, con l’utilizzo automatizzato dei propri dati, è forte. D’altra parte, pochi oggi sarebbero disposti a rinunciare alle indicazioni di traffico veicolare del navigatore in cambio di una maggiore tutela della privacy! Inoltre, l’addestramento automatico comporta inevitabilmente l’introduzione di pregiudizi (in inglese “bias”) e, di fatto, questo ha determinato un rallentamento nell’utilizzo delle tecniche di data mining. Risulta allora necessario, negli ambiti nei quali si applicano queste tecniche automatiche, trovare il modo di tutelare i “casi speciali”, ad esempio le minoranze.
Acquisizione dei dati e utilizzo in azienda
In azienda, però, questa logica deve essere capovolta: tutto quello che si può raccogliere è patrimonio della azienda stessa e serve a valutare l’unicum che è rappresentato dalle attività aziendali. È necessario raccogliere in formato “standard” quanto viene fatto per potere trarre informazioni utili a gestire l’ordinario e ad affrontare con nuovi strumenti i casi straordinari. La digitalizzazione delle attività aziendali consente di non affidare il controllo delle attività aziendali esclusivamente al personale umano.
È infatti ormai accertato, in più ambiti, come alla acquisizione del dato può seguire una analisi che aiuti in tempo reale a gestire le attività. Nessuna novità che l’analisi dei dati di quanto accade in azienda sia fondamentale per descrivere la situazione aziendale e immaginare strategie di interventi future: i brainstorming aziendali partono sempre, almeno nell’immaginario collettivo, da diagrammi che riassumono dati raccolti. La novità è che la capacità di estrarre nuovi tipi di informazioni, anche in banche dati “grandi” (i cosiddetti Big Data), sono oramai all’ordine del giorno e invece delle semplici statistiche descrittive si può passare a immaginare di ottenere modelli di previsione (in inglese “forecasting”). Le tecniche predittive, tutte sotto il cappello della cosiddetta Intelligenza Artificiale, sono spesso integrate negli strumenti di controllo quali, ad esempio, le indicazioni automatiche di rischio.
Questi nuovi strumenti sono da intendersi come campanelli d’allarme, che consentono agli utenti di correggere il proprio operato laddove ritenuto necessario. Il capitale digitale, così, viene valorizzato dall’algoritmo “addestrato” dall’esperienza precedente, che è capace di dare indicazioni sugli scenari che si stanno materializzando. Il dato raccolto, prima considerato solo archivio “storico” o fotografia del presente, diviene predittivo attraverso l’intelligenza artificiale.
L’importanza del capitale umano
Questa rivoluzione non deve dimenticarsi di essere integrata con l’altro capitale aziendale imprescindibile: quello umano. La visione di insieme, la capacità di operare al di fuori degli schemi, il riconoscimento del “caso particolare”: tutte queste sono prerogative di una intelligenza non artificiale. La definizione di linee strategiche, ma anche la interazione necessaria al fine di risolvere i problemi che possono presentarsi nel perseguire gli scopi, non possono e non devono essere demandate ad una mera estrapolazione di informazioni precedentemente acquisite. La logica è la stessa della automazione industriale: il robot si può addestrare ad eseguire le azioni di routine, ma la fantasia e la creatività non si insegnano.