Gli sconti applicati ai dipendenti con una apposita card non producono reddito imponibile. Lo chiarisce l’Agenzia delle entrate rispondendo all’interpello presentato da una società che si occupa di abbigliamento. In particolare, si può dire che la “card sconto” non costituisce un benefit che genera reddito imponibile laddove il prezzo finale pagato dagli stessi per l’acquisto del bene (o del servizio), al netto degli sconti d’uso, non sia inferiore a quello praticato sul mercato.
Il caso: l’interpello della società
L’Agenzia delle Entrate è stata chiamata ad esprimersi a seguito dell’istanza di interpello presentata da una società operante nel mercato dell’abbigliamento ed avente come oggetto sociale la commercializzazione al dettaglio di capi d’abbigliamento, affidando a terzi la loro produzione. Con il principale intento di rafforzare il proprio marchio e la propria presenza sul mercato, la società ritiene importante coinvolgere i propri dipendenti nel veicolare i prodotti commercializzati e, a tale fine, intraprendere una serie di iniziative nei loro confronti.
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Nello specifico, la società istante è intenzionata ad attribuire a tutti i propri dipendenti una “tessera sconto” (o “card”) tale da permettere loro di acquistare prodotti a prezzo scontato rispetto a quello di listino. La tessera sarebbe nominativa, non cedibile, utilizzabile esclusivamente dal dipendente e non cumulabile con iniziative analoghe adottate sul mercato (ad esempio, allorquando la società adotta delle campagne di sconto nei confronti della totalità della clientela). Lo sconto sarebbe pari a circa il 25% del prezzo di vendita finale del prodotto, con la precisazione che:
- i prodotti sarebbero venduti ai dipendenti beneficiari ad un prezzo, in ogni caso, superiore rispetto a quello che la società pratica nei confronti degli altri soggetti, nonché maggiore rispetto al costo sostenuto dalla stessa;
- in alcuni periodi dell’anno lo sconto praticato ai dipendenti potrebbe essere di eguale importo rispetto a quello di cui si possono avvantaggiare gli altri clienti.
Mediante l’istanza di interpello in esame, la società ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se la concessione della “card” ai propri dipendenti possa rappresentare per gli stessi un compenso in natura imponibile e, come tale, soggetto ad assoggettamento fiscale.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate – mediante la risposta ad interpello n. 221 del 29 marzo 2021 – ha, innanzitutto, osservato che l’art. 51, comma 1 del TUIR definisce il reddito di lavoro dipendente come l’insieme di “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. A parere dell’Agenzia tale disposizione sancisce il principio dell’onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, ovvero l’assoggettamento a tassazione, in generale, di tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro.
L’Agenzia ha evidenziato come questa previsione legislativa ricomprenda, oltre alla normale retribuzione, quei “vantaggi economici” che i lavoratori subordinati possono conseguire ad integrazione della stessa, come ad esempio compensi in natura consistenti in opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro. Sul punto, l’autorità fiscale ha ricordato che il medesimo art. 51 del TUIR chiarisce, al comma 3, che “ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1 […] si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi […] Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista”.
La normativa di riferimento
In particolare, la normativa fiscale prevede che “per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso” (art. 9 del TUIR).
In conformità a quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate – dato l’espresso riferimento della normativa agli “sconti d’uso” – ha affermato che, nel caso in cui il datore di lavoro commercializzi e venda ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in ragione del principio di onnicomprensività già enunciato. Al riguardo – come chiarito dal Ministero delle Finanze con circolare 326/1997 – l’Agenzia ha illustrato come il reddito da assoggettare a tassazione sia pari al valore normale “soltanto se il bene è ceduto gratuitamente, dal momento che se, invece, per la cessione dello stesso il dipendente corrisponde delle somme, il valore da assoggettare a tassazione è pari alla differenza tra il valore normale del bene ricevuto e le somme pagate”.
L’autorità fiscale ha, altresì, osservato come il prezzo pagato dai dipendenti per i beni acquistati mediante la tessera sconto sia superiore a quello pagato dai soggetti legati al datore di lavoro, ad esempio, da accordi di franchising o di somministrazione. Pertanto, il prezzo pagato dal lavoratore dipendente non può configurarsi quale corrispettivo simbolico che “maschera” l’erogazione di una retribuzione. Inoltre, lo sconto praticato ai dipendenti non supera quello applicato, in alcuni periodi dell’anno, agli altri clienti e non può essere cumulato con altre iniziative commerciali analoghe adottate in favore della clientela.
Conclusioni
Sulla base di tali considerazioni, l’Agenzia delle Entrate non ha ravvisato alcuno “sconto” fiscalmente rilevante, né materia fiscalmente imponibile, poiché il dipendente corrisponde il valore normale del bene al netto degli sconti d’uso. Al contrario, a detta dell’autorità fiscale, “la rilevanza fiscale dello sconto applicato sul prezzo dei capi di abbigliamento acquistati dai dipendenti della Società istante genererebbe […] una disparità di trattamento tra i clienti dell’Istante che potrebbero acquistare la merce ad un prezzo scontato e i dipendenti della medesima Società che vedrebbero tassato il vantaggio economico”.
Infine, la circostanza che lo sconto venga riconosciuto al dipendente attraverso la tessera non costituisce un “vantaggio economico” per lo stesso, in quanto le caratteristiche della “card” – ovverosia l’essere nominativa, non cedibile, utilizzabile esclusivamente dal dipendente e non cumulabile con iniziative analoghe adottate sul mercato – consentono di configurarla come un “mero strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto”.