Come per la corsa all’oro, qualcuno pensa che sia sufficiente acquistare nuovi software per risolvere i problemi della concorrenza, del mercato che comprime i margini, dell’inefficienza dei processi lavorativi. Il digitale sembra diventato il Klondike, le pepite sono i software, la licenza d’uso l’equivalente dei diritti di sfruttamento minerario. Bastasse questo avremmo risolto gran parte dei problemi, perché tutti avrebbero la possibilità di trovare la soluzione informatica adatta alle esigenze.
Digitale, un problema culturale
Ma non è così, anche perché il 26% delle aziende di micro e piccola dimensione (fonte Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2b del Politecnico di Milano) ha dichiarato che non è interessato a sviluppare progetti digitali. Se aggiungiamo che il livello di digitalizzazione dell’Italia ci colloca al 25esimo posto su 28 – dopo di noi solo Bulgaria, Grecia e Romania – è facile capire che il problema non sono i prodotti, ma la capacità di capire che la tecnologia è un investimento in grado di produrre valore. In parole povere: il problema è culturale. E si comprende anche perché gli ‘strappi’ innovativi avvengano più per interventi normativi, che non per moti spontanei del mercato. Da questo punto di vista anche le professioni – fondamentali in un Paese in cui il nanismo imprenditoriale è dominante con 4,7 milioni tra micro impese e ditte individuali – non si sottraggono alla tendenza generale di rispondere tatticamente e non in modo strategico alle sollecitazioni dell’ecosistema in cui sono immersi.
Professionisti e digitale, l’errore fondamentale
Poco meno di un terzo degli studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito seriamente in tecnologia, ma solo il 2% può definirsi studio digitale (fonte: Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale). Qual è il significato di ciò? Il primo errore sta nel pensare che sia sufficiente acquistare software per risolvere i problemi. Siccome sono un appassionato motociclista, domani vado da un concessionario, mi compro una moto più potente, così divento come Valentino Rossi o Marc Marquez. Facciamo, allora, un passo indietro. Cosa sta succedendo intorno a noi?
Come cogliere le opportunità del digitale
Perché il digitale è veramente utile per lo sviluppo? Quali passi compiere per cogliere le opportunità che il digitale sta offrendo?
Usiamo un po’ di più i nostri sensi per ascoltare, guardare e toccare, cercando di non darci risposte prima di aver esaminato e interpretato con mente lucida cosa stia accadendo. Il contesto ambientale e l’ecosistema all’interno del quale operano i professionisti sono in profondo mutamento. In cinque punti cerco di riassumere alcuni aspetti fondamentali, sui quali innestare non solo riflessioni ma azioni per gestire la digital transformation:
- la concorrenza non proviene più solamente da coloro che posseggono le competenze specialistiche – giuridiche ed economiche – ma si sta allargando a coloro che dispongono di know-how tecnologico, in grado di confezionare nuovi servizi a basso costo e di facile accesso, attraverso una progressiva standardizzazione di alcune attività. Gli esempi provengono dalle sempre più numerose startup che offrono soluzioni in grado di disintermediare in tutto o in parte i professionisti – almeno per alcune tipologie di servizi, per esempio in ambito contrattuale, contabile, fiscale – o da operatori di altri settori che con le loro piattaforme colgono opportunità in ambiti diversi da quelli di origine (Amazon insegna);
- la domanda, cioè il mercato delle aziende, sta mutando i suoi comportamenti. È più attenta, informata e desiderosa di ottenere servizi che incidano direttamente sulla produzione di valore dell’impresa, che contribuiscano a migliorare la loro gestione caratteristica, deputata a remunerare il capitale di rischio dell’imprenditore;
- il rapporto fiduciario – pilastro della relazione tra cliente e professionista – oggi è un po’ meno incondizionato di un tempo, proprio per quanto espresso al punto precedente;
- la velocità di risposta richiesta dal mercato è ulteriormente aumentata, rendendo indispensabile l’impiego intensivo delle tecnologie digitali all’interno degli studi e nelle relazioni con i diversi stakeholder;
- i margini, soprattutto per le attività più ripetitive, ma ancora molto presenti nei portafogli di servizi degli studi (almeno il 70%), si stanno comprimendo, come diretta conseguenza di una percezione sempre più diffusa, che valuta queste attività alla stregua di commodity.
Fattura elettronica B2B, chi ha ragione?
Con queste premesse, è possibile fare alcune considerazioni sull’obbligo della fatturazione elettronica tra privati, percepita da alcuni come l’ennesimo adempimento che appesantisce la gestione dello studio, da altri come un’opportunità da cavalcare. Chi ha ragione? Tutti e nessuno se a monte di ciò non esistono pensieri e comportamenti, che si allontanano dalla visione tradizionale e, soprattutto, da alcuni stereotipi. Come ho scritto qualche mese fa, in chiave non del tutto provocatoria, la fatturazione elettronica non è un documento fiscale ma un momento organizzativo. Qui sta lo spartiacque. Chi comprende questo passaggio è in grado di spostare l’attenzione dell’attività dal documento al dato (elaborabile) e di incamminarsi verso una reale gestione digitale dello studio e di proporre quei servizi a valore e innovativi di cui si parlava nelle righe precedenti. Non solo. La fatturazione elettronica può e, aggiungo, deve diventare l’innesco per proporsi al cliente come professionista che, attraverso le competenze specialistiche, è in grado di migliorare la competitività dell’azienda, rendendo più efficienti alcuni processi lavorativi – per esempio, il ciclo dell’ordine – e fornendo chiavi interpretative più approfondite sui fenomeni che impattano direttamente sulla gestione del business aziendale. Dal documento al metadato, dal servizio ‘obbligatorio’ a quello strategico a valore. Così, e qui sta la vera provocazione, la gestione contabile e fiscale può diventare il cavallo di troia, il cui prezzo ha poca importanza, perché, instaurando un rapporto di fidelizzazione con il cliente, costruito su nuove basi di servizio.
La tecnologia e la relazione col cliente
Compresi tutti questi passi, è naturale l’approdo alla tecnologia (digitale) e al suo uso per creare valore all’interno dello studio e nella relazione con la clientela. È però altrettanto difficile poter gestire da soli la trasformazione digitale, senza coinvolgere il personale dello studio in un percorso che non esprime un cambiamento di prodotto ma nei comportamenti e nel modo di pensare. La tecnologia e i passi da compiere, sulla strada della trasformazione, includono anche collaborazioni con chi, da esperto e non da improvvisatore, è in grado di accompagnare lo studio a raggiungere traguardi di sviluppo e di sopravvivenza all’interno di un ecosistema che sta cambiando i propri paradigmi di funzionamento.