l’esperienza

Certificazione di processo per la dematerializzazione degli archivi: il caso dell’ospedale Cardarelli



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L’Azienda ospedaliera di rilievo nazionale Cardarelli di Napoli ha intrapreso un progetto di dematerializzazione di ventimila cartelle cliniche tramite certificazione di processo: ecco come funziona questa metodologia

Pubblicato il 26 set 2023

Michele Nastri

Notaio in Ercolano



Documenti informatici

La certificazione di processo come metodo per la dematerializzazione degli archivi cartacei di grandi dimensioni, ha portato ad abbandonare l’impossibile pretesa di una certificazione “totale” di tutti i documenti cartacei e di una conservazione priva di errori.

Pretesa che non tiene conto né della naturale imperfezione anche di una procedura informatica, né del fatto che anche gli archivi cartacei sono soggetti a perdite, deterioramenti, incidenti di vario tipo. In questo modo si pongono finalmente le basi per una reale trasposizione in digitale degli archivi cartacei, non solo per mantenerli ma per migliorare la loro fruibilità.

Un caso interessante di applicazione di questo processo è quello dell’azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli, che riguarda la dematerializzazione di ventimila cartelle cliniche.

Si tratta di una esperienza che può essere di esempio per lo sviluppo di queste pratiche, e che costituisce un patrimonio di conoscenza sicuramente utile anche nella prospettiva di un’evoluzione delle Linee Guida AGID, pur nella consapevolezza che le differenze strutturali e funzionali che sussistono tra i vari archivi, e l’ampiezza dei margini operativi lasciati dalla normativa rendono ogni caso diverso dagli altri.

La normativa di riferimento

Questa metodologia di dematerializzazione è stata introdotta legislativamente (artt. 22 comma 1 bis e 23 ter comma 1 bis del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 Codice dell’amministrazione digitale CAD) solo nel 2017, all’esito di un lungo percorso normativo che risale almeno alla legge 15 del 1968 (che prevedeva la dematerializzazione mediante microfilmatura) e che non aveva dato gli i risultati sperati (o forse, sarebbe meglio dire, non aveva dato praticamente alcun risultato).

Con la modifica del 2017, accanto alla produzione di copie per raffronto (o mediante collazione come recita l’art. 746 c.p.c.) è stata finalmente prevista una modalità che prevede non più il controllo da parte del pubblico ufficiale di ogni singolo documento per la certificazione di conformità, ma la possibilità di un processo certificato che, con una combinazione di tecnologie qualificate e di intervento umano, riesca a garantire la conformità dei singoli documenti negli archivi in misura comparabile a quella degli archivi cartacei.

Le copie informatiche di documenti analogici

L’art. 22 del CAD, dopo aver ribadito l’equiparazione agli originali delle copie rilasciata dai pubblici ufficiali a ciò autorizzati, al comma 1 bis prevede che le copie per immagine sono formate “previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia”. Identica è la formulazione dell’articolo 23 ter comma 1 bis, relativa alle copie dei documenti della P.A..

Evidentemente tale formulazione richiede una specificazione, per risultare utilizzabile: come in tutta la normazione in materia, è necessaria una regolamentazione tecnica secondaria, che riempie di contenuto i principi enunciati dalla legge. Il CAD, con il primo comma dell’art. 71 affida questo compito alle Linee Guida su documento informatico e conservazione, applicabili alla P.A. ed ai privati. Le Linee Guida (Determinazione AGID 407/2020, modificate con Determinazione 371/2021) contengono i parametri e le metodologie per procedere alla certificazione di processo. In particolare la certificazione di processo è regolata dall’Allegato 3.

Le Linee Guida, oltre a poter essere modificate nel tempo frequentemente e con grande semplicità, pongono le condizioni generali perché il processo certificato possa rientrare nelle prescrizioni del CAD, ma non vincolano in modo stringente, lasciando agli attori la responsabilità di scegliere il livello effettivo di garanzia di conformità da raggiungere.

Per gli archivi della P.A. occorre poi tenere conto che gli stessi, se appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali, sono per legge beni culturali (art. 10 D.Lgs. 42/2004) e che l’esecuzione di opere di qualunque genere (ivi comprese le operazioni necessarie per la dematerializzazione) sono soggette ad autorizzazione del Ministero della Cultura (art. 21 D.Lgs. 42/2004).

La libertà degli operatori

L’Allegato 3 alle Linee Guida, prevede una serie analitica di prescrizioni, volte a garantire la consistenza degli archivi da sottoporre a dematerializzazione, in modo che non possano essere effettuate sostituzioni preventive o successive, le tecnologie utilizzate, ed i risultati garantiti in termini di efficienza del processo. Sarà compito e scelta del titolare dell’archivio definire i risultati (in termini di errori accettabili) per considerare concluso positivamente il processo.

In particolare l’Allegato 3 richiede che il processo sia così caratterizzato:

  • da un punto di vista oggettivo il ciclo di dematerializzazione massiva dovrà essere conforme agli standard ISO 9001 e ISO 27001;
  • da un punto di vista soggettivo il ciclo dovrà concludersi con il metodo del raffronto a campione dei documenti, generando una certificazione ovvero un risultato probatorio differente a seconda che il rapporto di verificazione sia firmato da un pubblico ufficiale o da un soggetto privato.

Per giungere a questo risultato sono previste due diverse tipologie di verbalizzazione:

  • Una prima, iniziale, nella quale si procede dinanzi al Pubblico Ufficiale alla scansione dei documenti cartacei utilizzando gli strumenti del processo che sarà stato preventivamente definito, verificandone rispondenza e risultati;
  • Una seconda, finale, nella quale una volta effettuata la dematerializzazione, si procede alla verifica a campione (casuale) con il metodo a raffronto degli originali cartacei con i files risultati dalla dematerializzazione; questa seconda verbalizzazione potrà essere divisa più verbali, in dipendenza della complessità delle operazioni, e della necessità di suddividere in lotti l’archivio da dematerializzare.

L’esito positivo farà considerare certificato l’intero archivio, ed ottenuto il valore probatorio dei documenti dematerializzati.

I vantaggi della certificazione di processo

Il più atteso vantaggio della certificazione di processo è certamente la possibilità di procedere allo scarto del cartaceo, e quindi alla sua distruzione. Esistono però tipologie di documenti (archivi pubblici, originali unici, documenti muniti di firme autografe) la cui distruzione è vietata, soggetta ad autorizzazione, o semplicemente inopportuna.

Tuttavia la dematerializzazione mediante certificazione di processo presenta ulteriori vantaggi quali:

  • la protezione dei documenti cartacei non solo dalla distruzione, ma anche dall’usura, dalla dispersione e dalla irreperibilità per cattiva conservazione o classificazione;
  • la reperibilità e la consultabilità non solo dei documenti, ma anche dei dati negli stessi contenuti;
  • l’elaborazione dei dati raccolti in sede di dematerializzazione;
  • la salvaguardia del valore probatorio indipendentemente dall’esistenza del cartaceo.

La dematerializzazione offre quindi vantaggi che possono giustificarla indipendentemente dalla distruzione del cartaceo che, nei limiti di legge, dovrà essere una scelta finale (auspicabilmente graduale) del titolare dell’archivio, all’esito di un’analisi costi-benefici.

Il valore probatorio

La certificazione di processo può risultare in astratto da una attestazione fornita nell’ambito del processo stesso di certificazione, che darà ai documenti dematerializzati il valore di riproduzione ai sensi dell’art. 2712 c.c. (considerati quindi conformi fino al disconoscimento della controparte).

In caso di intervento del pubblico ufficiale (notaio o altro a ciò autorizzato) la certificazione di processo condurrà alla produzione di un archivio in relazione al quale è stata fatta, con il verbale apposito, una verifica attendibile, rispetto alla quale il giudice sarà già indirizzato, in virtù del percorso normativamente delineato (standard tecnici, verbali etc.). Evidentemente un ruolo non irrilevante sarà giocato, in questo contesto, dalla rigidezza dei parametri inizialmente prescelti dal titolare dell’archivio.

Conseguentemente si può affermare che esiste un evidente diverso grado di attendibilità della copia che rappresenti il risultato di una certificazione di processo con l’intervento del pubblico ufficiale rispetto alla copia per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico la cui conformità non venga attestata da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 22, terzo comma, CAD) o rispetto alla copia fotografica di una scrittura (art. 2719 c.c.). A ciò conduce soprattutto il testo del CAD (artt. 22 comma 1 bis e 23 ter comma 1 bis) e delle Linee Guida, che delineano una procedura cui non può essere disconosciuta rilevanza normativa in campo probatorio.

Più precisamente, nell’ambito dalla formazione del convincimento del giudice secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), giocherà un ruolo decisivo la presunzione semplice, prevista dall’art. 2729 c.c., in forza del quale «le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti», e che trovano fondamento nel rispetto percorso procedurale indicato dal CAD e dalle Linee Guida. In questo senso anche lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato 4-2018 DI.

Il caso Cardarelli di Napoli

L’Azienda ospedaliera di rilievo nazionale Cardarelli di Napoli, in collaborazione con la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania, e con il partner tecnico SA Documents ha realizzato con esito positivo il processo pilota di dematerializzazione di 20.000 cartelle cliniche (su un totale di circa 4.700.000 che costituiscono l’archivio). Tale processo, che ha visto chi scrive intervenire nelle fasi preparatory, ed in quelle operative quale notaio verbalizzante, ha realizzato una dematerializzazione (a quanto consta pressoché unica per natura e portata) di un archivio di grandi dimensione, ancorché tuttora parziale, attraverso la certificazione di processo.

L’iniziativa passo per passo

Sulla base dell’analisi tecnologica e normativa fin qui descritta, e del progetto PRODE (PROcesso di DEmaterializzazione in qualità) la sperimentazione del Cardarelli ha previsto la realizzazione, e la prova sul campo, di tutte le fasi fondamentali della certificazione di processo:

  • l’individuazione del corpus documentale, la sua classificazione e normalizzazioni;
  • l’autorizzazione della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Campania;
  • l’individuazione delle modalità operative e delle eccezioni (documenti non digitalizzabili);
  • l’individuazione di una metodica, degli strumenti e la costanza delle modalità attuative;
  • la redazione dei verbali di certificazione di processo iniziali e finali (nello specifico un verbale di certificazione iniziale e quattro verbali di certificazione finali per i quattro lotti da cinquemila in cui erano state divise le ventimila cartelle).

Il risultato è stato positivo ed ampiamente rientrante nei parametri di errore massimo prescelti in base agli standard, con piena realizzazione degli obiettivi previsti.

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